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Opinioni

Il 2015 dell’OXI in Grecia: che fine ha fatto il popolo del referendum contro l’austerity?

Cinque mesi dopo il duro accordo dell’Europa, la Grecia passa alle riforme. È la Grecia in pieno austerity. Che sogna di liberarsi.
A cura di Michele Azzu
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La Grecia ha approvato le unioni civili fra coppie omosessuali. Al largo della costa greca è affondato un barcone di migranti, uccidendo 13 persone. Sono solo le notizie delle ultime ore che mi portano a pensare: anche in questi giorni di fine 2015, a cinque mesi di distanza dal durissimo accordo firmato con l’Eurogruppo per il salvataggio del paese, anche ora la Grecia non smette di insegnarci cosa significa democrazia.

Perché ora l’Italia, che tanto vanta i suoi primi segnali di ripresa, rimane l’unico paese in Europa a non avere le unioni gay. Perché solo ora l’Europa finanzia parte dell’enorme sforzo umano della Grecia sui migranti, con 80 miliardi di euro. Ma in Grecia da gennaio sono sbarcati 800mila migranti. I nuovi fondi garantiranno l’accoglienza solo a 20mila di queste persone, in fuga dalla guerra.

Tutto questo succede mesi dopo le vicende di luglio, quando con un referendum il popolo greco aveva detto ‘OXI’ – ‘NO’ in lingua greca – all’austerity chiesto dalla Germania. Contro i leader dei principali paesi europei, contro la BCE e il FMI, contro i media che a reti unificate promuovevano il ‘SI’. “Per la prima volta nella storia dell’Eurozona si è manifestato il potere del popolo”, commentava Paul Mason, inviato della TV inglese Channel 4.

Che fine ha fatto oggi il popolo di OXI? Da allora sono cambiate molte cose. Il governo di Syriza, eletto a gennaio con un forte mandato contro l’austerity, si è sciolto dopo le defezioni di numerosi parlamentari contrari all’applicazione delle misure chieste dall’Europa. A settembre ci sono state nuove elezioni, e Syriza, e il premier Alexis Tsipras, è andato nuovamente al governo alleandosi col partito indipendentista Anel.

È iniziato il programma siglato a luglio con l’Eurozona per ottenere 86 miliardi di euro in tre anni per il salvataggio del debito greco – proprio quello a cui il referendum aveva detto ‘No’ e a cui Syriza si era opposto, ma a cui aveva dovuto cedere dopo settimane di trattative a Bruxelles. L’Eurozona ha imposto il controllo dei capitali e il paese è sprofondato nella recessione. Le banche sono state ricapitalizzate, e con meno rischi e costi del previsto.

In questi ultimi giorni, Alexis Tsipras ha negoziato le privatizzazioni chieste nell’accordo europeo sul settore dell’energia, riuscendo ad ottenere un compromesso: mantenere il 51% dell’azienda energetica Admie (inizialmente era il 34%). La privatizzazione del restante 49% dovrebbe garantire un nuovo miliardo di euro dal FMI a gennaio. Inoltre, si è concesso il rilascio di “prestiti non-performanti” agli investitori internazionali, da parte delle banche greche.

Non solo. Il governo ha completato le privatizzazioni di 14 aereoporti, ceduti all’operatore tedesco Fraport con una concessione di 40 anni, per una cifra di 1.2 miliardi di euro. Il ministro dei trasporti greco, Christos Spirtzis, ha dichiarato di avere firmato l’accordo: “Con grande dolore”, riporta il Financial Times. Insomma, il paese va avanti, fra dure riforme, rimpasti di governo, tanti dubbi e un po’ di speranza.

Non è la Grecia di OXI, questa, è la Grecia nel pieno dell’austerity. “Siamo al quinto anno”, ha detto Alexis Tsipras, “È dura per un paese dell’UE aver perso la sovranità così a lungo”. E Tsipras, dopo le riforme, ha cercato di portare anche un barlume di speranza: “Se la Grecia completerà la prima revisione a gennaio, saremo già al 70% delle misure fiscali e finanziarie dell’accordo”.

