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Il Drone – Must 2013 per stati all’ultima moda, ora li vuole anche l’ONU per le “missioni di pace”

Giappone e Cina si armano in vista di un possibile conflitto; un drone USA viene trovato a largo delle Filippine a centinaia di miglia dalla base più vicina; l’Italia arma i suoi apparecchi; l’ONU vuole acquistarne. Perché questa nuova corsa alle armi e quali conseguenze potrebbe avere?
A cura di Anna Coluccino
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C'è stato un tempo in cui si credeva – e qualcuno ancora ci scommette – che l'unica maniera per salvare l'umanità da se stessa e dalle proprie intrinseche contraddizioni fosse affidare l'intera organizzazione mondiale alle macchine: la politica, l'informazione, l'economia, tutto quanto aveva funzione decisiva e decisionale avrebbe dovuto essere gestito da robot programmati per far bene; macchine impermeabili all'avidità, alla corruzione, alla vanità, alla sete di potere; semplici strumenti creati per scaricare l'essere umano delle responsabilità che non voleva (e spesso non sapeva né sa) sostenere. In buona sostanza: perché impegnarsi ad evolvere come specie e lavorare al progressivo miglioramento delle relazioni umane se possiamo farci dominare da menti programmate per essere libere da condizionamenti? Peccato che, nella maggior parte dei casi, operare dei distinguo nell'applicazione delle regole è condizione necessaria perché si operi secondo giustizia. E questo le intelligenze artificiali non lo sanno – ancora – fare. E se lo sapessero fare sarebbero "umane", quindi a che serve?

Ora, tralasciando l'immensa produzione letteraria e filosofica che si è sviluppata intorno ai paradossi della robotica, è interessante notare come – negli ultimi anni – si sia passati dal voler creare macchine che operassero tutto il bene che l'uomo non sempre sa fare, al creare macchine per delegare il lavoro sporco che l'essere umano non vuole più fare. In sostanza, non si sta scegliendo di affidarsi a delle macchine per eliminare il rischio di corruttibilità, ma per eliminare il rischio di un eccesso di umanità, per evitare i ripensamenti e i rimorsi attraverso cui gli esseri umani elaborano i propri errori – in quanto specie – e vi pongono rimedio. Confrontarsi in maniera cruda, diretta, non mediata con le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie decisioni dovrebbe essere un atto di responsabilità irrinunciabile in chi assume su di sé il potere di decidere della vita e della morte delle persone.

Giappone e Cina si armano di droni  – Ecco un primo esempio di come il mondo comincia a muoversi intorno alla questione "drone". L'acquisto di una simile tecnologia sta diventando, per tutti, la prima risposta a qualsivoglia tensione internazionale. Nel caso di Giappone e Cina i droni sono la risposta all'incancrenito contenzioso sulle isole Senkanu-Diaoyu. La tensione sale vertiginosamente – giorno dopo giorno – e si trasforma in una corsa agli armamenti. E quale armamento scegliere se non l'ultima moda della collezione bellica mondiale?

In fondo, l'idea che sta alla base dello sviluppo dei droni è – a suo modo – affascinante. Che siano comandati a distanza o programmati e lasciati liberi di agire, il principio di fondo è sempre lo stesso: delegare le macchine, deresponsabilizzare l'essere umano, evitare che le sensibilità personali incidano sugli sforzi bellici.  E a giudicare dagli ultimi avvenimenti, sembra proprio che questa filosofia costituisca davvero l'ultima moda del pianeta terra; una moda terribile e feroce che neppure le più alte istituzioni democratiche riescono più a mettere discussione. Anzi, si affrettano ad adottarla senza rilevare – almeno in apparenza – alcuna contraddizione con gli scopi principali della loro azione politica. Perché? Semplice. Quando la spesa monetaria diventa l'unico criterio per giudicare l'efficienza dei sistemi e delle strategie, nella storia fanno capolino terribili mostri.

Un drone di fabbricazione USA viene ritrovato a largo delle Filippine – Ed ecco un secondo esempio delle nefaste conseguenza della drone-mode: un misterioso drone di fabbricazione statunitense è stato ritrovato, galleggiante, al largo delle coste filippine a ben mille miglia di distanza dalla base USA più vicina: che ci faceva lì? Come si è arrivato? Perché? Gli Stati Uniti affermano con forza che non si trattava di un drone armato né dotato di telecamere. Ma – se era cieco e monco – perché è stato lanciato? L'ipotesi che l'intelligenza artificiale sia così avanzata da spingere i droni ad andare a prendere un po' d'aria non pare plausibile. Al momento, gli USA non sanno rispondere a nessuna di queste domande.

L'amministrazione Obama arma sei droni italiani – Ed ecco ancora un altro esempio di come tutto quello che comincia con "vogliamo servircene solo a scopo pacifico" poi finisce con "giacché li abbiamo comprati, tanto vale…". La  prima funzione dei droni italiani da poco armati dagli USA sarà essere impiegati nella missione di pace in Afghanistan (ma se di "missione di pace" si tratta, perché armarli? Paradossi della politica estera USA-Italia…). In seguito, comunque, i medesimi droni potranno sempre essere utilizzati per altre missioni, quindi – secondo una stringente logica economica – la spesa vale l'impresa. E allora così sia. Inoltre, armare i nostri bei droni di tutto punto li rende davvero all'ultima moda. I velivoli, infatti, sono stati dotati di tecnologia di ultimissima generazione capace di realizzare pienamente la missione cui i droni sono destinati: cacciare e uccidere.

