Come ampiamente prevedibile, il clamoroso risultato elettorale del MoVimento 5 Stelle, vicino al 50% nelle regioni meridionali, ha aperto un dibattito ampio e complesso fra analisti, editorialisti e commentatori politici. Uno dei punti su cui la polemica è più serrata è sul peso in termini di consenso elettorale che possono aver avuto alcune proposte contenute nel programma del MoVimento. In particolare, l’attenzione è puntata sul reddito di cittadinanza, uno dei cavalli di battaglia del MoVimento 5 Stelle, oltre che una storica rivendicazione dei movimenti di sinistra.
Che cos’è il reddito di cittadinanza del MoVimento 5 Stelle
Cominciamo col dire che tecnicamente non si può parlare di un vero e proprio reddito di cittadinanza, quanto piuttosto di una forma di reddito minimo garantito. Il reddito di cittadinanza è una misura di tipo universalistico “in cui la concessione del sussidio non è subordinata a un accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell’individuo” (Boeri). In altre parole, si tratta di un sostegno che spetta a tutti, indipendentemente dal reddito, dalla condizione lavorativa o da qualunque altro fattore. La proposta del MoVimento, che si basa su un disegno di legge a prima firma Catalfo, invece, è una misura universale (perché le regole sono uguali per tutti), ma selettiva, non limitata a particolari tipologie di lavoratori e invece calibrata su una soglia minima che ogni nucleo familiare dovrebbe raggiungere. In altre parole, si tratta di “aiutare” i beneficiari a raggiungere una determinata soglia di reddito, tramite assegno integrativo.
Per il M5s è necessario garantire un reddito annuo netto pari a 9360 euro, dunque con un assegno mensile di 780 euro o di una cifra integrativa, nel caso in cui il beneficiario abbia già un reddito. Se il nucleo è composto da più persone, c’è un quoziente familiare: in due si va da un minimo di 1.014 euro a un massimo di 1.170, in tre da 1.248 a 1.560 euro e a salire in base al numero dei componenti della famiglia. La cifra è calibrata sulla “soglia di povertà relativa” e sarà aggiornata in base alle variazioni ISTAT.
Il reddito di cittadinanza nella versione 5 Stelle spetta a “tutti i cittadini italiani che percepiscono un reddito netto annuo inferiore ai 9360 euro netti e a tutti i cittadini stranieri provenienti da Paesi che hanno sottoscritto accordi sulla reciprocità del sostegno previdenziale”. Se si ha meno di 25 anni, bisognerà aver conseguito almeno il diploma o una qualifica professionale. Il reddito decade nel caso in cui, dopo aver fornito “immediata disponibilità al lavoro” si rifiutino tre proposte di lavoro “congrue” o si siano sostenuti “più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo”.
Quanto costa il reddito di cittadinanza e che problemi ci sono
Il MoVimento 5 Stelle (e sostanzialmente ISTAT) sostiene che il costo della misura è di 17 miliardi di euro l’anno, di cui 2 miliardi da destinare alla riforma dei centro per l’impiego. Sul costo totale, vale la pena sottolinearlo, non tutti gli economisti concordano: per Baldini e Daveri (che ne parlano su LaVoce.info) il costo totale, applicando alla lettera il testo della proposta, si aggirerebbe sui 29 miliardi di euro. Le coperture, per le quali gli uffici del Senato hanno “garantito”, arriverebbero da tagli di spesa, aumenti di gettito e revisione della tassazione su concessioni e gioco d'azzardo. Sul punto, tra le altre, va registrata la perplessità di Carlo Cottarelli: “In realtà alcune voci non sono chiaramente specificate e per altre (come la tassazione delle banche) potrebbero ricadere su famiglie e imprese”.
La misura non entrerebbe in vigore immediatamente, dal momento che sarebbe subordinata alla ristrutturazione dei centri per l’impiego (peraltro avviata in questa legislatura) e, nel frattempo, dovrebbe sostituire altre misure come il reddito di inclusione.
È aperto, invece, il dibattito sugli “effetti del reddito di cittadinanza sul mercato del lavoro”. Ve ne avevamo parlato qui:
C’è un altro aspetto di cui tenere conto, ed è relativo al modo in cui i cittadini reagiranno all’inserimento di un reddito di cittadinanza. In poche parole, quante persone con un lavoro a bassa retribuzione “si accontenteranno” del reddito di cittadinanza? Come cambierà l’approccio al mondo del lavoro in funzione del reddito garantito dallo Stato? Si innescherà un ciclo virtuoso, in grado di far aumentare i salari, di provocare la crescita dei consumi e aumentare la fiducia dei cittadini, oppure uno vizioso, con l’esplosione delle domande per il reddito di cittadinanza, l’aumento dei costi per lo Stato e il prosciugamento delle risorse a disposizione?
Anche nel caso della proposta del MoVimento 5 Stelle si ripresenta, infine, il problema essenziale legato all’intero dibattito: ovvero quello di capire quanto una misura come il reddito di cittadinanza sia funzionale alla preservazione dell’intero sistema e sia solo “il sostituto cosmetico del diritto al lavoro”, per citare Kirchmair.
Al Sud hanno votato 5 Stelle per avere il reddito di cittadinanza?
È questa una delle tesi che circola in ambienti vicini al Partito Democratico e che molti analisti stanno rilanciando per "giustificare" il clamoroso boom di consensi del MoVimento 5 Stelle al Sud. Si ripropone, su altra scala, il discorso che venne impostato, dalla parte politica opposta, in relazione al rapporto fra 80 euro e boom del PD alle Europee del 2014. L’idea però di un legame “diretto e decisivo” fra la proposta di reddito di cittadinanza e il consenso degli elettori del Sud appare francamente semplicistica. Prima di tutto perché, come scrive Nicodemo sul Cormezz, “quando una forza politica prende una percentuale al Sud che oscilla tra il 40% e il 50% stiamo parlando di un fenomeno che non può più essere circoscritto alle istanze anti-sistema, né può essere semplificato in una lettura economico-politica (reddito di cittadinanza – basso Pil)”. Le proporzioni del consenso sono talmente ampie e diffuse su più livelli, che è impossibile piegarle a interpretazioni banali e generalizzanti. Peraltro, il consenso verso il M5s attraversa aree diverse del Mezzogiorno, con differenti livelli di reddito, composizione dell’elettorato e via discorrendo.
A supporto di una visione meno “tranchant” della scelta degli italiani vi è anche l’analisi Tecné sul “comportamento di voto per principale problema”:
Mancanza di lavoro e reddito basso sono componenti "decisive" per l'elettorato del M5s ma in proporzioni tutto sommato in linea con quanto ottenuto poi alle urne. Certo, il 50% dei disoccupati vota per il MoVimento 5 Stelle e al Sud il tasso di disoccupazione è più alto, ma si tratta di dati che necessitano di altre contestualizzazioni: su tutte la valutazione per l'operato del Governo, la fiducia per la classe dirigente, l'apprezzamento per la scelta dei candidati a livello locale (al Sud è imbarazzante l'assenza di ricambio generazionale e politico nelle liste dei partiti tradizionali) e l'impostazione della campagna elettorale del MoVimento. Quest'ultimo punto è dirimente, a parere di chi scrive, tenendo conto dell'attenzione che i grillini hanno dato agli "ultimi", agli "emarginati" a chi aveva bisogno di "protezione sociale". Hanno colmato un vuoto, intercettato un bisogno, certo anche con promesse demagogiche e con slogan populisti. Il reddito di cittadinanza è parte della struttura costruita dal MoVimento 5 Stelle. E come tale, in parte, ha contribuito al successo elettorale.