Doveva essere il premier dei giovani, doveva essere il governo che rottamava una generazione. Matteo Renzi, di 41 anni, il premier più giovane da sempre. Maria Elena Boschi di 35 anni, Marianna Madia, di 36 anni. Da loro, che fino al 2013 avevano fatto campagna contro la leadership gerontogratica del Partito Democratico, contro i vecchi potenti attaccati alla poltrona, ci si aspettava di più.
Si aspettavano di più i giovani italiani che da sempre vivono in un paese che non crede in loro, e non dà loro speranza. I cervelli in fuga, i fattorini a cottimo con la laurea in tasca, i due ragazzi su tre che secondo l’Eurostat vivono ancora dai genitori. E sono rimasti delusi. Proprio dai giovani, infatti, è arrivato il rifiuto di questo governo, e il No del voto di questo referendum che mette fine all’esperienza di Matteo Renzi.
L’Istituto Piepoli per la Rai riporta che il 68% dei giovani fra i 18 e i 34 anni ha votato No. Secondo i dati di Doxa, il No sarebbe stato in vantaggio del 13% fra i giovani tra i 18-34 anni. Mentre per i sondaggi Ipr e Tecnè, condotti per Porta a Porta, il No sarebbe stato al 62%, e il Si più forte fra gli over 55. Nei prossimi giorni avremo altri dati a complementare gli exit poll, ma è già evidente come il voto contro Matteo Renzi sia stato trainato da giovani e sud Italia.
Non c’è da stupirsi. Se, come si diceva, Renzi aveva acceso molte aspettative fra i giovani, buona parte di queste si sono sciolte come neve al sole. Più volte abbiamo rilevato come l’aumento dell’occupazione registrato negli ultimi 2 anni sia andato soprattutto agli over 50. E così il bonus di 80 euro, e il bonus ai pensionati di questi ultimi giorni di campagna referendaria, mentre si risolveva con un’ottava salvaguardia la situazione degli ultimi 30mila esodati rimasti.
Il governo Renzi ha deciso, in particolare durante la campagna del referendum, di battere cassa fra gli anziani. Perché sono di più e vanno a votare, sono loro i più vicini al governo del PD, e poi lì i sindacati riescono a mobilitare per il voto. E così, dopo anni di assenza c'è stato l’incontro con gli operai sardi, ed ecco in extremis la firma dell'accordo per gli statali con l’aumento con la base di aumento di 85 euro in busta paga – ricordate quando il governo invece attaccava gli statali fannulloni? – e con grandi sorrisi da parte dei sindacati.
E ai giovani? Solo le briciole. È vero, in questi giorni Renzi aveva promesso ancora incentivi per le assunzioni al sud. Ma nelle regioni dove solo un giovane su tre lavora, e dove metà delle donne è fuori dal mercato del lavoro, annunci di questo tipo ormai hanno l’effetto dell’aspirina per il malato terminale. Neanche si sentono più. Per il resto, i tre anni di governo Renzi sono stati un’amara delusione per i giovani dai 18 ai 35 anni.
Ad esempio, c’è stato il boom di contratti indeterminati registrati nel 2015, con 1.5 milioni di contratti avviati, un dato importante che è stato dovuto principalmente agli sgravi fiscali sulle assunzioni inserito dal governo Renzi a fianco del Jobs Act. Che però ha finito per impattare pochissimo sui giovani italiani. Anzitutto, perché buona parte dei nuovi avviamenti è andata agli over 50, l’unica fascia di età in cui per tutto l’arco del 2016 è aumentata l’occupazione in termini reali (dell’1.4%). Quest’anno, ad esempio, secondo gli ultimi dati Istat si sono registrati più 376mila occupati fra gli over 50, a fronte di un calo di 126mila unità fra i 35-49enni e un calo di 97mila fra i 25-34enni.
Una volta terminata, poi, la spinta degli incentivi del governo, si è spenta anche la rincorsa a questi contratti indeterminati: nei primi 8 mesi del 2016 c’è stato un calo del 33% rispetto alla crescita del 2015. Mentre sono continuati ad aumentare i contratti a tempo e i voucher, la forma di lavoro precarissima pagata coi ticket dei tabacchini, cresciuti del 36% solo quest’anno – e cancellando così anche gli effetti positivi dall’abolizione dei contratti a progetto.
