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Ilva, un decreto nato vuoto

Soldi promessi che non si trovano, questioni ambientali ancora aperte. Presentato come una svolta, il provvedimento del governo per l’acciaieria e la città di Taranto è per ora incompleto e carente.
A cura di Valigia Blu
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Oggi la Camera ci dovrebbe essere il voto finale sul decreto che secondo il governo dovrebbe salvare l’Ilva e rilanciare la città di Taranto. Un testo che però, secondo associazioni, enti e magistrati presenta forti criticità di carattere economico e ambientale, che rischiano di compromettere le aspettative dell’esecutivo di Matteo Renzi.

Quella del decreto 1/2015 è la storia di un testo nato senza risorse finanziarie certe, mal scritto ma presentato come una svolta. Ultimo di altri 6 decreti di precedenti governi che hanno tentato di rimediare, non riuscendoci, alla complessa vicenda dell’acciaieria tarantina, la più grande d’Europa. Una questione contemporaneamente giudiziaria, ambientale, economica, politica, sociale ancora aperta.

Un quadro drammatico quello dell’Ilva: nessun grande gruppo industriale seriamente intenzionato a comprarla, 3 miliardi di debiti certificati dal tribunale fallimentare di Milano e 4.074 esuberi che dovevano essere 4.459 prima dell’accordo tra azienda e sindacati metalmeccanici.

Renzi illustra il salvataggio della città di Taranto

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«La responsabilità ci chiama e noi rispondiamo prendendoci il vento in faccia. Su di noi il compito di rimediare agli errori fatti nel passato». Matteo Renzi, il 24 dicembre scorso, ha presentato così gli interventi previsti per la città di Taranto e lo stabilimento industriale dell’Ilva, suddivisi in quattro voci.
In primis, ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa, l’attenzione agli aspetti culturali, poi lo sblocco di alcuni lavori: il porto, le bonifiche e la riqualificazione della città. Terzo punto, la messa a disposizione della regione Puglia, tramite il “Fondo di sviluppo e coesione”, di una somma fino a 30 milioni di euro da investire sull’ospedale, con la costruzione di un centro per la ricerca contro i tumori, in particolare quelli dei bambini. Infine l’Ilva, per cui è prevista l’amministrazione straordinaria.

Il decreto prevede infatti la possibilità di utilizzare la legge Marzano – rivolta alla ristrutturazione industriale delle grandi imprese in crisi – come si fece per Alitalia nel 2008, ma «con risultati spero migliori», commenta Renzi. Il tutto accompagnato da un investimento pubblico «che avrà successo se avrà un tempo limitato, da un minimo di 18 mesi a un massimo di 36».

Il costo dell’operazione «è difficilmente sintetizzabile in un’unica voce», spiega Renzi, che ai 30 milioni citati, ne aggiunge altri 800, «già sbloccati, cioè già pronti da spendere per la città, extra Ilva». Gli interventi dedicati allo stabilimento e al rispetto delle previsioni dell’Autorizzazione di impatto ambientale (Aia) valgono, «stimati superficialmente», oltre un miliardo e qualche centinaio di milioni di euro. In totale, quindi l’investimento complessivo su Taranto (città e stabilimento) è di circa 2 miliardi di euro.

Il decreto Ilva in Gazzetta, ma qualcosa non torna

Queste le promesse della vigilia di Natale. Quando, però, il decreto viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo non rispecchia le promesse fatte. Le coperture presentate da Renzi non hanno un riscontro concreto e di soldi per Taranto città, ospedale e ricerca sul cancro proprio non c’è traccia. Ma anche per quanto riguarda le responsabilità dei commissari e la tempistica per la realizzazione delle prescrizioni Aia ci sono questioni poco chiare.

Diversi soggetti coinvolti nella vicenda del siderurgico hanno manifestato le loro perplessità e suggerito alcuni interventi durante le audizioni nelle Commissioni Industria e Ambiente del Senato, riunite per esaminare il decreto Ilva. Fra questi, sono intervenuti i due magistrati che più si occupano della vicenda: Francesco Greco, procuratore aggiunto di Milano, che lavora alla questione finanziaria (Ilva ha sede legale e amministrativa nel capoluogo lombardo) e Franco Sebastio, procuratore capo di Taranto che segue la parte di tutela ambientale.

