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Il ricatto della fiducia sull’Italicum

Renzi pone la fiducia sull’Italicum e appende al filo dell’approvazione della legge elettorale le sorti del Governo, ricattando il Parlamento. Si aprono molteplici scenari, a questo punto, quel che è certo è che a pagare dell’autoritarismo renziano sarà solamente la tanto bistrattata democrazia.
A cura di Charlotte Matteini
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"Sull'Italicum é prematuro parlare di fiducia", dichiarava il Ministro Maria Elena Boschi il 18 aprile scorso. Eppure ieri, nonostante la legge elettorale abbia passato indenne le votazioni delle pregiudiziali di costituzionalità e di merito, il Governo ha voluto porre lo stesso la questione di fiducia, blindando il testo della Commissione e legando a doppio filo la sopravvivenza dell'esecutivo Renzi all'approvazione della riforma. "Se perdo vado a casa. Non c'è cosa più democratica del porre la fiducia e rischiare la poltrona per le proprie idee", ha dichiarato poi Renzi al Tg1.

Una mossa ampiamente prevedibile, quella della fiducia, ma politicamente molto scaltra: Renzi vuole approvare l'Italicum in fretta e permettere alla Camera di fare delle modifiche porterebbe il testo nuovamente al Senato e questo non solo allungherebbe i tempi, ma potrebbe porre a rischio l'approvazione dello stesso a Palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza sono decisamente più risicati. E per evitare questo scenario, ha deciso di scoprire le sue carte e andare in "all in": non volete approvare la riforma elettorale su cui stiamo lavorando da un anno? Liberi di farlo, ma prendetevi la responsabilità di far cadere il Governo. Un aut aut strafottente, che di fatto, ancora una volta, esautora il Parlamento, umiliandolo. Da una parte, quindi, se la minoranza del Pd e le opposizioni decidessero di salvare l'esecutivo, gli italiani bollerebbero il comportamento come una mossa di mero calcolo utilitaristico, giusto per salvare la cadrega. Dall'altra parte, se i cosiddetti dissidenti decidessero di votare contro, si correrebbe il rischio di tornare alle urne, qualora Mattarella decidesse di sciogliere le Camere, in un momento decisamente poco opportuno vista la delicata situazione economica e sociale che sta attraversando il Paese.

In pratica, valutati entrambi gli scenari, Renzi più che un voto di fiducia, ha posto un ricatto ai parlamentari, mollando nelle loro mani la patata bollente, conscio del fatto che qualsiasi sarà il risultato, lui potrà beneficiare degli effetti. Dovesse vincere e venisse quindi approvato l'Italicum, Renzi sarebbe finalmente riuscito a mettere sotto scacco la noiosa minoranza Pd "che non vuole adattarsi alle regole della democrazia". Dovesse perdere, potrebbe sfruttare l'episodio per convincere gli italiani del fatto che è impossibile riformare il Paese quando si vive sotto il ricatto delle minoranze politiche e, ultimo dettaglio non meno importante, forte del suo ruolo di segretario del Partito Democratico, avrebbe campo libero nella scelta delle candidature e potrebbe eliminare i dissidenti e circondarsi di persone a lui congeniali, costruendosi un'eventuale futura squadra parlamentare decisamente più solida e meno bizzosa.

Qualunque sarà l'epilogo della vicenda Italicum, però, allo stato attuale i fatti ci suggeriscono un'unica interpretazione del Renzi pensiero: pare quasi che il Premier consideri la dialettica democratica un'inutile perdita di tempo. Emblematica la sua frase "la minoranza si deve adeguare alla maggioranza" detta in occasione della cacciata dei dieci dissidenti dem dalla Commissione Affari Istituzionali non più tardi di una settimana fa. Per Renzi l'importante è approvare le riforme, la forma e il metodo son quisquilie, tanto che è pronto a mettere in discussione i meccanismi democratici stabiliti dalla Carta Costituzionale pur di mostrare la sua virilità politica e il suo carisma da one man show, non tenendo conto di critiche e suggerimenti e di fatto ricattando chi è stato eletto in rappresentanza dei cittadini, riducendo il percorso di approvazione delle riforme alla stregua di una banale partita a braccio di ferro.

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