“Hanno ammazzato mio figlio morto di farmaci e Tso”: la denuncia di una madre bolognese
"Convivere per mesi con la consapevolezza che mio figlio stesse morendo è stato sconvolgente. Lo hanno trattato con superficialità e disinteresse e nessuno ha fatto nulla per salvarlo: per questo chiedo giustizia, credo di averne diritto". Mara Valdrè, 63enne ex insegnante di Ozzano dell’Emilia, nel bolognese, non riesce ancora a darsi pace. Dopo che nel 2015 ha salutato per sempre suo figlio Andrea, all’età di 42 anni, oggi vive circondata da faldoni di documenti, referti medici e denunce con un solo obiettivo: sperare che prima o poi possa partire il processo nei confronti di chi probabilmente non è riuscito ad aiutarlo davvero. Dal 1993 in poi, Andrea non ha fatto altro che assumere farmaci, entrare ed uscire dai centri di salute mentale, vivere ripetutamente l’esperienza dei Tso e tentare persino il suicidio gettandosi da una finestra. E tutto, secondo la madre, a causa dell’incapacità di medici e di psichiatri di ascoltare le sue vere esigenze. "Per me si tratta di omicidio volontario –accusa-, ma il processo non è ancora partito e nel 2020 si rischia la prescrizione".
"Nonostante fosse introverso e con qualche difficoltà a rapportarsi con gli altri, Andrea era un ragazzo come tutti gli altri –continua-, finché una notte, all’improvviso, mi è venuto a svegliare terrorizzato a causa di un incubo. Diceva di aver sognato dei mostri che lo assalivano. Io non sapevo come aiutarlo e così l’ho accompagnato al centro di salute mentale di San Lazzaro, da dove è poi cominciata la sua sofferenza, che a lungo andare diventa malattia: schizofrenia paranoide". Da quel momento Andrea cade in una sorta di buco nero e secondo la madre la colpa è tutta dei medicinali e dei continui ricoveri. "L’ultimo, nel 2005, è durato un anno, durante il quale ha tentato il suicidio, diventando paraplegico". Forse sottovalutando la situazione, i medici lasciano comunque al ragazzo la gestione diretta dei farmaci da assumere, compreso un antiepilettico di cui abusa, al punto da finire in coma per circa un mese. È solo a quel punto, dopo qualche anno, che la madre riesce ad ottenere dai giudici la tutela sanitaria del figlio, "soprattutto per evitare i Tso, il suo terrore. Per me aveva necessità di altre cure, ma coi medici e con gli psichiatri ormai non c’era più possibilità di dialogo". Neanche quando le sue condizioni di salute sembrano migliorare. "Ormai i rapporti coi servizi sanitari si erano incrinati, le visite diventate sempre più rare e a così gennaio del 2014 le condizioni di salute di Andrea sono definitivamente precipitate, con tanto di focolaio broncopolmonare causato dai farmaci".
"Secondo me ci sono stati degli abusi" sottolinea ancora la madre, parlando inoltre di "omissioni nei documenti, perché in questa vicenda sono coinvolti troppi medici, professionisti e amministratori", e rilanciando: "C’è stata la chiara volontà di non prendere mai in considerazione la mia richiesta di effettuare una terapia diversa, neanche quando le sue condizioni si sono aggravate. Ma io mi chiedo: perché quando si porta avanti una cura del genere non si tiene conto delle conseguenze che ci possono essere anche per il fisico?" Domanda senza risposta, ma che ha spinto Mara Valdrè a costituire un’associazione, in ricordo del figlio, con lo scopo di realizzare proprio una struttura dove entrambi gli aspetti possano essere presi in considerazione nella cura di malati mentali.
In attesa di novità giudiziarie, restano comunque alcuni aspetti poco chiari in tutta questa vicenda. Ad esempio, già nel 2005, dopo il tentato suicidio, la procura ha archiviato una prima inchiesta sull’accaduto nonostante un consulente abbia definito imprudente l’atteggiamento degli psichiatri nei confronti del ragazzo, mentre dieci anni dopo, in seguito ad un altro esposto dopo la morte di Andrea, la richiesta di archiviazione è stata respinta dal gip per ulteriori approfondimenti. "I consulenti della procura non hanno però mai preso in considerazione la chiavetta contenente le 1.500 pagine del diario di assistenza domiciliare che avevo consegnato, prendendo per buona solo la versione riportata nella cartella ambulatoriale degli psichiatri" sottolinea l’implacabile Mara Valdrè, che pur di tenere alta l’attenzione su questa storia, qualche mese fa, ha persino provato la strada dello sciopero della fame e della sete.
"Anche se adesso al mio fianco c’è l’associazione Telefono Viola, spesso mi sento sola –conclude- però sono comunque decisa ad andare avanti con la mia battaglia: ormai non riguarda più soltanto Andrea, per cui chiedo giustizia, ma anche tutte quelle persone in cura che vengono trascurate, abbandonate a sé stesse, costrette a trattamenti sanitari violenti e imbottiti di farmaci. Non è di questo che hanno bisogno".