Hamilton De Holanda: il mandolino ai tempi dell’iPhone
Precisione ritmica, cantabilità, capacità improvvisativa e versatilità sono le sue doti che, accompagnate da una vasta cultura musicale, generosa nel trascinarlo sui sentieri del jazz, del flamenco e della musica classica, gli stanno assicurando un successo internazionale destinato a crescere esponenzialmente.
La sua passione per la musica e per il mandolino, strumento di tradizione brasiliana oltre che napoletana, affonda le sue radici nel Choro ("pianto", "lamento"), stile musicale del secondo Ottocento, nato a Rio De Janeiro, che Villa-Lobos definì "l'essenza dell'anima musicale brasiliana".
Mi sono chiesto se quello che faccio è ‘nuovo Choro' […] forse perché suono il bandolim. Il Choro è come la Gioconda: pensi che abbia bisogno di un ritocco? No! Anche il Choro è continuato nella meravigliosa arte di musicisti come Luperce, Jacob e Pixinguinha. Dal momento che la tradizione si perpetua, non dovete fare altro che apprezzarlo. Quello che io faccio è una sintesi di queste informazioni con influenze Choro, bossa nova, jazz, e dei suoni della strada. È una musica che non ha bisogno di etichette per esistere. Dve solo essere bella.
Hamilton De Holanda
De Holanda è nato in una famiglia di musicisti e ha iniziato a suonare all'età di cinque anni. Già a quindici decide di aggiungere due corde al suo mandolino, reinventando lo strumento così come sanno fare solo i grandi interpreti. Prendendo le distanze da stili esecutivi e influenze troppo limitanti e provinciali, il giovane Hamilton, spostatosi a Brasilia, guarda alla grande tradizione del Choro, ma la contamina con "tutto ciò che la musica ha fatto di buono". Quando negli Stati Uniti si comincia a parlare di lui come del "Jimi Hendrix del bandolim" vince all'unanimità due Best Award all'Icatu Hartford of Arts come strumentista, nella doppia categoria "musica accademica" e "musica popolare". Grazie alla borsa di studio che gli viene conferita va vivere a Parigi, Le Monde de la Musique parla di lui come di uno "Choc" per la musica; e così suona in festival internazionali e incide il suo primo disco "1 byte 10 corde", la prima registrazione di un mandolino a dieci corde.
Condivide il palco con musicisti del calibro di Maria Bethânia, Ivan Lins, João Bosco, Seu Jorge, John Paul Jones, Richard Galliano, Richard Bona, Béla Fleck e le Flecktones. In Italia ha una grande visibilità grazie ai concerti in duo con Stefano Bollani, che, dopo le sue incursioni nel repertorio brasiliano con "Falando de Amor" (Venus, 2003) e "Caruica" (Emarcy, 2008), decide di portarlo con sé in tour per lo Stivale.
Molti i punti di contatto con Bollani: dalla tecnica impeccabile alla versatilità, fino alla spiccata verve improvvisativa che vedono Hamilton De Holanda immergersi in magnifiche parentesi estemporanee, che regalano vitalità ai brani senza mai profanarli o snaturarli. Oltre che strumentista, dopotutto, il talentuoso brasiliano è anche compositore, qualità che fa valere con discrezione nei suoi repertori da concerto solista vastissimi, nei quali concentra, in poco più di un'ora di musica, la tradizione napoletana e Morricone, il jazz, il samba, la world music e ovviamente il Choro. Inutile dire che, anche se trattasi di esibizioni di mandolino solo, la qualità, la tensione musicale, il ritmo e, di conseguenza, l'attenzione non calano mai nemmeno per un istante.
Abbiamo incontrato Hamilton De Holanda al Festival di Ravello, in occasione di un suo straordinario concerto di mandolino solo. Avendo come sfondo lo splendido Auditorium firmato da Oscar Niemeyer, il progettista di Brasilia, non abbiamo potuto che domandargli anche del suo rapporto personale con il grande architetto, che ebbe modo di omaggiare in "No Requiem para Niemeyer".