La Spagna mette la freccia di sorpasso nei confronti dell'Italia: da giorni lo spread tra i titoli di stato spagnoli e tedeschi a dieci anni si mantiene di una decina di punti al di sotto di quello tra Btp e Bund, oscillando oggi sul 3,75% contro il 3,86% del titolo italiano e l’1,82% di quello tedesco. Un restringimento dello spread, come vi ho già detto, che beneficia delle “amorevoli cure” della Bce non solo in termini di fornitura di liquidità al sistema bancario europeo e di disponibilità, annunciata ormai quasi due anni or sono, a diventare sia pure in modo condizionato “creditore di ultima istanza” dei paesi “virtuosi” ma in difficoltà attraverso il programma Omt, ma anche della recente decisione di non imporre una valutazione “mark to market” (ossia a valutazioni correnti di mercato) dei portafogli di titoli di stato posseduti dalle banche europee in occasione degli stress test di quest’anno e dell’avvicinarsi del traguardo di un’unione bancaria pilotata dalla stessa Bce.
Ma, come notano alcuni colleghi attenti come Carlo Alberto Carnevale Maffè il successo della Spagna si nota anche da altri segnali: mentre nel caso italiano la percentuale di titoli detenuti dagli investitori esteri oscilla poco sotto il 40% dalla primavera del 2012, dopo la drastica riduzione intervenuta dopo il passaggio di consegne tra il governo Berlusconi e il governo Monti a fine 2011 (fino a poco prima della caduta dell’ex premier il 50% circa dei titoli di stato italiani era in mani straniere), la Spagna, che aveva visto ridursi la percentuale di possesso dei propri titoli di stato da parte di investitori esteri fino all’autunno del 2012, da qual momento, sia pure a fasi alterne, ha visto un deciso recupero di fiducia, tanto che se dal 45% di inizio 2011 si era crollati in un anno e mezzo attorno al 25%, attualmente si è già risaliti oltre il 35%.
Come per lo spread in termini di rendimenti anche per quanto riguarda la percentuale di debito pubblico in mano a investitori esteri Madrid potrebbe dunque tornare a superare l’Italia, il tutto mentre i media “mainstream” danno spazio alle dichiarazioni rassicuranti di politici e banchieri italiani e trascurano di parlare troppo di quello che accade fuori dai patri confini (superati i quali, ho detto più volte, chiunque può accorgersi delle macroscopiche discrepanze che ormai esistono tra il “Bel Paese” e il resto del vecchio continente). Al netto dei periodici timori di un futuro “consolidamento” del debito pubblico tricolore, di chi è la colpa di questo mancato recupero di fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia che le “amorevoli cure” di Mario Draghi hanno in parte mascherato? La tentazione di dire “delle mancate riforme” è forte, visto che di liquidità in giro di rendimenti allettanti è pieno il mondo in questo momento ma che la stessa razionalmente dovrebbe dirigersi là dove c’è una qualche speranza di una ripresa economica che renda deficit e debito pubblico più sostenibili.
In Spagna, guarda caso, la produzione industriale ha segnato +2,7% su base annua a novembre contro il +1,4% dell’Italia e le vendite al dettaglio sono salite del 2,1% rispetto al novembre 2012. Una crescita ancora in larga parte dipendente da programmi di incentivi statali (ad esempio l’ennesimo piano di rottamazione per il settore auto) e lavori pubblici, che non riesce a piegare una disoccupazione del 26,7% che non ha eguali in Europa (tranne che in Grecia dov’è pari al 27,4%) e che è più che doppia di quella italiana (12,7%). Per il momento, dunque, Madrid sta “prendendo a prestito il suo futuro”, per usare l’espressione di un altro attento osservatore di mercati e dati economici come Mario Seminerio. Un po’ come prova a fare Shinzo Abe in Giappone, in fondo, e come non ha la forza e la credibilità per provare a fare l’Italia e la sua classe “digerente” interessata a tutelare fino all’ultimo le rendite delle proprie lobbies più che a provare a riformare lo stato sociale e il sistema economico, al di là di ogni retorica e interesse di bottega.