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Il rublo interrompe la caduta ma Putin resta sotto pressione

Dopo aver perso quasi metà del suo valore contro dollaro ed euro in tre mesi, il rublo rimbalza stasera dell’8,5%. Ma per la Putinomics le prospettive restano tragiche: nel 2015 la Russia sarà in recessione e anche gli oligarchi iniziano a soffrire.
A cura di Luca Spoldi
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Il rublo tira il fiato e dopo sei sedute di continui crolli rimbalza dell’8,5% a quota 62,10, circa 10 figure meno di ieri, mentre il Micex (l’indice della borsa di Mosca) ha chiuso in recupero del 3,18% dopo aver segnato in mattinata un rialzo massimo del 5,8%). Merito dell’annuncio dato ieri al termine di una riunione d’urgenza del governo guidato da Dmitry Medvedev che il Tesoro russo è pronto a vendere sul mercato i 7 miliardi di dollari di cui dispone per sostenere la valuta russa, che negli ultimi tre mesi con l’esplodere della guerra sui prezzi petroliferi (che ha portato l’oro nero a passare dai 100 dollari al barila a cui ancora oscillava a inizio luglio ai 55 dollari scarsi attuali), petrolio che con gas naturale e idrocarburi rappresenta circa la metà dell’intero Pil russo.

L’annuncio in verità ha avuto un impatto più psicologico che concreto, complice anche il fatto che ormai la maggior parte degli investitori si attendeva semmai l’annuncio di limiti alla movimentazione dei capitali, un’ipotesi che aveva semmai fatto aumentare la conversione di rubli in valute “forti” da parte sia dei russi stessi, che si trovano anche a dover fare i conti con prezzi in rapida ascesa per tutti i prodotti d’importazione,sia da investitori finanziari internazionali come pure da banche e imprese internazionali che operano sul mercato russo. La banca centrale russa, del resto, ha già venduto, senza produrre effetti apprezzabili, 87 miliardi di dollari per acquistare rubli sul mercato e rischia di doverne spendere almeno altri 70 secondo gli esperti del mercato dei cambi.

La banca centrale russa dispone tuttavia di ulteriori 416 miliardi di dollari di riserve liquide e potrebbe vendere parte del suo oro, visto che da inizio anno al 18 novembre aveva accumulato altre 150 tonnellate metriche raggiungendo un totale di 1.169,5 tonnellate metriche d’oro (per un controvalore pari al 10% delle riserve in valuta estera). La guerra sul rublo (e quella parallela sul petrolio) può dunque andare avanti ancora molti mesi, ma a questo punto i danni più gravi saranno avvertiti dall’economia, come già i mercati hanno iniziato a subodorare penalizzando chi, come il produttore svedese di birra Carlsberg ha una rilevante esposizione sul mercato russo (tanto che il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha subito precisato che il gruppo non prevede di dover svalutare gli asset della controllata Zao Unicredit, il cui bilancio, che vede 14 miliardi di euro di impieghi ed un valore di libro dei propri asset pari a 2,9 miliardi di euro, è per metà espresso in rubli e per metà in dollari).

La recessione è ormai inevitabile, ma al Cremlino Vladimir Putin non sta certo con le mani in mano e prova in tutti i modi a trovare qualche via d’uscita. Accanto alle “sparate” propagandistiche come l’invito all’autarchia o lo stop a progetti come South Stream, il presidente russo nelle ultime settimane ha moltiplicato i suoi viaggi all’estero cercando, sinora con un successo solo parziale, di stringere accordi commerciali con Cina, Turchia ed India. Certo, ufficialmente gli indici di gradimento di Putin restano vicini ai massimi storici e nessuno si sogna di mettere in discussione la sua politica aggressiva nei confronti dell’Ucraina, accusata di essersi prestata al gioco e agli interessi dell’Occidente ai danni della popolazione filo-russa. Ma analisti moscoviti citati dall’agenzia Bloomberg hanno già segnalato come alcune crepe inizino a notarsi nonostante il martellare della propaganda che dipinge la crisi come “sotto controllo” da parte delle autorità russe.

Di certo tra gli oligarchi e gli ultraricchi russi finora solidali con Putin il nervosismo sta crescendo: sempre Bloomberg calcola che i 20 uomini d’affari più ricchi della Russia abbiano complessivamente perso 62 miliardi di dollari da inizio anno (di cui gli ultimi 10 miliardi solo nell’ultima settimana) tra i contraccolpi delle sanzioni economiche, il calo delle quotazioni del greggio e il crollo del rublo. Così l’ottimismo che si respirava nella “Mosca bene” ancora a fine marzo, quando si pensava che il braccio di ferro con l’Ucraina sarebbe stato facilmente vinto da Mosca e rapidamente dimenticato dall’Occidente e non si immaginava minimamente che l’Opec avrebbe accettato di vedere i prezzi del greggio scendere sotto i 90 dollari prima, i 70 poi e forse i 50 nelle prossime settimane, solo per mettere in ginocchio ufficialmente i produttori americani di shale oil, ma secondo molti proprio la Russia e i suoi alleati tradizionali come l’Iran (e il Venezuela). Il tramonto della “Putinomics” avviene proprio mentre gli Stati Uniti sembrano voler provare a usare un approccio meno “muscolare” e più diplomatico nei confronti di un altro storico alleato di Mosca, Cuba, con cui Obama, mentre minaccia nuove sanzioni alla Russia, sta provando a distendere le relazioni dopo decenni di tensioni e anche questo non pare un caso.

Nel 1999, ad un anno dall’esplosione della crisi dei mercati emergenti partita dall’Asia e rapidamente propagatasi in Russia, il presidente Boris Yeltsin, dopo aver concordato un default, dovette dimettersi lasciando spazio proprio a Vladimir Putin. Ora Putin fa gli scongiuri per non dover vivere un deja-vu alquanto sgradevole dal suo punto di vista. Ma Usa, Arabia Saudita e, in forma più defilata, Unione Europea non paiono intenzionate a mollare la presa, preparandosi anche ai possibili contraccolpi, come la catena di default che potrebbe far “saltare” più di un rimborso di bond atteso nei prossimi 12 mesi (in tutto sono in scadenza 100 miliardi di dollari di bond), in gran parte in mano a investitori istituzionali come il fondo Emerging Markets Bond Fund gestito da Pimco (Pacific investment management company), gestore americano controllato dal gruppo Allianz che nell’ultimo mese ha già visto le quote perdere il 7,9% a causa di un’esposizione a obbligazioni russe pari a 803 milioni di dollari (il 21% degli asset totali). E’ del resto il costo delle guerre, anche solo finanziarie: ci sono sempre da mettere in conto vittime da entrambe le parti. Auspicabilmente sia la Federal Reserve sia la Bce staranno già pensando a come ridurle al minimo, in attesa che lo “zar” di Mosca muti politica o faccia le valige.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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