Il DEF delle incognite: non c’è intesa su flat tax e non si sa come eviteremo l’aumento dell’IVA
In attesa di conoscere nel dettaglio il contenuto del DEF, il Documento di Economia e Finanza che costituisce il punto di riferimento dell’intera politica economica e fiscale del governo guidato da Giuseppe Conte, sono molti gli interrogativi cui nelle prossime ore il ministro dell’Economia Giovanni Tra e i principali azionisti della maggioranza dovranno provare a dare una risposta chiara. Su due questioni, aumento dell’IVA e flat tax in particolare, rischia di aprirsi una discussione lunga e complicata, che potrebbe avere conseguenze sulla stessa stabilità della maggioranza.
Innanzitutto, il ministro Tria ha messo nero su bianco il cambiamento in negativo delle previsioni di crescita tendenziale per il 2019, dall’1% allo 0,1%, confermando il deficit al 2,4% del PIL e prospettando una riduzione fino all’1,5% nel 2022. Nei prossimi quattro anni, inoltre, il governo prevede di portare gli investimenti al 2,7% del PIL. In un contesto di bassa crescita, il governo conferma di voler dare priorità “all’inclusione sociale, al contrasto alla povertà, all’avvio al lavoro della popolazione inattiva e al miglioramento dell’istruzione e della formazione”, ipotizzando “l’introduzione di un salario minimo orario per i settori non coperti da contrattazione collettiva e la previsione di trattamenti congrui per l’apprendistato nelle libere professioni”. Nell’ottica di una necessaria riforma fiscale, poi, si immagina di lavorare per l’introduzione della flat tax. Sul punto, però, il ministro di via XX settembre si esibisce in un capolavoro di equilibrismo:
Il Governo, in linea con il contratto di governo, intende inoltre continuare, nel disegno di Legge di Bilancio per il prossimo anno, il processo di riforma delle imposte sui redditi ("flat tax") e di generale semplificazione del sistema fiscale, alleviando l'imposizione a carico dei ceti medi. Questo nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica definiti nel Programma di Stabilità
Tradotto: nessuna cifra, nessuna tempistica, men che meno un modello intorno al quale ragionare. Una spia della distanza che resta all’interno dell’esecutivo, anche in relazione ai costi non chiarissimi della misura caldeggiata dal vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini.
Sullo sfondo, peraltro, c’è sempre la possibilità dell’aumento dell’IVA. Tutti, ma proprio tutti, gli esponenti della maggioranza si sono impegnati a sterilizzare le clausole di salvaguardia in modo da impedire un aumento che rappresenterebbe un vero e proprio salasso per i cittadini. Il problema è che il Documento di Economia e Finanza non può che confermare gli aumenti dell’IVA, in attesa di capire come e dove si troveranno i 23 miliardi di euro nella prossima legge di bilancio. E l’unico riferimento che viene fatto è a “misure alternative e a un programma di revisione della spesa pubblica”, che tradotto vuol dire “tagli” ai ministeri e ai servizi.