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Opinioni

Il Governo rischia davvero di cadere sul TAV?

Il vertice sulla realizzazione della tratta del TAV Torino – Lione a Palazzo Chigi tra Conte, Di Maio, Salvini e Toninelli non poteva essere risolutivo e la questione resterà ancora in sospeso: troppo distanti le posizioni e pochi margini di manovra per un possibile compromesso. Una crisi di governo adesso, però, non sembra essere in discussione: proviamo a capire il perché.
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Il problema, stavolta, è rappresentato dalle tempistiche: a breve si riunirà il consiglia di amministrazione del TELT, l’azienda di proprietà al 50% della Francia e al 50% di Ferrovie dello Stato, che è il promotore pubblico responsabile della realizzazione e della gestione della sezione transfrontaliera della linea Alta Velocità Torino-Lione. Entro la seconda settimana di marzo, dovrebbero partire i bandi ancora rimasti in sospeso, dal cui avvio dipendono tra l’altro anche circa 300 milioni di fondi comunitari. Insomma, scadenze tecniche e “due” analisi costi-benefici, posizioni ormai consolidate dei due azionisti della maggioranza, sarebbe anche giunto il tempo di prendere una decisione definitiva.

Invece.

Il vertice di Palazzo Chigi tra Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli era stato convocato per provare a elaborare una strategia nel percorso che porta ad arrivare alla decisione definitiva. Sembra una supercazzola scritta così, ma la sostanza è quella: il governo non vuole ancora decidere sulla realizzazione dell’opera. O meglio, Conte non può decidere: troppo lontane le posizioni sul tavolo, troppo fumosa l’idea di una rinegoziazione dell’opera (vista anche la posizione francese), poco consistenti le soluzioni di compromesso. Al termine dell'incontro, infatti, Conte ha fissato una deadline, quella di venerdì prossimo: “Oggi c'è stata la prima riunione politica, abbiamo iniziato l'analisi costi benefici. Domani sera alle 8,30, riunione con i tecnici a oltranza; prenderemo la decisione migliore per i cittadini, per tutelare l’interesse nazionale, dunque il governo non rischia”.

La spaccatura è ben evidenziata dalla situazione al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il ministro Danilo Toninelli sventola l’analisi costi – benefici (e in parte anche il supplemento del professor Ponti) e ribadisce la propria contrarietà, parlando della possibilità (tutta da verificare) di utilizzare le risorse per altre opere. Il viceministro leghista Edoardo Rixi, invece, è di tutt’altro avviso e parla di completamento di un’opera già avviata come atto di buonsenso, caldeggiando almeno il via libera ai bandi.

E quindi?

Malgrado qualche dichiarazione, in casa 5 Stelle assicurano che nessuno è disposto a giocarsi tutto sul TAV. E c'è da crederci. Del resto, da qualche settimana è cominciata l’opera di “minimizzazione” della valenza della questione, a colpi di “si parla solo di TAV”, “ci sono problemi più importanti che interessano gli italiani” e via discorrendo. Non a caso, al termine del vertice, il Presidente del Consiglio ha parlato di un doppio aspetto, tecnico e politico. Perché la partita non si gioca solo sull’analisi costi – benefici (come vorrebbe il M5s), ma deve necessariamente tener conto di altri fattori. In questa fase, la componente “tempo” è la più importante. E la soluzione prospettata dalla Lega va proprio in quella direzione: dare il via libera alla definizione dei bandi, incassare i 300 milioni europei di co-finanziamento, poi avviare una “ridefinizione” dell’opera, chiedendo la revisione del progetto dalla parte italiana e anche di rivedere la quota di finanziamento italiana. La tesi della Lega è che il via libera ai bandi non implicherebbe in alcun modo l’ok definitivo alla TAV, perché “la parte burocratica” (inviti, manifestazione di interessi e procedure di valutazione e assegnazione) richiederebbe “almeno un anno”, durante il quale si potrebbe capire in che modo ridisegnare l’opera. Una linea tirata per i capelli, va detto, perché si tratterebbe con molta probabilità di un semplice allungamento dei tempi, date le problematiche “tecniche” di una revisione consistente dell’opera.

I 5 Stelle però sono sensibili a due concetti “collegati” alla linea leghista: il “risparmio potenziale” di 1,5 miliardi di euro (da dirottare, non si sa ancora in che modo, su altre opere pubbliche) e l’apertura di una riflessione sulle alternative, come il potenziamento del Frejus. Insomma, ok ai bandi, un anno di tempo, campagna elettorale per le Europee “tranquilla” e crisi di governo scongiurata, o almeno rimandata.

Sarà questa la soluzione? Difficile a dirsi, in ogni caso la grana si ripresenterebbe. Anche perché, come spiegava il Corsera, il progetto è “figlio di un accordo internazionale tra i governi di Italia e Francia, ratificato dai rispettivi rami dei parlamenti”, per bloccarlo servirebbe un nuovo voto di Camera e Senato sia da noi che Oltralpe, oppure un’uscita unilaterale dell’Italia col rischio di un lungo arbitrato internazionale (che potrebbe avere conseguenze sul bilancio). Andare alla conta in Parlamento è opzione che non convince Conte in primis. Poi Di Maio, che avrebbe un capro espiatorio cui dare la colpa del mancato stop all'opera, ma dovrebbe poi prendere atto della rottura degli equilibri in favore di Salvini. Non basta la volontà politica solo dei 5 Stelle, insomma. Anche se esplicitarla una volta per tutte e in maniera chiara sarebbe già qualcosa.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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