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Guarda inesorabilmente a destra l’Europa ai tempi della crisi

La mappa della situazione politica nel Vecchio Continente è estremamente eloquente: i conservatori amministrano la quasi totalità degli Stati. Ma non era il tempo della global revolution e del cambiamento?
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Con la vittoria del popolare Mariano Rajoy in Spagna e la "sostituzione" del socialista Papandreou con il tecnico Papademos in Grecia (oltre che con i nuovi Governi in Polonia e Repubblica Ceca), il "nuovo ordine europeo" comincia ad assumere una fisionomia sempre più chiara. Dando un rapido sguardo alla situazione politica degli stati del Vecchio Continente appare evidente lo "spostamento a destra", con le formazioni conservatrici, liberal-democratiche e popolari che governano la quasi totalità degli Stati membri, con rilevanti eccezioni costituite da Austria e Danimarca. Scendendo nel dettaglio, il quadro "primo Ministro – Partito Politico – area di riferimento" è il seguente:

  • Inghilterra – David Cameron –  Conservatori
  • Francia – Francois Fillon  (Nicholas Sarkozy) – UMP – Popolari
  • Spagna – Mariano Rajoy – Popolari
  • Germania – Angela Merkel – CDU – Popolari
  • Olanda – Mark Rutte (Cristiano Democratici)
  • Portogallo – Pedro Passos Coelho – Conservatori
  • Polonia – Donald Tusk – Po – Liberali, Conservatori
  • Slovacchia – (alle urne dopo la caduta di Iveta Radicova, conservatore)
  • Repubblica Ceca – Martin Kuba – Ods – Conservatori
  • Romania – Emil Boc – Liberal Democratici
  • Ungheria – Viktor Orbàn – Fidesz – Conservatori
  • Bulgaria – Bojko Borisov – Gerb – Conservatori
  • Estonia – Andrus Ansip – Liberal Democratici e Riformisti
  • Lettonia – Valdis Dombrovskis – Nuova Era – Conservatori
  • Italia – Mario Monti – tecnico
  • Grecia – Lucas Papademos – tecnico
  • Austria – Werner Faymann – Socialdemocratici
  • Danimarca – Helle Thorning  Schmidt – Socialdemocratici

Se questo doveva essere il tempo dei grandi cambiamenti, della global revolution, del riscatto del 99% e dell'allargamento degli spazi di rappresentanza, le leve del comando restano ben salde nelle mani degli schieramenti conservatori e popolari. Allo stesso modo, la crisi della socialdemocrazia europea appare sempre più profonda e di difficile risoluzione, a maggior ragione in virtù del fallimento del modello spagnolo, che in qualche misura sembrava poter dare prospettive nuove ai socialisti europei. Un quadro desolante per gli analisti di stampo progressista, che non ha nella crisi l'unica spiegazione plausibile, ma che affonda le radici nella "rapida ed inesorabile trasformazione della politica" degli ultimi anni, nonchè nel lento, progressivo e (probabilmente) inarrestabile "tramonto dell'Occidente".

E non è solo la preservazione dello status quo o la paura di cambiamenti traumatici a spingere i cittadini europei ad affidarsi ai tradizionali partiti conservatori, così come non è solo la difficile ricerca di un nuovo orientamento a paralizzare la "ripresa progressista". Insomma, un discorso lungo ed evidentemente complesso, ma che ci consente di individuare una chiave di lettura interessante per il complesso degli eventi che stanno avendo luogo nel Vecchio Continente. Se è abbastanza banale la considerazione che il sentimento d'angoscia dato dalla sensazione di un "disastro imminente" spinga ogni società verso la "chiusura", allo stesso tempo è lecito interrogarsi sulla reale incidenza di movimenti e rivendicazione radicali nella struttura politico – istituzionale europea. Da un lato crescono ed acquisiscono autorevolezza e rilevanza spinte e movimenti che premono per un cambiamento sostanziale dei rapporti tra politica, economia e società; dall'altro le elite conservatrici, con ampio consenso popolare (nella maggior parte dei casi), serrano le fila e mettono in campo strategie "vecchie e nuove" tese al mantenimento di un sostanziale equilibrio nello scacchiere internazionale.

Alla tensione verso l'allargamento degli spazi di rappresentanza e al (nuovo e vecchio al tempo stesso) tentativo di ingresso delle "masse sulla scena politica", fanno dunque da contrappunto le (vecchie e nuove) riproposizioni di concetti e misure della "destra storica" europea. E il fantasma della crisi nutre il consenso di determinati gruppi, che hanno tra l'altro relazioni strettissime con le istituzioni finanziarie, fino a cementare un blocco fatto di convinta adesione, indifferenza e timore del cambiamento. La stessa comunicazione politica dei gruppi conservatori si fonda proprio su un mix di demagogia e realismo, con costanti richiami alla coesione sociale e nazionale e velati riferimenti alla matrice "altra" dei problemi quotidiani dei cittadini. E in un simile contesto il limite della socialdemocrazia è proprio quello di non riuscire a ripensare il proprio ruolo in uno scenario mutato e con la sensazione concreta di non essere direttamente rappresentativa nemmeno del suo tradizionale elettorato.

Una situazione complessiva sulla quale poi, si innestano anche le vicende "particolari" di Italia e Grecia, con Governi di segno opposto praticamente commissariati dalle istituzioni europee ed affidati a tecnici di grande spessore ma direttamente riconducibili a istituti finanziari di primissimo livello. Una circostanza certamente non casuale che riporta in primo piano un "certo retropensiero di chiara matrice ideologica", che muove dalla considerazione, esplicitata dal The Independent, di un "approccio comune tra l’élite politica e i banchieri, un insieme condiviso di obbiettivi e un mutuo rafforzamento di illusioni".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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