Nonostante le smentite di rito, è stata una faticaccia: trovare l'intesa sui 16 nomi che affiancheranno Renzi nei prossimi mesi è stato un capolavoro di equilibrismo politico e di tatticismo. Del resto, con tali premesse, stessa maggioranza, l'incubo delle riforme e pochissimi margini di manovra al Senato, non era lecito attendersi cambiamenti radicali e la rivoluzione del Sindaco di Firenze poteva attecchire solo nella forma, difficilmente nella sostanza. E in effetti, come ormai recitano ai 4 venti tutte le testate di peso, il ciclone Renzi con "velocità, rapidità, frenesia" ha polverizzato i tempi e in pochi giorni ha cambiato il quadro politico italiano. Dall'ormai celebre #Enricostaisereno al nuovo Governo in pochi giorni e in pochissime mosse.
E ciò che è venuto fuori dall'insieme delle mediazioni e dei compromessi non poteva che essere una copia sbiadita dei governi parlamentari della Prima Repubblica. Quelli del Cencelli e del bilancino, dello spoil system e del compromesso: insomma, la rottamazione è lontana anni luce. Di questo ne è ovviamente consapevole Matteo Renzi, che però ha scelto di giocare un'altra partita, del tutto individuale. Il Presidente del Consiglio proverà ad essere lui il cambiamento, lui la discontinuità, lui il rinnovamento, lui la leva attraverso la quale sollevare il Paese e (forse) la politica. Questa non è "la volta buona", ma "la volta di Renzi". E questo esecutivo farà da cornice allo "one man show" del segretario democratico: con quali risultati staremo a vedere.
Perché davvero Renzi e Napolitano hanno chiuso una lista decisamente discutibile e giustamente discussa. A cominciare dalle conferme dei "vecchi" del Nuovo Centrodestra, ministri che di certo non hanno brillato nell'esecutivo Letta e che erano finiti al centro delle critiche proprio dei renziani (dicono niente le parole Shalabayeva, Stamina, Terra dei Fuochi, De Luca eccetera?). Ma è nella scelta dei ruoli chiave che la pretesa discontinuità non si intravede nemmeno: all'Economia è andato un economista "in linea" con Saccomanni (si spera meno confusionario), al Lavoro un "uomo d'area" e con una grande rete di relazioni, poi il "pacato" Orlando (non sgradito al centrodestra come Vietti o Gratteri, eresia!) che passa con disinvoltura da Ambiente a Giustizia (che poi sarebbe la sua collocazione naturale), allo Sviluppo Economico un tecnico "allineato" (vabbeh, la Trilaterale, le simpatie forziste le mettiamo finanche da parte); alla Difesa e agli Esteri, al posto dei deludenti Mauro e Bonino, vanno due donne da tempo in rampa di lancio, ma con pochissima esperienza internazionale. Insomma, tutti nomi in fondo "graditi" anche in casa Berlusconi, il cui appoggio resta essenziale nella partita per le riforme.
Poi ci sono le cambiali che Renzi ha onorato. Quella con Franceschini, sostegno formidabile in queste settimane, promosso alla Cultura, in sfregio al consenso di cui godeva e gode Massimo Bray. Quella con Scelta Civica, che ottiene l'Istruzione con tanti saluti alla Carrozza e al suo (ottimo, a parere di chi scrive) decreto scuola. Quella ai centristi, con il siluramento della Kyenge in cambio della "testa" di Quagliariello. La vecchia prassi politica (democristiana, spiega il direttore di Fanpage) insomma avanza e conquista di nuovo (?) Palazzo Chigi.
Alla fine, cosa resta della rivoluzione gentile e vorticosa del Sindaco di Firenze? Essenzialmente lui e la sua sfida. Poco? Abbastanza? Staremo a vedere, in fondo maggio è vicino e la prima partita sta per cominciare.