Tutte le difficoltà del trovare le risorse economiche

L'Ilva vista dal centro di Taranto, via Flickr
L'Ilva vista dal centro di Taranto, via Flickr

Renzi aveva parlato di 2 miliardi di euro da investire per l’Ilva e per la riqualificazione della città di Taranto. Massimiliano Scagliarini, però, sul Sole 24 ore, dopo la pubblicazione del decreto, sottolineava che quei «soldi non ci sono». «A finanziare gran parte degli interventi di ambientalizzazione previsti dall'Aia dovrebbero essere gli 1,2 miliardi sequestrati dalla procura di Milano alla famiglia Riva. Ma – aggiungeva il giornalista – quei soldi non sono disponibili, sia perché manca il provvedimento definitivo di confisca, sia perché materialmente il denaro dovrebbe essere in Svizzera». Anche per gli interventi extra Ilva, gli 800 milioni di cui Renzi aveva detto essere «già pronti da spendere», in realtà, spiegava Scagliarini, mancano all’appello. Gli unici soldi presenti nel decreto del 5 gennaio sono i 156 milioni che «Fintecna erogherà (li ha già in bilancio) a titolo di transazione per una vecchia vertenza di quando lo stabilimento era dell'Iri».

Ulteriori perplessità sono emerse, con tutta la loro evidenza, durante le audizioni in Senato. Barbara Valenzano, custode giudiziario per l’Ilva, nella sua audizione ha parlato di fondi per ora solo “virtuali” in quanto non ancora nelle disponibilità dello Stato. Dubbi sulla consistenza delle risorse sono arrivate anche da Confindustria e Legambiente.

Ma è con l’audizione del procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, che la complessità del recupero delle risorse si concretizza e acquista toni paradossali. Il magistrato spiega che solo grazie al decreto legge n. 61 del giugno 2013 (nello specifico al comma 11 quinquies dell’articolo 1) il gip di Milano, Fabrizio d’Arcangelo, ha potuto “svincolare” il denaro (1 miliardo e 200 milioni) sequestrato a Emilio e Adriano Riva nel 2013 per “metterlo a disposizione del commissario e destinarlo esclusivamente alle misure connesse alle prescrizioni dell'Aia e al risanamento ambientale”. Il paradosso è che il decreto del governo Renzi, a detta del procuratore milanese, «sembrerebbe» aver abrogato proprio questo comma. «Non siamo riusciti a capire – ha proseguito Greco – perché si fanno le leggi in questo modo, forse per un problema di gestione di potere».

Ascoltato il parere del magistrato, il governo è dovuto correre ai ripari. Per questo motivo ha presentato nei lavori in commissione al Senato un emendamento di Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria al Senato e senatore PD, che permette e rafforza la possibilità dello sblocco degli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva anche in assenza di una sentenza passata in giudicato, grazie alla garanzia fornita dallo Stato. «Trattandosi di soldi scudati – spiegava infatti Greco in commissione – gli svizzeri non fanno difficoltà al loro rientro, a patto che la procura garantisca che le somme non verranno confiscate prima della sentenza di terzo grado. Di conseguenza, vogliono che questi soldi restino al Fondo unico di giustizia, o quantomeno che ci resti un controvalore in azioni oppure in obbligazioni».

Uno dei problemi ora è capire quali saranno i tempi del rientro di questi capitali. Il procuratore Greco – che ha già lavorato su casi simili – ha spiegato, sempre durante la sua audizione, che difficilmente le somme detenute su conti all’estero si riescono ad ottenere prima della sentenza passata in giudicato: «In questo caso essendoci un complesso di procedure immaginiamo che ci vorrà qualche anno prima che questo accada», visto che siamo ancora nella fase delle indagini preliminari. Salvatore Tommaselli, invece, senatore Pd e relatore del disegno di legge di conversione del decreto per la 10° Commissione, sentito da Valigia Blu è più ottimista rispetto al procuratore di Milano: «secondo me, entro il giro di pochi mesi potranno essere acquisiti».

Intanto, solo a metà febbraio è stato deciso che da Cassa depositi e prestiti arriveranno all’Ilva 400 milioni di euro sotto forma di finanziamenti garantiti dallo Stato da utilizzare per “gli investimenti necessari al risanamento ambientale”, e per quelli “destinati ad interventi a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, formazione e occupazione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea”. Altri 260 milioni arriveranno invece dai prestiti bancari, grazie alla riattivazione della linea di credito con Intesa Sanpaolo e Unicredit. Finora l’Ilva è esposta nei confronti di queste due banche e del Banco Popolare per circa 2 miliardi di euro.

Il salvacondotto dei commissari e il problema delle prescrizioni ambientali

Le perplessità della procura tarantina si concentrano sull’articolo 2 del decreto (“Disciplina applicabile ad Ilva S.p.a.”). La prima di queste riguarda il comma 5, in cui si stabilisce che il piano delle misure di tutela ambientale e sanitaria si considererà rispettato se entro il prossimo 31 luglio saranno realizzate almeno l’80% delle prescrizioni.

