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Opinioni

In Italia si parla di complotti per non parlar di business

Il voto europeo si avvicina, la crisi stenta a passare, volti noti della finanza e dell’economia finiscono in manette o indagati per presunti reati che vanno dalla truffa alla corruzione e i politici di che parlano? Di un presunto complotto Ue contro l’Italia del 2011…
A cura di Luca Spoldi
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Non so se ve ne siete già accorti, ma mentre si avvicina la data del 25 maggio che tiene in ansia (o accende di speranza, a seconda dei casi e dei gusti) i principali leader politici italiani ed europei (se volete avere un’idea di come potrebbe andare a finire, Nota Politica continua a pubblicare sondaggi “clandestini” visto che quelli ufficiali sono vietati negli ultimi 15 giorni prima del voto), si parla sempre meno di economia reale e di finanza. E si capisce anche il perché: nessuno ha la bacchetta magica per far ripartire un’economia che perde colpi da due decenni e non vede uno straccio di crescita reale degna di tal nome da almeno 15 anni, mentre i salotti e salottini “buoni” degli ex poteri forti di Milano e dintorni sono sempre più pieni di crepe, complici anche alcune disavventure giudiziarie che rischiano di travolgere alcuni dei rappresentanti di punta del “capitalismo di relazione italiano”.

Così è un fiorire di tematiche utili a distrarre gli elettori e a non far pensare troppo ai guai presenti: si parla del caso Chiellini e del “codice morale” di un calcio, quello italiano, da decenni ripetutamente scosso da “scandali” che di tale hanno solo il nome essendo ormai il business diventato la terza maggiore industria italiana (dopo telefonini e benzina: poi non domandiamoci il perché l’Italia perda posizioni nella classifica mondiale dei paesi più industrializzati); oppure si parla del “complotto” ordito dai partner europei, ovviamente susseguosi dei diktat del cancelliere tedesco Angela Merkel, nell’autunno del 2011 ai danni del premier italiano Silvio Berlusconi, da “commissariare” con l’aiuto degli Stati Uniti di Barack Obama subentrato (per la verità tre anni prima) alla Casa Bianca dopo aver battuto l’amico del Silvio nazionale, che tra le tante amicizie vantava all’epoca anche quelle col presidente russo Vladimir Putin (che ora è pronto a fare a pezzi l’Ucraina, “sobillata” anche in questo caso dalla Germania, pur di non perdere le sue basi militari e i corridoi da cui far passare il proprio gas) e Muammar Gheddafi (cui è stata fatale una guerra civile “fomentata” da Stati Uniti e Francia, nel 2011).

Prescindendo dalle convinzioni politiche di ciascuno, vale la pena di fare un minimo di ordine per evitare il totale distacco dalla realtà che simili tematiche, rilanciate dai media, rischiano di provocare.  Secondo i sostenitori (scopritori?) del complotto europeo, a dare il benservito all’Italia e dunque al suo governo in carica doveva essere nientemeno che il Fondo monetario internazionale (Fmi), che su pressione americana avrebbe dovuto negare il suo aiuto al Belpaese. Peccato che l’aiuto al Fmi non sia mai stato richiesto né dal governo Berlusconi né dal governo Monti (o Letta e non mi risulta sia intenzione del governo Renzi provare a chiederlo). L’ex  Segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, rivela però che, attenzione, alla richiesta di “alcuni funzionari europei” di dare la spallata decisiva al governo italiano lui (più patriota di molti “imprenditori coraggiosi” pur essendo un rappresentante del governo Usa, i cui interessi non sempre coincidono esattamente con quelli di Roma) si rifiutò e puntò sull’asse col presidente della Bce, l’ex governatore di Banca d’Italia, “super” Mario Draghi, per salvare l’eurozona (con la quale gli Usa più volte hanno avuto contrasti commerciali ma suvvia, siamo uomini di mondo) e l’economia globale.

Battuti dal “rigore morale” statunitense, i neghittosi “funzionari europei che si inventarono? Anziché bloccare ogni iniziativa di Draghi a supporto dell’Italia (e della Spagna), che si sarebbe voluta “commissariare a forza” come la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda secondo la dietrologia comune che sembra non cogliere il fatto che l'Italia resta uno dei principali mercati di sbocco per merci e servizi tedeschi oltre che apprezzato terreno di “shopping”per marchi e know-how, consentirono al numero uno di Eurotower prima di lanciare due Ltro (dicembre 2011 e febbraio 2012) con cui vennero rifinanziate 800 banche europee per oltre mille miliardi, dei quali peraltro a distanza di quasi tre anni la maggior parte è stata già restituita anticipatamente dalle banche tedesche e francesi mentre resta in buona misura nelle casse degli istituti italiani (chiedere a Unicredit e Mps per conferma) e in parte spagnoli.

