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“Greta e Vanessa in Siria al fianco dei ribelli anti-Assad”. Ma la Procura smentisce

Le due ragazze non erano in Siria solo per aiutare i civili, vittime della guerra, ma per dare man forte ai “ribelli”, gli stessi che poi le avrebbero rapite per chiedere un riscatto milionario. Le rivelazioni del Fatto Quotidiano, dalle informative riservate dei Ros.
A cura di B. C.
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L’obiettivo di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze tornate in Italia dopo cinque mesi di prigionia in Siria, non era solo quello di aiutare i civili vittime della guerra. Ma anche per distribuire "kit di salvataggio destinati ai combattenti islamisti anti-Assad". Ecco perché "il loro sito ha come simbolo la bandiera della rivoluzione a differenza di tutti gli altri che lavorano sotto l'egida della neutralità; che sono state protette dall'Esercito Libero e che loro (quelli dell'esercito Libero, ndr) non sono l'Isis, infatti in alcune zone non indossavano neppure il velo". E’ il retroscena raccontato dal Fatto Quotidiano che lascerebbe aperti ulteriori dubbi su cosa sia effettivamente accaduto.

In Siria per aiutare i ribelli?

In alcune informative del Ros vengono riportate delle intercettazioni di aprile tra Greta Ramelli – che stava organizzando il suo viaggio in Medioriente – e un siriano di Aleppo di 47 anni, Mohammed Yaser Tayeb, pizzaiolo di Anzolo in Emilia Romagna, che gli inquirenti considerano un militante islamista vicino ad altri siriani impegnati in “attività di supporto a gruppi di combattenti operativi in Siria a fianco di milizie contraddistinte da ideologie jihadiste”. Il progetto delle due cooperanti era “rivolto a offrire supporto al Free Syrian Army, un gruppo di ribelli aiutati anche dall’occidente in funzione anti Isis, ma anch’esso composto da frange di combattenti islamisti alcuni dei quali vicini ad Al Qaeda”, a sostenere “un lavoro in favore della rivoluzione”, e non a dare un aiuto neutrale, secondo quanto riporta il Fatto.

“Greta – si legge nell’informativa – precisa  che un primo corso si terrà in Siria con un operatore che illustrerà ai frequentatori (circa 150 persone tra civili e militari) i componenti del kit di primo soccorso e il loro utilizzo. la donna dice che ha concordato con il leader della zona di Astargi di consegnare loro i kit e che a loro volta li distribuiranno ai gruppi di combattenti composti da 14 persone in modo che almeno uno degli appartenenti a questi gruppi fosse dotato del kit e avesse partecipato al corso”.

Tayeb, secondo gli investigatori, si prodigò per aiutare le due giovani e le mise in contatto con un altro siriano residente a Budrio, Nabil Almreden, nato a Damasco, medico chirurgo in pensione. Tayeb gli chiede di inviare in Siria una lettera di raccomandazione per Vanessa, “verosimilmente – annota il ros – un accredito presso una non meglio istituzione all’interno del territorio siriano”. Sempre secondo il Fatto, Tayeb è in contatto con Maher Alhamdoosh, studente siriano a Bologna al quale si erano rivolti i giornalisti Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali, rapiti in Siria nel 2013 e poi liberati.

La Procura smentisce

La procura di Roma ieri pomeriggio ha «smentito categoricamente che il contenuto dell’informativa del Ros sia quello apparso ieri su alcuni quotidiani. L’interpretazione pubblicata è fuorviante: le due ragazze erano due cooperanti andate in Siria per scopi umanitari»

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