La crisi c'è, più o meno. Siamo forti e stabili, anche se dobbiamo fare attenzione. Le banche non hanno problemi ed i nostri conti sono in ordine; quanto alla crescita, tutto andrà per il meglio con i nuovi investimenti e con le tante misure del Governo. La colpa di tutta questa confusione è dei mercati che poi, in fondo in fondo, non influiscono molto sulla vita delle persone. Bisogna soltanto stare tranquilli, non lasciarsi andare all'isteria e non cedere alla paura: la nottata passerà in fretta e l'alba si prospetta meravigliosa. Ecco, per quanto forzata possa sembrare una siffatta ricostruzione, non si discosta poi molto dal senso complessivo dell'intervento del Presidente del Consiglio in Parlamento. Un discorso che, almeno nelle prime intenzioni, intendeva mandare un messaggio di stabilità ed ottimismo ai mercati, proprio nel momento più controverso degli ultimi mesi, una fase nella quale neanche l'annuncio dell'accordo fra Obama ed i repubblicani era riuscito ad infondere fiducia al "sistema".
Un tentativo però miseramente fallito. E non suoni come un giudizio eccessivo, specie se confrontato con le aspettative della vigilia. Certo, nessuno si aspettava colpi di scena clamorosi, nè un'ammissione di responsabilità nè tantomeno il fatidico "passo indietro". Certo che era lecito immaginare almeno una dose di autocritica, un segnale di "responsabile preoccupazione" o quantomeno una seria valutazione della gravità complessiva della crisi in atto. Invece (e davvero bisogna registrare tale dato con preoccupazione) quella andata in scena nella serata di ieri è stata la solita stancante ed ormai insopportabile litania: la favola del "tutto va come deve andare, abbiamo problemi risolvibili e non bisogna preoccuparsi", seguita dalla solita difesa d'ufficio di scudieri più o meno consapevoli, al grido di "gli elettori ci hanno dato fiducia ed il Governo ha il dovere di andare avanti".
UNA FAVOLA A LIETO FINE? – Un racconto che, fatte salve le legittime posizioni e la necessità di evitare catastrofismi ed allarmismi ingiustificati, non poteva certamente rassicurare nè i mercati nè la politica nè l'opinione pubblica. Una ricostruzione che non serve ai mercati, perché dimostra ancora una volta la volontà del Governo di non intervenire in maniera radicale su un sistema che non stimola la crescita nè gli investimenti, che produce debito e tensioni sociali e che, in definitiva, non sembra affatto convergere verso la stabilità. Non serve alla politica perché, malgrado il richiamo formale alle parole di Napolitano, non sposta di una virgola il fronte dello scontro nè apre nei fatti alla collaborazione con le forze dell'opposizione: ed in effetti non ci vuole molto per capire che gli appelli non servono a molto se non cambia la prassi dell'agire politico. Ma soprattutto non serve all'opinione pubblica, non ai cittadini, non ai lavoratori, non ai giovani e nemmeno agli imprenditori.
Non serve a nessuno perchè non spiega nulla, non spiega come si è giunti al punto di dover diffidare persino del Tesoro USA, non spiega in che misura siamo coinvolti nella crisi globale, non spiega a che serva tenere i conti in ordine se la crescita è ferma, se la spesa è bloccata, ma soprattutto non spiega come il Governo intenda muoversi per favorire la ripresa preservando lo Stato sociale e senza "mettere le mani nelle tasche degli italiani". Insomma, un discorso davvero fuori tempo massimo, l'ennesimo ritratto di un Paese che non c'è, di un'Italia felice che (purtroppo) non esiste, un discorso che sembra ricalcato su quelli del 2009, del 2008 e del 2004, pronunciato con toni certo dimessi, ma quasi dimenticando di essere stato al timone della barca per 8 degli ultimi 10 anni: e se ora abbiamo smarrito la rotta, per favore, non venga a dirci che la colpa è dei mozzi o dei marinai.