Poi non hanno alzato ciglio quando il 26 luglio 2012 lo stesso Draghi annunciò che la Bce era pronta a lanciare l’Omt, un programma di acquisti illimitati (per quanto condizionato) di titoli di stato da utilizzare per quei paesi “virtuosi” ma in difficoltà come la Spagna (che a lungo sembrò sul punto di chiederne l’attivazione ma poi non lo fece, ottenendo comunque nel dicembre dello stesso anno 39,5 miliardi dall’Eurogruppo per ristrutturare il suo settore bancario, scottato dalla eccessiva esposizione al mercato immobiliare) e l’Italia che ne avessero fatto richiesta accettando di sottostare a condizioni concordate preventivamente con tutti i membri della Ue. Tutto questo presunto complotto (andato a vuoto) sarebbe sorto, ricorda Geithner, perché l’Italia era percepita come il paese di Eurolandia maggiormente a rischio.

Ci mancherebbe, aggiungo io, visto che all’epoca il debito pubblico italiano era già ampiamente sopra i 2000 miliardi, il Pil stava colando a picco (nel 2011 si fermò a 1580 miliardi, +0,4% rispetto al 2010, con un debito/Pil già salito al 120%) e avrebbe continuato a farlo (l’anno successivo calò del 2,4%, a circa 1542 miliardi, nel 2013 il Pil è calato di un altro 1,9% tornando poco sotto ai livelli del 2000 con un debito/Pil ormai volato al 132,6%) anche a causa della natura prociclica della repressione fiscale questa sì adottata in tutta Europa sotto la spinta della “intransigente” (e a volte apparentemente ottusa o più probabilmente cinica) Germania e nonostante tassi sempre più bassi sui titoli di stato frutto della politica ultra rilassata della Bce, che ha portato il rendimento sui Btp decennali a calare sotto il 3% lordo annuo e lo spread contro Bund a ridursi attorno all’1,5% (mentre nel novembre 2011 arrivarono ad essere superiori rispettivamente al  7,5% e al 5,75%).

Interessati a questo dibattito rigorosamente con lo sguardo voltato al passato i nostri rappresentanti politici sembrano fare di tutto per non accorgersi di alcuni problemi che stanno coinvolgendo, nel presente, nomi di primo piano della finanza e dell’economia tricolore: non solo i guai di Alitalia sono lungi dall’essere superati come ci avevano promesso nel 2009, non solo l’Ilva resta un problema in cerca di soluzione, non solo la Fiat non convince i mercati nonostante la profusione di slide e grafici colorati sulle prospettive “mondiali” di Alfa Romeo e Fiat-Chrysler: nel frattempo vengono arrestati i fratelli Magnoni, personaggi per nulla di secondo piano della Milano finanziaria (Ruggero essendo stato vice presidente Europa di Lehman Brothers e presidente di Nomura Italia, Aldo l’ideatore dell’Oak Fund, intervenuto assieme a Lehman Brothers nella scalata di Olivetti a Telecom Italia nel 1999, Giorgio essendo amministratore delegato di Sopaf), con l’accusa di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa e frode fiscale.

Dulcis in fundo, si fa per dire, oggi la Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici di altri personaggi di spicco della finanza lombarda come il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah, il presidente del comitato di gestione dell’istituto, Franco Polotti, e quello del comitato di sorveglianza, Andrea Moltrasio, ma anche, secondo indiscrezioni giornalistiche, di Giampiero Pesenti (dominus di Italcementi e Italmobiliare e tra i soci storici di Mediobanca) e Giovanni Bazoli (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo ed ex consigliere della stessa Ubi Banca dal 2008 al 2012), tutti indagati per ipotesi di reato che vanno dall’ostacolo alle funzioni degli organi di vigilanza alla truffa nell’ambito di un’inchiesta su Ubi Leasing.

Sarà un caso, ma mentre i Magnoni erano finora considerati banchieri “di sinistra” (ma con solidi agganci anche con Silvio Berlusconi), Bazoli è da sempre dato maggiormente “in sintonia” con Romano Prodi e la finanza cattolica. Storia vecchie, vecchie etichette, che un po’ come certi appalti “sospetti” legati alle grandi opere pubbliche sono destinati a riproporsi inevitabilmente in un paese che spesso ha la testa nel pallone o persa dietro scie chimiche e complotti di ogni colore e natura e la memoria molto labile.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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