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Idomeni, il campo profughi dei diritti negati: è questo il modello europeo di accoglienza?

In un report dell’Asgi tutte le violazioni messe in atto al confine tra Grecia e Macedonia, dove sono bloccate oltre diecimila persone. Niente accesso alla procedura di riconoscimento alla protezione internazionale, agli strumenti per il ricongiungimento familiare, mancano del tutto misure di accoglienza rispettose della dignità dei migranti.
A cura di Claudia Torrisi
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neonato idomeni

Nel campo di Idomeni sono sistematicamente violati i diritti umani: niente accesso alla procedura di riconoscimento alla protezione internazionale, agli strumenti per il ricongiungimento familiare, mancano del tutto misure di accoglienza rispettose della dignità dei migranti. Qualche giorno fa una delegazione dell'Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione ha fatto un sopralluogo al confine tra Grecia e Macedonia. Un posto che " da campo di transito, si è gradualmente trasformato in un capo di ‘attesa'" che la rotta balcanica sia nuovamente percorribile. Nel luogo dove da giorni migranti si scontrano con le forze dell'ordine nel tentativo di passare il confine – ricevendo addosso ondate di gas lacrimogeno – mancano le garanzie fondamentali riconosciute dal diritto internazionale a chi fugge dal proprio paese.

Il report di Asgi fotografa una situazione devastante: nel campo ci sono oltre diecimila persone, oltre il 40% sono bambini e oltre 600 le donne in stato di gravidanza. I migranti – che per la maggior parte sono siriani, afghani, iracheni e curdi – vivono dentro tende più o meno grandi, senza luce elettrica, senza connessione internet e senza altra fonte di riscaldamento che non sia un fuoco alimentato con legna, plastica o vecchi indumenti. Nel campo ci sono anche diversi minori non accompagnati, soprattutto afghani. "I minori cercano più delle famiglie di attraversare il confine con la Macedonia, dichiarando subito la loro minore età, tuttavia vengono ugualmente catturati violentemente picchiati dalla polizia macedone", scrive l'Asgi.

Impossibile richiedere protezione internazionale

Ma non sono solo le condizioni umanitarie a essere precarie. L'Associazione nota come nessuno dei siriani presenti abbia ricevuto informazioni legali in merito al diritto di asilo, e nessuno abbia potuto avanzare domanda di protezione internazionale. Dopo essere stati fotosegnalati, gli è stato solo consegnato un documento dalla polizia greca, in cui sono riportate le loro generalità e quelle delle famiglia – spesso scritte in modo non corretto – e un timbro, "Final destination Germany". Solo quest'ultima dicitura è in inglese, il resto è scritto solo in greco. Nonostante tutti i cittadini siriani ritengano che sia il lasciapassare per raggiungere gli altri Paesi europei – si legge nel report – il documento contiene un ordine di deportazione sospeso della durata di 6 mesi per i cittadini di nazionalità siriana. Nel documento si motivano le ragioni della sospensione con la grave situazione umanitaria in Siria e si ordina ai cittadini siriani di rimanere a disposizione delle forze dell'ordine greche e di comunicare qualunque cambio di residenza. Le autorità greche assicurano nel documento che l'accoglienza sarà fornita in strutture alberghiere abilitate, cosa che fino a quel momento non è accaduta". Un'operatrice dell'Unhcr ha spiegato che il documento in questione ha durata di 6 mesi per i siriani, e di soli 30 giorni per tutti gli altri. Al termine di questo lasso temporale, la posizione dei migranti andrà rivalutata. Ma nessuno può chiedere la protezione internazionale. Si legge nel report: "I migranti possono manifestare la propria volontà di richiedere la protezione internazionale solo su Skype in orari stabiliti in base alla propria lingua (ad esempio per coloro che parlano la lingua araba è prevista un'ora alla settimana durante la quale è possibile manifestare la propria volontà)". Ma l'ente deputato a raccogliere la volontà è l'ufficio asilo, che ha solo due container e limitatissime risorse.

Scrive l'Asgi che "il governo greco, sistematicamente impedendo l'accesso alla procedura di protezione internazionale", incorre anche nella violazione dei principi e dello scopo della Direttiva 32 del 2013 della Ue, che prevede, anche prima della possibilità di accedere alla procedura di protezione internazionale, "l'obbligo di informazione e consulenza qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale". In queste situazioni gli Stati membri devono fornire le informazioni sulla procedura, fornendo anche interpreti, se necessario. Infine la direttiva richiede "che per tutti i procedimenti gli Stati membri designino un'autorità che sarà competente per l'esame adeguato delle domande e che dispongano di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai propri compiti". Cosa che a Idomeni non succede.

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Trattamenti inumani e degradanti

Sostanzialmente, i migranti "provenienti dalla Siria, dall'Iraq e da moltissimi altri stati in cui i diritti umani fondamentali non sono rispettati e l'incolumità personale è costantemente in pericolo, non hanno la possibilità di chiedere la protezione internazionale, rimanendo esposti al rischio di essere rimpatriati nei loro Paesi di origine". Questa situazione viola la Convenzione di Ginevra del 1951, che prevede il principio di non respingimento e impone, anzi, di garantire protezione a coloro che fuggono dai loro paesi e sono esposti a trattamenti inumani e degradanti. Quel che è più grave è che l'impossibilità di accedere ad alcuna procedura di protezione o di ricorso contro la decisione di rimpatrio impedisce che vengano seriamente valutati i rischi che ciascun migrante subirebbe una volta rispedito nel proprio paese, violando anche l'articolo 3 della Cedu.

"Dalle situazioni osservate emerge la totale indigenza in cui vivono i richiedenti asilo, i minori non accompagnati, i nuclei vulnerabili. Lo stato greco dovrebbe garantire sistema di accoglienza e assistenza relazionati alla vulnerabilità dei soggetti in questione", scrive l'Asgi. Al contrario agli stessi è riservato "un trattamento degradante e non rispettoso della dignità", essendo costretti a vivere "in campi autogestiti, dentro delle tende, senza acqua, luce, in gravissime condizioni igienico – sanitarie. Queste condizioni di gravissima precarietà e di rischio per l’incolumità fisica e senza alcun tipo di assistenza e monitoraggio socio-sanitario rende palese la violazione dell’art. 3 Cedu, laddove prevede che ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti'".

Ricongiungimenti familiari preclusi

Moltissimi migranti richiedono di potersi ricongiungere ai familiari già titolari di protezione internazionale in altri Stati europei. La possibilità è prevista dal Regolamento Dublino III, ma materialmente preclusa in Grecia. Il Regolamento Dublino, infatti, è inapplicabile laddove i migranti non hanno accesso alla procedura di protezione internazionale. "Tale situazione – si legge nel report – viola il preminente diritto all’unità familiare previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo all’art 8 e dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in cui si prevede che ‘Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni'".

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