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I 500 euro di bonus cultura ai diciottenni nel Paese che dimentica il diritto allo studio

Il provvedimento dei 500 euro è una sorta di estensione del bonus per i professori. Ma è davvero la scelta giusta?
A cura di Claudia Torrisi
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Due giorni fa il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato una misura per i "550mila italiani che compiono diciotto anni": una carta bonus di 500 euro a testa per "partecipare a iniziative culturali". I soldi potranno essere investiti "in teatri, musei, concerti un bonus che diventa simbolicamente il benvenuto nella comunità dei maggiorenni ma soprattutto diventa simbolicamente il modo con cui lo Stato ti carica della responsabilità di essere protagonista e co-erede del più grande patrimonio culturale del mondo". Renzi ha anche annunciato uno stanziamento di 50 milioni per le borse di studio: "Chi è meritevole di studiare non può essere bloccato per questioni di reddito", ha detto. Tutte queste misure dovrebbero essere trasformate in emendamenti alla legge di stabilità in esame alla Camera.

Il provvedimento dei 500 euro è una sorta di estensione di quello previsto per i professori con la riforma della scuola. Una misura che scatenò diverse polemiche proprio tra alcuni docenti, che definirono il bonus "elemosina, più che soldi per i professori". In una lettera indirizzata al premier, un'insegnante dichiarava di restituire il bonus invitando “con tale cifra a comprare e studiare il manuale ‘Come rinnovare il Ccnl Comparto Scuola' e "Come retribuire regolarmente i docenti precari, senza stipendio da settembre".

Se si esclude StudiCentro, secondo cui i 50 milioni per le borse di studio e il bonus da 500 euro vanno "nella direzione giusta di proteggere la dignità delle giovani generazioni", i primi a non essere soddisfatti dell'annuncio di Renzi sono stati gli studenti. Quello che viene rimproverato è che la bonus card sia un annuncio in odore elettorale, più che una misura. Un'obiezione sollevata anche dal leader della Fiom, Maurizio Landini: "Si vede che Renzi si rende conto che tra un po’ deve andare a votare. Quindi, dicendo che darà 500 euro ai 18enni che vanno a votare per la prima volta, pensa di poter prendere dei voti".

Secondo l'associazione di studenti Rete della conoscenza, le misure sono "sono insufficienti e propagandistiche": "Renzi nasconde dietro la proclamazione di buoni principi il vuoto delle proprie politiche". Per il portavoce nazionale Riccardo Laterza, il bonus non si avvicina a interventi strutturali che sarebbero necessari. Dare 500 euro dando "solo indicazioni molto vaghe su come questi possono essere spesi, non è cultura: i giovani hanno bisogno di fondi strutturali per poter usufruire di servizi, non di regali una tantum". Anche "i 50 milioni annunciati dal Governo non risolvono il problema del diritto allo studio alla radice", secondo il coordinamento universitario Link: "Se si vuole infatti eliminare la figura dell'idoneo non beneficiario e garantire a tutti coloro che ne hanno la borsa di studio, i milioni necessari sono 200".

Quello che lamentano gli studenti, sostanzialmente, è che la "paghetta" concessa da Renzi sia un palliativo di una situazione che ha ben altri problemi, e molto più grossi.

La situazione dell'università italiana

Pochi giorni fa è stato presentato a Roma il rapporto Education at glance, una pubblicazione curata dall'Ocse. Secondo lo studio, solo il 42% dei diplomati italiani si iscrive all'università, posizionando il nostro paese terzultimo dopo il Lussemburgo e il Messico. Più della metà dei neo diciottenni cui si rivolge il presidente del Consiglio, quindi, rinuncia a proseguire gli studi.

Tra laurea breve, completa, magistrali arriva al terzo livello d'istruzione il 34% dei ragazzi. Uno su tre, contro la media Ocse di uno su due. Inoltre, nel 2014 solo il 17% degli adulti – tra i 25 e i 64 anni – risultava titolare di una laurea. Una percentuale simile si trova in Brasile, in Messico e in Turchia. Il nostro paese però si differenzia da questi stati per un dato fondamentale: in Italia la differenza tra i redditi dei laureati è quelli dei non laureati è del 43%. In Brasile, Messico e Turchia è più alta della media Ocse (160%).

Sul fronte dell'occupazione, lo scorso anno il 62% dei laureati italiani tra 25 e 64 anni risultava occupato in Italia, una percentuale paragonabile alla Grecia e la più bassa tra i paesi Ocse – che hanno una media dell'82%. Il nostro paese e la Repubblica Ceca sono gli unici paesi dove il tasso di occupazione tra i 25 e i 34 anni è il più basso tra i laureati rispetto a chi ha preso un diploma di scuola superiore. Secondo l'Ocse una delle principali cause della disoccupazione è il "fatto che spesso i titoli di studio non coincidono con l’acquisizione di competenze solide, sollevando interrogativi circa la qualità dell’apprendimento nelle istituzioni dell’istruzione terziaria". Molti laureati italiani, secondo l'organizzazione, "hanno difficoltà nell’integrare, interpretare o sintetizzare le informazioni contenute in testi complessi o lunghi, nonché nel valutare la fondatezza di affermazioni o argomentazioni". Nell'analisi torna anche il dato dei Neet, coloro che non studiano, non lavorano, né seguono un corso di formazione. La percentuale è al 35%, la seconda più alta.

Altro capitolo i fondi per l'istruzione: le università italiane hanno speso nel 2012 due terzi della spesa media Ocse, circa lo 0,9% del Pil. Meno di noi ha fatto solo il Lussemburgo. Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti hanno speso intorno al 2%.

Da settembre gli studenti stanno protestando perché le nuove modalità di calcolo dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) 2015/2016 stanno facendo crollare il numero degli aventi diritto alle borse di studio. A essere cambiata è la modalità del calcolo della casa nel reddito familiare, tagliando la possibilità di accedere al contributo, anche se il reddito dello studente non è cambiato. Secondo le associazioni universitarie gli esclusi ammonterebbero a 30 mila (a meno di correttivi messi in atto dalle regioni).

Lo scorso luglio è stato pubblicato il rapporto sulla condizione studentesca del Cnsu Consiglio nazionale degli studenti universitari, dal quale è emerso che nel nostro paese – a differenza di Spagna, Germania a Francia – c'è stato un decremento dei borsisti e degli idonei a ricevere la borsa. In Italia esiste poi la figura dello studente "idoneo non beneficiario" che pur rientrando nei requisiti di reddito e merito per ricevere il sostegno dello Stato, a causa dei pochi finanziamenti al sistema universitario non ricevono i soldi. Negli ultimi quattro anni il numero degli idonei è sceso del 4,16%, quello dei borsisti del 9,17%. Un altro problema è la carenza di posti letto: le residenze universitarie sono una soluzione abitativa solo per il 4% degli studenti in corso.

Per il diritto allo studio, il Governo stanzia "solo" altri 50 milioni di euro.

Se l'università resta luogo di formazione e cultura, a guardare i dati, un bonus di 500 euro per neo maggiorenni potrebbe non essere sufficiente. Un bonus, tra l'altro, universale: dare il contributo a tutti i neo diciottenni vuol dire in qualche modo ignorare che esistono situazioni di forte disuguaglianza nel nostro paese. Un provvedimento "per la cultura" non può non tener conto del divario. Infine, forse bisognerebbe mettersi d'accordo anche su cosa si intenda per "cultura": se significhi solo "essere co-erede del più grande patrimonio culturale del mondo", o se un paese come il nostro non debba fare uno sforzo anche per continuare a produrla.

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