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Il “Cristo di piscio” viene censurato: una scelta che fa paura

Una fotografia che ritrae un crocifisso immerso nell’urina: accuse di blasfemia e profanazione, polemiche e alla fine, la scelta di non esporre più l’opera. È accaduto pochi giorni prima dell’apertura della Biennale di fotografia di Lucca: il “Piss Christ” di Adres Serrano non comparirà nella mostra dedicata al “Sacro e profano”. Un “no” secco alla libertà espressiva che fa paura, perché specchio di una società che forse non sa più confrontarsi dialetticamente con i propri valori.
A cura di Federica D'Alfonso
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Dal 21 novembre al 13 dicembre Lucca ospiterà "Photolux", un Festival internazionale di fotografia giunto ormai alla sua undicesima edizione. Venti fotografi in mostra sul tema del "Sacro e Profano", un percorso ideale ed artistico per rileggere la tensione esistente fra questi due luoghi dell'anima e della cultura. Una riflessione che però è diventata immediatamente polemica, spostandosi sul confine sottile, che pure esiste, fra "sacro" e "irrispettoso": al centro, un'unica sola opera, una fotografia scattata dallo statunitense Andres Serrano che immortala un crocifisso immerso in un bicchiere pieno della sua urina. La scelta di esporre il "Piss Christ", questo il titolo dell'opera, ha scatenato una reazione immediata ed impietosa da parte degli addetti ai lavori ma soprattutto della politica. Alla fine la polemica ha vinto su tutto, e il direttore artistico della Biennale fotografica di Lucca, Enrico Stefanelli, ha reso ufficiale la decisione di non esporre più l'opera di Serrano.

Così si umilia Cristo

Profanazione, blasfemia, vilipendio all'immagine del Cristo. Una climax ascendente di polemiche si è scatenata fin da quando il programma della mostra è stato reso pubblico. Polemiche soprattutto motivate da posizioni fortemente convinte che il rispetto per la religione e il sentimento del sacro passino per il rifiuto totale di tutto ciò che apparentemente mette in dubbio la sicurezza delle proprie radici culturali. Polemiche forti, uno scandalo che si è aperto innanzitutto nei confronti delle istituzioni che hanno deciso di patrocinare l'evento. Inammissibile che si sostengano iniziative di questo genere, "dove vengono esposte opere che offendono pesantemente il cristianesimo": il Piss Christ è stato interpretato come "un'opera che umilia Cristo". È inaccettabile, secondo alcuni, che i simboli della nostra civiltà oltre che della nostra fede vengano degradati a tal punto da essere mescolati alle materie più infime, ai prodotti di scarto dell'umano.

Trent'anni di polemiche

"Piss Christ" viene presentata per la prima volta in mostra nel 1987, provocando indignazione e anni di dibattito: due senatori repubblicani portarono il caso anche in Parlamento, dividendo l'opinione pubblica fra chi la considerava solo blasfema e chi aveva invece compreso il vero intento dell'artista. Denunciare la mercificazione delle immagini che rappresentano il Sacro: questo l'obiettivo di Serrano nel lontano '87, riconosciuto dalla critica anni dopo come l'esempio più significativo di libertà di parola e espressione artistica. Tra i tenaci difensori dell'opera, anche la suora e critico d'arte inglese Wendy Beckett, che spiegò chiaramente come nella fotografia non ci fosse nessuna blasfemia, ma solo l'intento di rappresentare il modo in cui la società contemporanea si pone nei riguardi di Cristo e dei valori che simboleggia.

Piss Christ, Andres Serrano, 1987
Piss Christ, Andres Serrano, 1987

Enrico Stefanelli conosce molto bene questa storia quando sceglie di esporre il Cristo di Serrano a Lucca. Una necessaria e doverosa lettura dell'opera in chiave prima di tutto storica, possibile proprio in forza dei trent'anni trascorsi dalla sua prima esposizione, hanno portato alla scelta di includere il "Piss Christ" nel percorso espositivo del Photolux Festival.  "Con dispiacere mi sono accorto invece che la coscienza socio-culturale ha dimostrato una inadeguatezza al riconoscimento della libertà di espressione artistica, e ho dovuto constatare che i tempi e i luoghi non sono ancora sufficientemente maturi per il riconoscimento della libertà di espressione", l'amaro commento di Stefanelli all'accaduto. Nel comunicato diffuso ufficialmente sul sito del Festival nel pomeriggio di ieri, domenica 15 novembre, il direttore artistico ha motivato la decisione di ritirare dalla mostra l'opera di Serrano, non senza un velo di amarezza e rabbia per l'evidente incomprensione del fine artistico e comunicativo dell'opera.

L'Arte "esce" dalla normalità, e se c'è un'espressione artistica negativa, questa enfatizza ancora di più quella positiva. Perché quando c'è una contrapposizione, questa va ad esaltare la parte nobile. La mostra, così come il Festival, prescinde da ogni forma di fondamentalismo e di personalizzazione ed è fonte di libertà assoluta. Anzi spersonalizza tutto col fine di far emergere l'Arte, sia che essa sia positiva che negativa, al fine di introdurre un principio di libertà di espressione. Il tema di questa edizione è "Sacro e Profano", l'eterno dualismo che, alla fine, deve rappresentare la libertà, l'equilibrio e il valore del Sacro.

Una censura che fa paura

Nell'arte, in particolare nella fotografia di Serrano, non esiste certamente la volontà di rappresentare direttamente la realtà. Esiste anzi la volontà di far emergere per opposizione, per contrasto, la contraddizione di una società che venera i suoi valori più preziosi ma allo stesso tempo sa ridurli a oggetto, a merce, a polemica, mischiandoli con quanto di più basso e schifoso possa esserci. Quest'arte inevitabilmente fa uscire fuori il controsenso che è in noi, l'inconscio che non distingue i valori dagli idoli e che con violenza inizia a combattere tutto ciò che è vagamente deviante (solo perché incompreso): quando questo inconscio viene svegliato, come ha fatto l'opera di Serrano, esso viene fuori ed è ancora intellettualmente più violento della violenza che vuole combattere, e fa paura. Tanta paura.

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