Sui dati generali, poi, i giovani continuano a scontare un tasso di disoccupazione che oscilla attorno al 40%: nell’ultimo mese è calato al 36.4%, il valore più basso degli ultimi 4 anni, ma questo dato arriva principalmente a causa della crescita degli inattivi aumentati di 82mila unità in questo mese. E mentre si abbassa la disoccupazione, diminuisce anche il numero degli occupati (sono dati che sembrano in contrapposizione ma non lo sono come spiego qui). Alla caccia degli zero virgola, il governo ha perso di vista la situazione reale per preferire lo scontro con tutti quelli che criticavano i risultati sul lavoro.
Che dire poi del programma europeo della Garanzia Giovani? Quello egregiamente finanziato in Italia, con un miliardo e mezzo di euro, e che nonostante abbia richiamato oltre un milione di iscritti è riuscito a dare un lavoro stabile solo a 32mila giovani in due anni, secondo quanto riporta l’Isfol. Con ragazzi che hanno atteso mesi per essere richiamati, e coi soldi che venivano in alcuni casi pagati dopo mesi. Ancora peggio il quadro fornito dall’ultimo report della Commissione Europea: in Italia il 61% delle offerte di lavoro è consistita in tirocini, contro una media europea dell’11.4%.
Insomma, Jobs Act, incentivi fiscali per le aziende, Garanzia Giovani, tutti i miliardi pubblici sono serviti a muovere pochissimo nella situazione dei giovani italiani. Ma anche i fortunati che lavorano non stanno meglio, dato che i salari dei giovani italiani sono fra i più bassi d’Europa, come mostra la serie di grafici interattivi condotta dal Guardian con dati presi dall’ “Income Study Database” del Lussemburgo, che spiega come i redditi dei giovani abbiano perso moltissimo rispetto alle generazioni precedenti (troppo, in confronto agli altri paesi).
“L’Italia è il paese peggiore dove vivere se sei giovane”, riportava la conclusione di quello studio. E pare che molti giovani italiani questo lo abbiano capito, visto che la famosa fuga dei cervelli non è mai finita: solo nel 2015 sono 40mila i giovani che hanno lasciato il paese secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes, che fa riferimento alle iscrizioni all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Un dato, dunque, che non tiene neanche conto delle migliaia di studenti all’estero, e di chi emigra senza iscriversi inizialmente al registro, perché attende di trovare un lavoro e sistemarsi.
Potremmo continuare all’infito con i dati e i rapporti. Ma la sostanza è sempre la stessa. Per i giovani in Italia non c’è lavoro. Il precariato è troppo radicato, e i voucher hanno solo peggiorato la situazione, drammatica nel sud del paese. Tantissimi giovani continuano ogni anno a lasciare il paese. E quanto di buono è stato fatto dal governo Renzi, e dunque il boom registrato dai contratti determinati nel 2015, o la cancellazione dei co.co.pro, è stato subito riassorbito.
Col senno di poi, quanto fatto da Matteo Renzi sui giovani è la più amara delusione. A fronte di ciò che sarebbe potuto essere, e quanto avrebbe potuto cambiare se solo si fossero ascoltato le critiche, se si fosse insistito sui buoni punti delle riforme. Invece, a fronte della delusione, c’è sempre stato lo scontro e lo sberleffo. Come nella diatriba fra dati sul lavoro dell’Inps e dell’Istat. O come quando Renzi rispose ai giovani ricercatori che protestavano per la mancanza di fondi: “Se volete andare via fatelo”.
Una frase di quelle che poi, riprese sui media, diventano messaggi a una generazione intera. Perché alla faccia del grande comunicatore Renzi, il suo governo non ha mai voluto parlare ai giovani. Ha preferito dare i bonus agli assunti, ai pensionati, fare regali importanti alle imprese. Interventi probabilmente sacrosanti, ma che hanno portato tanti giovani a chiedersi perché il governo intervenisse con tutti meno che con quella che è la categoria più in difficoltà e più povera fra tutte, appunto, i giovani.
I giovani hanno votato No. È davvero un’amarissima conclusione per il più giovane premier che l’Italia abbia mai avuto, per lui che doveva rottamare i vecchi attaccati alle poltrone, lui che per tre anni ha insitito a dirci che ora i giovani stavano meglio. E invece loro, i giovani continuavano a stare peggio. E si sono sentiti traditi.