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Il caso di Yokamon Hearn negli USA, quando la pena di morte è illegale

Il 34enne afroamericano soffriva di disturbi mentali legati all’alcolismo della madre. Stanotte è stato giustiziato nel Texas, nonostante un’ordinanza del 2002 che vieta il patibolo in casi come il suo. Ma la condanna a morte non dovrebbe essere vietata a prescindere?
A cura di Biagio Chiariello
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Il caso di Yokamon Hearn. Quando la pena di morte è illegale anche negli USA

Lo Stato del Texas ha giustiziato Yokamon Hearn. L'afro-americano di 34 anni, nel braccio della morte da 14, verrà probabilmente ricordato per due ragioni: è stato il primo condannato a morte del Texas a essere giustiziato con un nuovo metodo: solo un'iniezione letale invece che tre (prassi già adottata da Ohio, Arizona, Idaho e Washington); ma soprattutto perché la sua esecuzione è illegale negli Stati Uniti. Hearn, infatti, era un uomo «che, sin dalla prima infanzia, ha manifestato chiari e comprovati danni cerebrali». Il condannato a morte era disabile, a lui erano stati diagnosticati disturbi mentali legati all'abuso di alcol della madre durante la gravidanza (sindrome da alcolismo fetale). Una patologia che lo ha portato ad avere grossi problemi comportamentali e di apprendimento. Tutto ciò va palesemente contro la sentenza Atkins v. Virginia, con la quale nel giugno 2002 la Corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale l'applicazione della pena capitale alle persone affette da ritardo mentale (es. persone con QI basso o con problemi di apprendimento). Ciononostante, poiché tale ordinanza non fissa una definizione precisa di ritardo mentale, ogni Stato americano ha la possibilità di elaborare propri criteri di verifica, col rischio concreto di trovarsi di fronte a metodi di valutazione dissimili su cosa sia la "disabilità".

Hearn come Warren Hill e Troy Davis? – La vicenda di Yokamon Hearn ha mobilitato l'opinione pubblica americana (e non solo), come non succedeva dal caso di Troy Davis, il 42enne giustiziato lo scorso 22 settembre in Georgia, che ha portato centinaia di migliaia di persone a scendere in piazza per l'uccisione di «un uomo innocente». Anche il New York Times si spese per Davis definendo la sua condanna a morte «un terribile errore». Il suo caso «non è dissimile nella sostanza» da quello di altri, negli Usa, dove «il procedimento giudiziario per la pena capitale si mostra discriminatorio, ingiusto e privo di regole certe», evidenziava il Nyt. Ma alla fine, la grazia non fu concessa e la macchina della morte della Georgia fu messa in moto. La stessa Georgia che il prossimo 23 luglio ha calendarizzato un'altra sentenza di morte dalle caratteristiche molto simili a quelle di Hearn. Appesa ad un filo c'è la vita di Warren Hill, un altro uomo di colore, ma sopratutto un'altra persona afflitta da ritardo mentale. Il caso di Hill ha suscitato ancora più polemiche di quello di Hearn, dal momento che la Georgia è l'unico Stato degli USA che in queste situazione pretende una documentazione che comprovi il disturbo mentale «oltre ogni ragionevole dubbio». E a tal proposito l'Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani (un'istituzione non proprio ininfluente) ha dichiarato che «è una violazione delle tutele previste dalla pena di morte imporre la punizione capitale a individui con disabilità psico-sociali».

La pena di morte come deterrente? – Ma a differenza di Troy Davis, Yokamon Hearn è sicuramente colpevole del reato che lo ha portato al patibolo. Lui, così come Warren Hill. Hearn nel 1998 aveva sparato 10 colpi di pistola contro un ragazzo bianco durante un furto d'auto; Hill a 52 anni era finito in carcere per aver ammazzato la propria fidanzata, poi ha ucciso anche un compagno di cella. Crimini orribili e, siamo onesti, il fatto che entrambi siano affetti da disabilità mentale è un' attenuante sì, ma significa poco in termini di orrore. Hearn e Hill hanno ucciso delle persone. Per questo meritano di pagare, ma non certo con la morte. Il nostro senso di ribrezzo e di avversione per dei morti ammazzati non diminuirà se altre persone verranno uccise per loro. Numerosi studi hanno dimostrato come la pena di morte non serve a nulla come deterrente, a dirlo sono le statistiche dei paesi che ancora applicano questa barbarie. Allo stesso tempo, numerosi studi hanno dimostrato il fallimento del sistema legale americano. Al di là dei rilevanti costi per i contribuenti, ad inficiare sui casi di pena capitale sono spesso congetture e teorie minate da troppi punti ideologici: «Se volessimo essere buoni, diremmo che i casi di Hearn e Hill rappresentano un deformato ragionamento giuridico, se volessimo essere cattivi diremmo che rappresentano l'uso cinico di tale ragionamento nel perseguimento dell'ingiustizia e l'irragionevolezza» accusa The Atlantic.

Diciamo "no" alla pena capitale – Ok, è importante valutare anche questi fattori in casi così spinosi come quelli di Hearn e Hill, ma cosa può importare se due uomini siano realmente incapaci di intendere e di volere, malati mentali o afflitti da disturbi psichici se si tratta di mandarli a morte? Non servono analisi o circostanze di sorta. La linea da seguire deve essere una e una sola: la pena di morte è sbagliata. Uccidere le persone è sbagliato. Punto.

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