Sul punto, la domanda che si pone il procuratore Sebastio è: «Come verrà calcolato questo 80%? Su base numerica oppure in termini economici?». E fa questo esempio: «Supponiamo che l’Aia preveda 100 prescrizioni. Se 80 sono di tipo formale (tipo dovete mettere il cartello “ci sono carichi sospesi”) a cui corrisponde un costo complessivo di 10 mila euro e altre 20 invece si riferiscono alla copertura dei parchi minerari, alle cokerie e agli impianti e costano 3 miliardi, si dà lo stesso peso a entrambe oppure no?».

Una prima  risposta arriva dai  sub-commissari Ilva che – ascoltati dalle stesse Commissioni – avevano dichiarato di interpretare la norma in senso numerico e non economico, «come avvallato anche dal ministero dell’Ambiente». Confermando così i dubbi avanzati non solo dal magistrato tarantino.

Il chiarimento definitivo – che conferma quanto detto dai commissari – è arrivato da una modifica introdotta al testo originario del decreto dopo il passaggio in Senato. Al comma 5 dell’articolo 2, infatti, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Il piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 (ndr l’Aia) si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sia stato realizzato, almeno nella misura dell’80 per cento, il numero di prescrizioni in scadenza a quella data» .

A preoccupare di più Legambiente era che il termine ultimo per l'attuazione di tutte le altre prescrizioni sarebbe stato stabilito con un atto del Presidente del Consiglio: «Quindi, la definizione dei tempi di realizzazione degli interventi, necessari a coniugare diritto al lavoro e diritto alla salute e all’ambiente, viene affidata a un decreto di cui si ignora persino quando verrà adottato». Su questo aspetto è però stata inserita una modifica in Senato, stabilendo che l'Aia dovrà essere completata al 100% entro il 4 agosto 2016.

Un altro punto poco chiaro segnalato dal procuratore Sebastio riguarda il comma 6 dell’articolo 2 in cui si dispone che “le condotte poste in essere in attuazione del Piano (ndr l'Aia) non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.

«Dire a futura memoria: “non sarai penalmente perseguibile per quello che commetterai in futuro” lascia un po’ perplessi», commenta Sebastio, che si chiede «E se non si portano a termine le disposizioni previste? La norma di salvaguardia vale oppure no? E per le condotte seguite dai commissari negli ultimi due anni?»

La preoccupazione dei magistrati tarantini è dovuta al fatto che nel frattempo la procura ha avviato un ulteriore filone di indagini, sempre per reati in materia ambientale, in seguito alla ricezione di «una serie sterminata di esposti in cui si sostiene che lo stabilimento continua a produrre gli stessi fatti di grave inquinamento che erano e sono oggetto dell’attuale procedimento penale». In questo momento, i magistrati stanno valutando quale via seguire e nella valutazione devono tenere conto di ciò che emergeva dalle leggi precedenti e di quello che emergerà dalle future, proprio nel caso si profilasse la possibilità di eventuali responsabilità degli attuali commissari.

Ospedale, ricerca sul cancro e interventi per la città: dove sono i soldi promessi?

Il lavoro svolto dalle Commissioni riunite al Senato ha tentato di colmare le distanze fra il testo originario del decreto e le promesse fatte da Matteo Renzi sul futuro della città di Taranto e del suo ospedale, ma non c’è riuscito. Dei trenta milioni da destinare alla cura del cancro e alla ricerca scientifica, specialmente delle forme che aggrediscono i bambini, ne sono rimasti solo cinque, nello specifico così distribuiti  “0,5 milioni di euro per l’anno 2015 e 4,5 milioni di euro per l’anno 2016”. Degli 800 milioni da destinare alla città e quindi “extra-Ilva” continua a non esserci  traccia alcuna.

Nel documento arrivato in esame alla Camera ci sono solo 10 milioni di euro da destinare alla messa in sicurezza e gestione dei rifiuti radioattivi in deposito nell'area ex Cemerad  del Comune di Statte, in provincia di Taranto (comma 5-bis). Le specifiche disposizioni per la città di Taranto sono rinviate al contratto istituzionale di sviluppo denominato "CIS Taranto" di cui si parla all’articolo 5 del decreto e con cui si dovrà far fronte alla situazione di criticità riguardante l’area cittadina. Resta ferma però, al comma 3 dello stesso articolo, la seguente disposizione: “Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare  nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Al comma 1 dell’articolo 8, dedicato al Piano nazionale della città e relativi interventi nel comune di Taranto viene invece inserito questo passaggio: "Il Piano di interventi può prevedere la valorizzazione di eventuali immobili di proprietà pubblica meritevoli di salvaguardia e riqualificazione nonché la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, in particolare di centri culturali, ambulatori polispecialistici ed aree verdi attrezzate con strutture ludico-ricreative”.
Ai ministeri dei Beni e delle attività culturali e del Turismo e della Difesa, d’intesa con la Regione Puglia e il Comune di Taranto, spetterà invece predisporre, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, un progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale di Taranto (ferme restando la prioritaria destinazione ad arsenale del  complesso e le prioritarie esigenze operative e logistiche della Marina Militare).

