L'assegnazione della casa familiare, in caso di separazione o divorzio, al coniuge affidatario dei figli, conseguenza diretta dell'affidamento dei figli (oggi collocazione degli stessi) presso uno solo dei genitori presenta sempre delle questioni concrete, molto interessanti dal punto di vista giuridico.
Infatti, in alcuni precedenti articoli avevano descritto il diritto di abitare (qui una descrizione ampia ed approfondita della questione), l'immobile adibito a casa familiare riconosciuto al coniuge affidatario dei figli. Successivamente ci siamo anche occupati del pignoramento avente ad oggetto di un immobile gravato dal diritto di abitazione con diritto di abitazione (qui l'articolo). E, ovviamente, ci siamo anche occupati della revoca del diritto diritto di abitazione (l'articolo può essere letto qui). E, giusto per essere precisi, abbiamo anche sottolineato la differenza tra il diritto di abitazione della casa familiare riconosciuto al coniuge superstite, tipico del diritto successorio (un articolo su questo aspetto può essere letto qui) e il diritto di abitazione riconosciuto al coniuge affidatario dei figli (in caso di separazione e divorzio).
Sorvolando sulla descrizione completa dell'istituto e dei suoi presupposti (che possono essere letto qui) in questa sede possiamo occuparci di un aspetto peculiare del diritto di abitazione: la possibilità di ammettere l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario anche quando questa è stata data solo in comodato (da un terzo) ad entrambi i coniugi.
L'ipotesi normale prevede che la casa familiare sia di proprietà di entrambi i coniugi o di uno solo di questi, in questa situazione (direi tipica) grossi problemi non sorgono, poichè l'assegnazione graverà su un bene, in tutto o in parte, di uno dei coniugi (e non di un terzo estraneo alla famiglia).
Però è possibile che il bene non sia in proprietà esclusiva di uno o di entrambi i coniugi, ma può capitare che il bene sia in proprietà addirittura di un terzo, il quale può aver concesso la casa in locazione ai coniugi (in caso di locazione solitamente il terzo proprietario non è imparentato con i coniugi) oppure può anche capitare che il terzo conceda l'abitazione in comodato (gratuito) ai due coniugi (di solito in presenza di un comodato il proprietario della casa è il genitore o un altro parente stretto di uno dei due coniugi).
In questa situazione occorre comprendere se l'eventuale assegnazione della casa al coniuge affidatario dei figli possa incidere (o limitare) i diritti dei terzi estranei alla famiglia. Il motivo del dubbio è evidente se si paragonano due situazioni, che solo apparantemente sono identiche, infatti, mentre in caso di locazione per il locatore – proprietario è irrilevante chi (dei due ex coniugi) materialmente continui ad abitare nell'immobile, posto che il locatore continuerà a riceve il canone di locazione, diversa è, invece, la situazione in caso di comodato, infatti, l'immobile è fornito gratuitamente (senza corrispettivo) ecco, quindi, che sorge il dubbio se è opportuno imporre al proprietario la continuazione di questo rapporto dal quale non riceve nessun corrispettivo o remunerazione.
Proprio perchè il locatario non riceve nessun pregiudizio, lo stesso legislatore ha previsto che se la casa è stata data in locazione l'eventuale assegnazione dell'abitazione ad uno dei coniugi, comporta la semplice “voltura” del contratto applicando l’art. 6 legge equo canone del 1978.
Se, invece, la casa è stata data in comodato, anche in tale ipotesi, secondo la giurisprudenza, l'assegnazione della casa permette al coniuge affidatario dei figli di succedere nel godimento dell’immobile (Cass. civ. sez. un. 21.07.2004 n. 13623), e questo sia nell’ipotesi di comodato a tempo indeterminato, sia nell’ipotesi di comodato a tempo determinato, il residuo gruppo familiare succede al coniuge comodatario nei rapporti con il comodante. In particolare, Corte di Cassazione a Sez. Un. n.13623 del 2004 ha precisato che “nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina la concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c.”. La restituzione è ammessa (quindi l’assegnazione non è opponibile) se il comodante (con termine o senza termine) ha bisogno urgente della casa e il bisogno non era prevedibile ex art. 1809 c.c. (Cass. civ. sez. III, 28 febbraio 2011 n. 4917)
Questa ricostruzione, in materia di comodato, è stata confermata dalla Cassazione nel 2012.
Cassazione civ. sez. I del 2 ottobre 2012, n. 16769
2.2 – Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la sentenza impugnata non desume dal provvedimento di assegnazione della casa familiare la sussistenza del vincolo di destinazione alle esigenze familiari impresso al comodato, ma afferma che “debbono darsi per ammesse o risultano dalla documentazione in atti (verbale di separazione)” le circostanze secondo cui “la casa data in comodato fosse nella disponibilità dei coniugi al momento della separazione e che il vincolo, quale casa di abitazione per il nucleo familiare, già formatosi o in corso di formazione, fosse stato impresso originariamente al momento della dazione”.
2.3 – A codesta sintetica, ma efficace ricostruzione della vicenda corrisponde la corretta applicazione, da parte della Corte di appello dei principi più volte affermati in materia da questa Corte, che il Collegio condivide ed ai quali intende, anzi, dare continuità. Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c. (Cass., 21 luglio 2004, n. 13603).
In casi del genere, infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante (Cass., 13 febbraio 2006, n. 3072).
Nell’ambito di tale orientamento, assolutamente prevalente, si è recentemente ribadito che la specificità della destinazione a casa familiare, quale punto di riferimento e centro di interessi del nucleo familiare, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza che caratterizzano il comodato, cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione “ad nutum” del rapporto su iniziativa del comodante (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2103; Cass., 21 giugno 2011, n. 13592, relativa a nucleo familiare di fatto; Cass., 28 febbraio 2011, n. 4917; Cass., 11 agosto 2010, n. 18619).