Anche l'ONU vuole i suoi Droni – Ed è proprio quest'ultima notizia a destare maggiori perplessità e preoccupazione. Del resto, come afferma l'ex generale statunitense Stanley McChrystal, la sorveglianza aerea e gli attacchi dei droni hanno un effetto liberatorio per le forze armate statunitensi ma – al contempo – si tratta di sistemi "che creano un odio viscerale nei confronti degli USA" e "un loro eccessivo utilizzo potrebbe mettere a repentaglio gli obiettivi più importanti di Washington". Quindi, la prima domanda da porsi è: come può l'ONU convivere con la diffidenza delle popolazioni del mondo circa i sistemi di sicurezza adottati? E ancora: come possono le Nazioni Unite – nate con il preciso scopo di mantenere la pace e supportare la cooperazione tra gli stati – avallare il presupposto ideologico tipico dei teocon, ovvero: mantenere la pace facendo la guerra? Controllare tutto e tutti e agire tempestivamente? Chi controlla i controllori? Ufficialmente, lo scopo sarebbe quello di utilizzare i droni nell'ambito di missioni di sorveglianza nelle zone occidentali e centrali dell'Africa. Il Dipartimento per il mantenimento della pace delle Nazioni Unite, infatti, ha già notificato agli stati del Congo, del Ruanda e dell'Uganda l'intenzione di implementare almeno tre droni di sorveglianza – e quindi tecnicamente inermi – nella regione orientale del Congo.

Ora: è evidente che se un comparto diplomatico sovranazionale decide – improvvisamente – di utilizzare pratiche poliziesche o, peggio, modalità da intelligence, scompare definitivamente il rapporto fiduciario che dovrebbe sempre sussistere tra gli osservatori ONU e i cittadini di una qualsiasi nazione. Chi assicura agli stati che le informazioni raccolte dai droni delle Nazioni Unite – definiti da un rappresentante ONU "nient'altro che telecamere volanti" – non verranno utilizzate dagli USA o da altri potentati nazionali per portare avanti battaglie ideologiche, personali e indipendenti dalle missioni ONU? Siamo davvero così certi che liberarsi del fattore umano in un processo così difficile e complesso come il mantenimento della pace sia la scelta migliore? Sinceramente, l'idea che la scelta dei droni al posto dei caschi blu sia più "economica" non sembra una motivazione sufficiente ad avallare una tale decisione. Non sempre efficienza è sinonimo di efficacia, e men che meno di Giustizia.

I dubbi di alcuni membri ONU –  Certo le Nazioni Unite non sono nuove all'utilizzo di droni; li hanno presi in prestito svariate volte ma – finora – non si era mai parlato di far diventare tale pratica predominante rispetto a quelle tradizionali, e c'è ancora grande dibattito all'interno dell'ONU sull'opportunità di una simile decisione: USA, UK e Francia ed altri sono favorevoli all'utilizzo di droni nelle missioni di pace; Cina, Russia, Pakistan ed altri si dichiarano contrari. L'ambasciatore delle Nazioni Unite in Ruanda, Eugène-Richard Gasana, ha affermato che "utilizzare droni comporta il rischio di trasformare le missione di pace in atti belligeranti", ma per Richard Gowan, esperto ONU per il mantenimento della pace, le resistenze all'utilizzo dei droni sono guidate da sentimenti luddisti, ovvero dal timore che i droni "sostituiscano le legioni di forze di pace delle Nazioni Unite" riducendo la forza lavoro in favore della macchine.

Ciò nonostante, c'è un fattore che non è possibile sottovalutare: nel caso in cui la macchina non risponda come dovrebbe e finisca con l'ammazzare qualche innocente, quale immagine offrirebbe di sé l'ONU? Quella di un'organizzazione in cui il danno collaterale (leggasi: vite umane spezzate) è un rischio accettabile in virtù della "sicurezza sovranazionale"? E che valore avrebbe, a quel punto, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (già di per sé una carta di intenti piuttosto che un documento realmente assorbito dalle democrazie mondiali)? Infine, chi ci assicura che dopo la funzione di sorveglianza non si passi alla funzione hunt and kill? Del resto, è esattamente quel che è successo all'Italia; è quello che accade a tutte le nazioni che decidono di utilizzare i droni quale strumento di politica estera: si comincia sorvolando e osservando, si finisce cacciando e uccidendo. Ed è un rischio – questo – che l'Organizzazione delle Nazioni Unite non può permettersi, in nessuna circostanza. Non sempre la scelta più semplice e comoda è anche quella più giusta. Spesso, occorre arrendersi alla complessità se si vuol tentare di tenere alto il concetto di Giustizia.

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