Sia il piano che il progetto però dovranno essere sottoposti al CIPE ai fini dell'approvazione e assegnazione delle risorse finanziarie “nel limite delle risorse annualmente disponibili e garantendo comunque la neutralità dei saldi di finanza pubblica”. Il decreto non stanzia quindi alcuna somma. Renzi invece aveva parlato di 30 milioni per l’ospedale e di 800 milioni per la città.

I crediti dell'indotto

Gli operatori dell’indotto Ilva non ricevono lo stipendio da mesi, a causa dei ritardi nel pagamento dei debiti con le imprese fornitrici. Le Commissioni riunite in Senato hanno lavorato anche su questo aspetto, visto che il testo del 5 gennaio non se n’era occupato a dovere. La nuova versione del decreto rende pre deducibili i crediti delle piccole e medie imprese che hanno svolto, sotto il regime del commissario straordinario, attività per la prestazione di beni e servizi in ambito ambientale, per la sicurezza e per la continuità degli impianti produttivi e per l'attuazione dello stesso piano ambientale.
Inoltre, con l’art. 2-bis si rendono disponibili 35 milioni di euro del Fondo centrale di garanzia per la liquidità delle piccole e medie imprese “con cui attivare una linea di credito per l’indotto– spiega il senatore Tomaselli –  garantita all’80% dallo Stato attraverso lo stesso fondo di garanzia. Bisogna tener presente – continua Tomaselli – che con 30 milioni di questo fondo si attivano 300-400 milioni di crediti». Per quanto riguarda le piccole e medie imprese dell’autotrasporto, l’art. 2 (comma 8-bis) prevede ora anche la sospensione dei termini per i versamenti dei tributi erariali fino al prossimo 15 settembre. Infine, per le Pmi fornitrici dell’Ilva, nello stesso articolo, è stata prevista l’estensione della moratoria in materia di mutui e finanziamenti fino al 2017.

Gli autotrasportatori, che con l’Ilva hanno un credito totale di svariati milioni di euro, in presidio davanti allo stabilimento, non sono soddisfatti dell'ultima versione del decreto perché, denunciano, non tutela i loro crediti pregressi. Dopo lo sciopero e le mobilitazioni degli ultimi mesi, hanno lanciato un nuovo ultimatum chiedendo un incontro per oggi ai tre commissari straordinari dell'Ilva per avere risposte certe. Se non ci sarà una fumata bianca, è stato promesso il blocco totale dei rifornimenti e una marcia a Roma dei tir dalle tre sedi Ilva in Italia.

Update 27/2: Al termine dell'incontro tra i tre commissari e le sigle dell'autotrasporto è stato raggiunto un accordo sui crediti futuri, con promesse e impegni da parte dell'azienda anche su quelli pregressi. Anche se i blocchi davanti ai cancelli dell'Ilva sono terminati, manca però compattezza tra gli autrasportatori. "Trasporto unito" ha definito infatti "sconveniente" l'accordo raggiunto, annunciando un ricorso legale contro l'intesa. Gli autrasportatori di Taranto hanno comunque avvertito che la tregua raggiunta finirà e i blocchi torneranno se tra un mese sui crediti pregressi non si sarà trovata una soluzione.

No ai risarcimenti per l'inquinamento dell'Ilva

Diretta conseguenza dell’amministrazione straordinaria a cui è sottoposto lo stabilimento è la mancata possibilità per i cittadini tarantini di essere risarciti dall’Ilva per i danni ambientali. Lo scorso 5 febbraio infatti il giudice dell’udienza preliminare, Wilma Gilli,  durante il processo “Ambiente svenduto” che si sta svolgendo a Taranto, ha bloccato le richieste di risarcimento (30 miliardi in totale) che erano state avanzate dalle parti civili: associazioni delle famiglie delle vittime, i ministeri dell’Ambiente e della Salute, Regione, Comune di Taranto, ecc. Un fatto che ha scatenato forti polemiche e indignazione anche se «restano le eventuali responsabilità penali dei singoli – come  spiega Domenico Palmiotti sul Sole 24 ore – ma per i risarcimenti le parti civili che si ritengono lese o dovranno procedere nei confronti dei singoli, oppure fare istanza al Tribunale fallimentare di Milano che sovrintende alla procedure dell'amministrazione straordinaria».

Articolo a cura di Maria Chiara Furlò e Andrea Zitelli

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