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Il successo internazionale di Elena Ferrante e la crisi della critica Italiana

Il primo Settembre scorso è uscita negli Stati Uniti la traduzione del libro di Elena Ferrante, Storia di una bambina perduta. L’autrice gode ormai di un successo consolidato in un mercato editoriale come quello americano, e a detta ormai di non poche voci, non può essere assolutamente ridotta a un fenomeno di mero consumo date le doti letterarie che le sono riconosciute. Come mai tale successo è stato possibile all’estero e solo di rimando in Italia? Ecco alcune riflessioni sull’argomento.
A cura di Luca Marangolo
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Il 24 Agosto  l’inserto culturale del Corriere della Sera ha pubblicato un'intervista al grandissimo critico letterario e filologo Pier Vincenzo Mengaldo, il quale vi condivideva una riflessione sulla condizione della letteratura italiana. In quella intervista Mengaldo riteneva la letteratura italiana in forte crisi, denunciando, come molti critici di ambiente accademico, che gli ultimi scritti di un qualche valore dovessero esser fatti risalire ad Italo Calvino.

Poco tempo dopo, più esattamente il 1 Settembre scorso, in un modo che quanto meno potrebbe stridere con questa dichiarazione, usciva la quarta traduzione di Elena Ferrante negli Stati Uniti, The Story of the Lost Child.

Il libri di Elena Ferrante sono una testimonianza incredibile di successo letterario che, nonostante o forse proprio per colpa dello stupido battage mediatico sull’identità dell’autrice, non hanno avuto l’attenzione e il risalto che meritano. Non c’è dubbio che sono riusciti a penetrare l’immaginario americano sull'Italia, già segnato dai film di Francis Ford Coppola, di Scorsese e, in forma più elitaria, da Pasolini e De Sica.

Ma i libri di Elena Ferrante hanno successo forse perché sono costruiti secondo uno stile ed un gusto narrativi che effettivamente pochi scrittori hanno, oggigiorno, e di cui evidentemente c’è fame, fra il pubblico. Senza fare paragoni di valore fra autori tra loro diversissimi, Elena Ferrante ha in comune con artisti come Mo Yan o, giusto per fare un esempio, Jonathan Littell, la capacità di costruire una narrazione dettagliatissima, dalla carica affabulatoria molto grande proprio perché in grado di fare immergere il lettore in uno spazio narrativo, in un mondo letterario dalla fortissima  identità o connotazione.

Nel caso di Mo Yan è la remota provincia di Gaomi, nel caso di Littell è l’Ucraina del periodo bellico, nel caso della Ferrante è la Napoli post-bellica. Lo ripetiamo, si tratta di autori diversissimi e inassociabili per moltissimi versi, ma non si vuole fare un paragone sul valore: il punto è che essi hanno una dote in comune,  quella di avere assorbito a tal punto la Stimmung, il mood di un luogo, da dare quasi l’impressione che i personaggi, le situazioni e le vicende emergano direttamente da lì, dal mondo in cui gli stessi autori  sono vissuti, dall’imprinting assoluto che il luogo dà ai personaggi conferendovi un'umanità che,  evidentemente attrae fortemente il pubblico. Si ha la netta impressione che oggi il romanzo  oggi possa e debba  ancora essere un mezzo esplorativo, un mezzo di indagine di luoghi remoti e per tale ragione attraenti. Il pensare che il valore di un romanzo coincida con un concetto assoluto di letterarietà, fra l'altro difficilmente identificabile, significa escludere significativamente una porzione di letteratura dall'orizzonte critico.

Se queste considerazioni sono giuste, c’è da interrogarsi sul senso della crisi evocata da Mengaldo: ovviamente il successo della Ferrante potrebbe da taluni essere bollato come meramente commerciale, marcando la differenza fra una letteratura più alta oggi scomparsa ed una letteratura di mercato. Se però ciò da un lato non renderebbe giustizia alla Ferrante che, a detta di molti critici, nostrani, del mondo anglosassone e anche d’oltre-oceano, ha un’indiscussa qualità narrativa e letteraria (si leggano ad esempio delle recensioni su inserti prestigiosi come quello di The Guardian o la New York Review of Books) dall'altro tale considerazione non eluderebbe neanche tutti i problemi che questo paradosso fa trasparire.

E allora cos’è accaduto? Cos’è accaduto alla letteratura Italiana se da un lato la critica straniera celebra una nostra autrice con vigore estremo e critici anche autorevoli non trovano in Italia degni talenti?

Probabilmente ciò che è accaduto è che si è rotto qualcosa nel sistema-letteratura, e quel che si è rotto è il legame fra la letteratura e le istituzioni deputate a tramandarla e a indicarne il valore. La nostra ipotesi è che il caso Ferrante è una prova del fatto che le logiche attraverso cui un’opera di narrativa ottiene successo, si sviluppa e riceve il proprio riconoscimento sfuggono alla capacità di quelli che vengono definiti critici, ovvero coloro che, più di tutti gli altri, hanno ereditato assorbito e studiato la tradizione  letteraria, l’hanno compresa e ne hanno elaborato un gusto, un’idea, sulla base della quale giudicano ciò che viene loro proposto dall'attualità. Non c’è solo Ferrante fra coloro che sarebbero stati ignorati dalla critica; costei, in quanto fenomeno di massa, è più facilmente attaccabile; ci sono casi anche più colti, e, per questo, più gravi: la fatica che ha patito Aldo Busi ad essere riconosciuto come uno scrittore di enorme valore qual è, la fatica – ormai proverbiale fra i suoi ammiratori- di Moresco ad Esordire; sono tutti segnali, bene o male, di questo distacco.

Il successo di Elena Ferrante, a prescindere dal gusto di palati più o meno raffinati, non può e non deve essere preso sottogamba, e non dovrebbe essere oggetto di semplificazioni neanche da parte di coloro che non la amano, ma anzi dovrebbe essere oggetto di seria analisi e comprensione. È forse l'indizio di un modo diverso- meno mediato culturalmente e più globalizzato- in cui il romanzo si relaziona con i lettori; un modo che, ai tempi di Calvino, non esisteva. Mentre in Italia si gioca ad indovina chi con il nome dell'autrice, la potente macchina commerciale e mediatica  intorno a lei si è riaccesa, ed anch’essa non dovrebbe esser presa sottogamba, se non altro perché è un fenomeno editoriale che nasce in risposta ad un esigenza narrativa che sarebbe un delitto ignorare -ricordando, su questo, la lezione di Walter Benjamin sull'arte di massa- perché significherebbe allargare ancora il divario fra lettori e critici di cui abbiamo parlato.

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