Ma la strada è ancora lunga. Nei giorni scorsi, Tsipras ha cercato di spingere perché il Fondo Monetario Internazionale esca fuori dal terzo bailout di 86 miliardi di euro. Lasciando la responsabilità delle trattative e i prestiti in mano all’Eurozona. Non è la prima volta: già lo scorso agosto il premier greco si era opposto al coinvolgimento dell’FMI, che avrebbe secondo Tsipras: “Un’attitudine non costruttiva sulle questioni fiscali e finanziarie”.

Se l’FMI resterà o no garante del terzo salvataggio della Grecia si deciderà il prossimo gennaio. Ma la Germania di Angela Merkel e del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble si oppone con forza all’uscita del FMI. Perché per i tedeschi l’istituto è garanzia della linea dura sull’austerity, mentre con la Commissione Europea la linea potrebbe rivelarsi più morbida, e tutto più incerto.

C’è un’altra considerazione da fare: l’FMI è probabilmente l’unico attore in gioco a sostenere la Grecia sulla necessità di ridurre del debito, che ammonta ora al 175% del PIL. Era una delle richieste decisive fatte dalla Grecia all’Eurozona nelle trattative di luglio – senza riuscire ad ottenerlo. Ma sono tanti gli analisti internazionali, oltre i tecnici dell’FMI, a sostenere che senza riduzione del debito la crisi greca non potrà mai essere risolta.

Chiedendo l’uscita dell’FMI, quindi, Tsipras spera di ottenere condizioni più elastiche sull’austerity ma rischia di alienarsi il supporto sulla riduzione del debito. Ma questo non è l’unico punto d’ombra. Perché ora arrivano le riforme strutturali: pensioni, evasione fiscale, deficit. Sulle pensioni, in particolare, la Grecia vorrebbe tornare indietro alle richieste di tagli: perché sarebbe la dodicesima volta che vengono operati dal 2009.

I creditori chiedono alla Grecia l’impossibile: ricavare da qui l’1% del PIL, circa 1.8 miliardi di euro. La fragile maggioranza di governo greca rischia di non resistere a un piano così sofferto, sprofondando il paese nello stallo politico. Ma le pensioni sembrano essere l’unica chiave per ottenere la riduzione del debito e la revisione degli obiettivi di gennaio – da lì, secondo Tsipras, la Grecia potrebbe finalmente tirare una boccata d’aria.

Più di tutto, manca la fiducia. Si è rotto qualcosa nell’Unione Europea, e come poteva essere altrimenti? Basti pensare che lo scorso 25 novembre la Germania ha presentato al governo di Syriza una lista coi nomi di 10mila potenziali evasori fiscali greci (con conti bancari in Svizzera). Dati che vengono dal dipartimento fiscale tedesco. Con un messaggio chiaro: non ci fidiamo di voi e di come fate le riforme.

In mezzo a tutto questo, il popolo greco. Forse il più coraggioso di tutti, nell’Unione Europea di oggi. Perché continua a sopravvivere giorno dopo giorno sotto condizioni durissime, mentre si tagliano i servizi, mentre i cittadini si curano da soli e i giovani emigrano. Cinque mesi dopo quell’OXI del referendum contro l’austerity e contro tutti: le destre finanziarie, i socialisti europei voltagabbana, le banche, l’FMI, la Germania, i media.

Il popolo greco resiste. Adottando i matrimoni gay, salvando ogni giorno migliaia di migranti dal Mediterraneo. Facendo molto più di tanti altri paesi europei. Nell’attesa di quei pochi mesi in più, quelle poche riforme in più, quei pochi euro in più che servono per liberare il paese dalla prigione imposta dall’Europa.

“Per la prima volta nella storia dell’Eurozona si è manifestato il potere del popolo”, nel referendum di luglio. Quel popolo, oggi, col suo sacrificio e la sua sofferenza sta scrivendo il futuro dell’Europa. In cui oggi contano più i soldi che le vite umane, in cui per un miliardo di euro di debiti si può bloccare l’arrivo di medicinali in un paese – come accadde lo scorso luglio. Ma in cui domani tutto questo può cambiare. Perché c’è chi, a suo tempo, ha saputo dire OXI.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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