In presenza di una comunione (art. 1100 c.c.) i titolari del bene o dei beni comuni ha il diritto di usare e di godere del bene.
Questo principio è espressamente previsto dal legislatore nell'art. 1102 c.c., il quale dispone che "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa".
Sono intuibili i motivi che giustificano la presenza di questo articolo: il legislatore cerca di evitare che uno solo dei contitolari dei beni comuni possa "godere" del bene comune escludendo gli altri e, inoltre, il legislatore cerca di prevedere una regola che disciplina l'uso comune del bene.
Dalla lettura dell'articolo si evince che ogni partecipante alla comunione può usare il bene comune, ma deve rispettare due condizioni: a) non deve modificarne la destinazione (es. se in comunione c'è un terreno agricolo uno dei comproprietari non può trasformare il terreno in un parcheggio); b) l'uso del bene non deve essere impedito agli altri contitolari.
Queste due condizioni devono sussistere contemporaneamente, nel senso che se viene effettuata una modifica della destinazione d'uso del bene, ma è possibile o viene permesso il godimento del bene agli altri contitolari si ricade, comunque, nel divieto del 1102 c.c., quindi, in modo più chiaro, l'uso del bene ex art. 1102 c.c è possibile solo se non sono superati i due limiti posti dall'art. 1102 c.c.
Se vengono violati i limiti previsti dall'art. 1102 c.c., il comportamento, per quanto illecito, non è sanzionato automaticamente ex lege, ma spetterà sempre agli altri contitolari decidere se ripristinare (o meno) lo stato quo ante, in altri termini, si è in presenza di una scelta discrezionale relativa all'attivazione del meccanismo di difesa previsto dal 1102 c.c.
L'art. 1102 c.c. è un principio generale applicabile alla comunione, indipendentemente dal titolo (contrattuale, ereditario) con il quale si è formata la comunione ed è applicabile anche al condominio per il richiamo contenuto nel 1139 c.c. "Per quanto non è espressamente previsto da questo capo si osservano le norme sulla comunione in generale".
Chiariti questi aspetti è opportuno passare all'analisi concreta dei due limiti previsti dall'art. 1102 c.c. Quanto al divieto di modifica della destinazione d'uso del bene, si intende non solo una modifica materiale del bene (es. trasformazione di un terreno agricolo in un edificio), ma anche una modifica giuridica es. modifica di un locale destinato a deposito in una abitazione (in altri termini è irrilevante, ai fini del cambio di destinazione, la necessità o meno di opere edilizie).
Mentre, in teoria, è possibile distinguere quando sussiste un cambio di destinazione del bene e quando si è solo in presenza di un miglioramento dello stesso, in pratica non è sempre agevole distinguere tra modifica della destinazione d'uso del bene, innovazione e miglioramento. Inoltre, è opportuno sottolineare che l'art. 1102 c.c. sanziona solo il cambio di destinazione del bene e non l'innovazione o il miglioramento che potrebbero solo essere diretti a rendere più godibile il bene (senza modificarne la destinazione).
E' abbastanza evidente che il rapporto tra uso (secondo diritto) innovazione e cambio di destinazione è una questione di fatto da valutare caso per caso (del resto la stessa Cass. civ. sez. II, 16 gennaio 2013 n. 945 non distingue tra innovazione e cambio di destinazione d'uso del bene e l'art. 1102 c.c.).
Proprio quest'ultimo aspetto permette di poter sottolineare un'altra differenza tra l'art. 1102, 1120 e 1117 ter c.c., infatti, mentre, l'art. 1102 c.c. regola il caso in cui l'uso del bene (con o senza modifiche alla destinazione) produce l'esclusione di uno dei titolari dell'uso dei bene comune gli art. 1120 c.c. e 1117 ter c.c. regolano le modifiche (innovazioni o cambio di destinazione d'uso) del bene anche quando non sono diretta ad escludere qualcuno del condomini dal godimento del bene condominiale ex art. 1117 c.c.
Passando ad analizzare il secondo divieto posto dall'art. 1102 c.c. (l'uso del bene non deve essere impedito agli altri contitolari), risulta chiaro che il legislatore ribadisce codifica il principio che ogni contitolare può usare il bene comune e, al contempo, codifica anche un altro principio speculare al primo: nessun contitolare può impedire agli altri contitolari di usare il bene comune.
Questo, però, non esclude che il bene possa essere usato solo da uno dei titolari quando, ad esempio, sussista un regolare contratto di locazione o comodato tra tutti i comproprietari (questa situazione deve essere tenuta distinta dall'analogo caso in cui uno dei contitolari stipuli autonomamente un contratto di locazione o comodato con un terzo estraneo avente ad oggetto il bene comune).
La situazione patologica prevista dall'art. 1102 c.c. comporta un risarcimento del danno a favore degli altri comproprietari, infatti, colui che usa il bene in modo esclusivo deve versare agli altri titolari un'indennità per il mancato godimento. Queste situazioni patologiche devono essere tenute distinte da quelle nelle quali l'uso esclusivo del bene (anche se solo per alcuni periodi dell'anno) è una scelta dei diversi titolari, i quali si accordano per un godimento turnario del bene comune.
Cass. civ. sez. II, del 22 dicembre 2014 n. 27167 in pdf