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Imu, ma quanto ci costi?

Via libera dalla Camera al ddl sulla semplificazione fiscale, che rischia di non semplificare affatto la vita a chi investe in immobili. Il rischio è infatti si verifichi un nuovo calo dei prezzi, vediamo perchè.
A cura di Luca Spoldi
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Camera vota fiducia a decreto fiscale

Imu, ma quanto ci costi? Il governo Monti incassa la (scontata) fiducia alla Camera (445 sì, 69 no, 10 astenuti) sul ddl delega sulla semplificazione fiscale, destinato a elevare ulteriormente la pressione fiscale complessiva (sono tra l'altro spuntate fuori all'ultimo alcune modifiche ce mettono a rischio l'eventuale agevolazione Imu per anziani e disabili che vivono nelle case di cura o negli ospizi oltre che per gli italiani residenti all'estero e che hanno ancora una casa in Italia non affittata) e a rendere sempre meno attraente l’Italia agli occhi di un investitore non finanziario (sia italiano sia straniero) come il vostro analista ha spiegato stamane agli amici in ascolto su RaiRadio2 all’interno della trasmissione Caterpillar. Il ddl in questione introduce in particolare l’Imu al posto della vecchia Ici e la riforma del catasto e delle relative rendite (destinate ad essere calcolate in base al valore di mercato, al metro quadro, dell’abitazione prendendo a riferimento i dati medi del triennio precedente la dichiarazione e non più in base al numero di vani dell’immobile). Sorridono il premier e i suoi ministri, che continuano a ribadire come sia importante mandare segnali di “serietà” al mercato e che la ripresa potrà vedersi nel 2013 e dopo, forse, un allentamento della pressione fiscale. Qualcuno inizia però a chiedersi se oltre a rappresentare un onere dal punto di vista fiscale la nuova tassazione patrimoniale non possa avere un impatto negativo sul mercato immobiliare italiano, un rischio non ritengo possa essere escluso, con buona pace di coloro (per lo più intermediari immobiliari) che andavano auspicando una ripresa del mercato immobiliare italiano dopo un semestre di sostanziale stallo. Il Censis, addirittura, è drastico e segnala il rischio di un ulteriore calo tra il 20% e il 50% dei prezzi delle case con l’entrata in vigore delle ultime novità legislative, mentre altri analisti e centri di ricerca appaiono più prudenti e suggeriscono di attendere almeno fino a fine anno per capire cosa potrà accadere, ma se lo scenario macroeconomico e quello fiscale non muteranno (ed è quanto meno improbabile nei prossimi sei-nove mesi) un calo dei prezzi sembra inevitabile.

Più tasse vuol dire minori rendimenti. Il perché è presto detto: per chi investe nel mattone (acquistando seconde e terze case) la convenienza all’effettuare o meno l’acquisto è valutata in base al rendimento offerto, rendimento (legato agli affitti che potranno essere riscossi) che al momento oscillava, sia pure con variazioni sensibili a seconda dell’età, del pregio e della zona in cui è situato lo stabile, attorno al 2,7%-3% annuo al netto d’imposta. L’Imu sulle seconde case (7,6 per mille), salvo improbabili “sconti” applicati dai Comuni (la cui addizionale può variare dal -3 per mille al +3 per mille), risulterà più pesante dell’Ici (6 per mille) in misura variabile tra l’1,6 e il 4,6 per mille, ossia mediamente di uno 0,32% annuo, dunque per effetto della nuova imposizione chi investirà d’ora in avanti in case potrà sperare di ottenere un ritorno attorno al 2,4%-2,7%. Per chi la casa (prima o seconda che sia) la utilizza per sé il problema non si pone, se non per il maggior onere che deriverà da avere un patrimonio immobiliare, specie se questo fosse di dimensioni e valore consistente (il che di per sé potrebbe essere considerato un segnale sia pur debole di “maggiore equità” rispetto ad ulteriori e maggiori incrementi delle imposte sui redditi o sui consumi) per chi invece vede nel mattone un asset class da confrontare ad investimenti alternativi (in titoli di stato o obbligazioni societarie) il problema si pone eccome visto che potrebbe trovare i nuovi rendimenti non attraenti. In questo caso, non potendosi immaginare un incremento repentino e violento dei canoni di locazione, l’unico modo in cui un immobile potrà rendere nuovamente tassi simili a quelli finora in essere sarebbe attraverso un calo del prezzo d’acquisto in misura proporzionale al calo del rendimento ed essendo questo almeno del 10% come visto sopra, attorno o sopra questa soglia potrebbe situarsi il calo destinato a registrarsi nei prossimi mesi e trimestri.

Le tasse non sono tutto. Non è naturalmente l’Imu l’unico problema per chi investe in mattoni: il fatto di legare le nuove rendite catastali al valore di mercato del triennio precedente il periodo d’imposta è sicuramente razionale ma in una fase di prezzi tendenzialmente cedenti come quella attuale questo potrebbe comportare, di fatto, il rischio di andare a pagare tasse su valori più elevati di quelli correnti di mercato (l’opposto accadrà naturalmente se in futuro i prezzi torneranno a salire), cosa che ulteriormente deprimerebbe il mercato. Così come un effetto depressivo è legato alla stretta sul credito e al continuo deleveraging in atto nel settore privato, due fenomeni che rendono i mutui più difficili da ottenere (tanto più che su alcune delle maggiori banche italiane pende il rischio di dover procedere a ulteriori aumenti di capitale entro giugno) e comunque più costosi, mentre le incerte prospettive dell’economia italiana (anche oggi dall’Istat non sono giunte buone notizie, con un calo, in termini tendenziali, dell’1,5% del fatturato industriale a febbraio su base destagionalizzata dovuto in particolare a un calo del 4,7% sul mercato interno e ad un aumento del 5,5% su quello estero) rischiano di rallentare ulteriormente gli acquisti, inducendo i venditori a concedere ulteriori sconti o a rassegnarsi a vedere ulteriormente dilatati i tempi necessari a vendere un immobile. Sempre poi che sul mercato non giungano ulteriori immobili rivenienti vuoi dall’ultimazione di nuovi progetti edilizi, vuoi (come in America) dall’eventuale vendite forzata di immobili a seguito dell’incapacità dei mutuatari di pagare regolarmente le rate di mutui che potrebbero col tempo mantenere un valore superiore a quello degli immobili cui si riferiscono. Una situazione che gli anglosassoni descrivono col termine “underwater” (letteralmente: finire sottacqua) e che metterebbe ancora più a rischio, tanto per cambiare, i bilanci dei maggiori gruppi bancari italiani. Causando ulteriori strette del credito e prolungando ancora la fase di difficoltà del mercato immobiliare tricolore. Cosa potrebbe evitare questo scenario? Indovinate un po’: una nuova fase di ripresa economica che renda più interessante investire in Italia e magari porti l’agognato alleggerimento del cuneo fiscale, che apporterebbe certamente un beneficio sia che riguardasse i redditi sia il patrimonio.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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