Che uno stato che imponga una tassazione sui redditi superiore al 50% del reddito stesso sia poco liberale lo sostengo da anni e da anni sostengo che è uno dei motivi, se non il motivo principale, per cui in Italia (dove ormai il livello medio di tassazione dei redditi supera il 52%) di ripresa non se n’è vista e non se ne vedrà per anni, purtroppo per noi tutti. Che poi tassando al 75% i redditi oltre il milione di euro si riesca a fare entrare soldi nelle casse pubbliche e “virtuosamente” riequilibrare lo squilibrio (che certamente esiste, anche in Italia) tra l’imposizione fiscale sui redditi da lavoro e quella sui redditi da capitali (finora a vantaggio delle rendite e ai danni del lavoro) è una pia illusione che sommessamente consiglierei al presidente francese Francois Hollande di riporre rapidamente nel cassetto. L’economia, specie nel ventunesimo secolo, con un mondo contraddistinto dalla libertà di movimento per i fattori produttivi (lavoro e capitale), dovrebbe essere la ricerca empirica di soluzioni funzionali ai bisogni che si vuole soddisfare, non una serie di enunciazioni dogmatiche “di sinistra” o “di destra” che siano. Ma tant’è.
Così non mi stupisce che sia venuto alla ribalta il caso di Bernard Arnault, quarto uomo più ricco al mondo con un patrimonio personale di oltre 41 miliardi di dollari, azionista di controllo del super gruppo del lusso mondiale Lvmh (che tra i tanti marchi negli anni ha acquisito anche gli italiani Pucci, Fendi e Bulgari) che oltre ad aver chiesto la cittadinanza belga avrebbe già trasferito oltre 4 miliardi di euro di patrimonio nel piccolo stato europeo dove da tempo il suo gruppo sta allestendo una vera e propria centrale finanziaria operativa a cui fanno capo tutte le più importanti operazioni di finanza ordinaria e straordinaria. Il caso, cui la stampa italiana sembra voler dare una certa visibilità, non stupisce né perché ben prima di Arnault (che peraltro ha smentito di avere l'intenzione di voler sottrarsi al suo dovere fiscale-patriottico) sembrano essersi mosse decine se non centinaia tra i più “abbienti” contribuenti francesi (che hanno preferito trasferire la propria residenza se non in Belgio in Lussemburgo o Svizzera), poi perché non è da adesso che il Belgio fa della “concorrenza fiscale” una delle sue armi per cercare di riavviare la propria economia.
Non è solo il Belgio, del resto: il Lussemburgo, ma anche la Gran Bretagna e ovviamente la Svizzera fanno da tempo ponti d’oro agli imprenditori che trasferiscono nei loro confini le proprie imprese o i propri patrimoni personali, vuoi con sconti sulle imposizioni fiscali vuoi con agevolazioni in termini di minore burocrazia, tempi più celeri per l’ottenimento dei vari permessi necessari a svolgere le attività, defiscalizzazione dei contributi sui dipendenti, incentivi e aiuti di stato alla realizzazione di nuovi impianti produttivi (anche se a volte, come capitato alla Fiat in Serbia, ci possono essere ritardi nell’erogazione effettiva degli investimenti promessi). E dunque vorrei capire: a che serve, in Francia o altrove, provare a “pareggiare i conti” alzando le tasse a chi finora ha goduto di aliquote ridotte quando poi a pagare queste imposte saranno un numero di contribuenti “onesti” sempre minore, essendo tuttora molto limitato lo sforzo per far emergere l’evasione e l’elusione fiscale e la lotta ai “paradisi fiscali” (anche se qualcosa si è mosso negli ultimi anni nei confronti, ad esempio, della Svizzera).
In un paese come l'Italia in cui a pagare le tasse sono, in fondo, solo i lavoratori dipendenti e un pugno di idealisti, onesti, stupidi o come volete definire qualche milionata di contribuenti italiani che non vogliono o non sanno o non possono imitare i “parassiti” evasori di cui parla (giustamente, per carità) la “pubblicità progresso” degli spot voluti dal ministero dell’Economia e Finanze, dall’Agenzia delle entrate e dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, una eventuale manovra simile avrebbe effetti ancora più devastanti per cui si spera vivamente che nessun “saltimbanco della politica” si faccia tentare. Piuttosto se lor signori volessero fare qualcosa per questo disgraziato paese, proponessero sin da questi inizi di campagna elettorale non tanto di abolire (non si sa grazie a quale copertura finanziaria) l’Imu, o di creare (non si sa grazie a quale politica economica) una milionata di posti di lavoro, quanto di sradicare le cricche che ancora resistono nel settore pubblico come in quello privato e i cuoi benefici e prebende pagano sempre i soliti contribuenti di cui sopra.
Già che ci siete, cari politici, iniziate a creare le condizioni per una vera concorrenza in tutti i settori, a partire da quello bancario: in tutto il mondo (civile) aziende come Square (che ha appena raccolto altri 200 milioni di dollari di finanziamenti sulla base di una valutazione di 3,25 miliardi di dollari, che per una start up nata 3 anni fa non è male, direi) sviluppano sistemi per consentire a piccole e medie imprese di “saltare” l’intermediazione di emittenti di carte di credito e banche accettando pagamenti tramite carta di debito o di credito direttamente col proprio smartphone. Visto che siamo uno dei paesi con il maggior tasso di penetrazione della telefonia mobile, perché non provarci, forse qualche miglioramento si noterebbe anche a livello di Prodotto interno lordo e tasso di occupazione, semmai consentendo di ridurre le tasse per tutti e non di alzarle (forse) per alcuni. O no?