Se sono vere le ricostruzioni fornite da alcune fonti “a conoscenza dei fatti” all’agenzia Bloomberg, le dichiarazioni di ieri di Mario Draghi, dettosi favorevole a un maggiore aiuto da parte dei partner dell’eurozona alla Gracia, ad esempio attraverso un alleggerimento del peso del debito, avrebbe “sorpreso” gli altri membri del board della Banca centrale europea, a partire dai membri tedeschi e degli stati del Nord Europa, da sempre restii a fornire ulteriori aiuti ai “porcellini” del Sud Europa, Grecia in testa, decisione giunta dopo il sostanziale via libera ad un prestito ponte da 7 miliardi di euro da parte dei ministri finanziari dell’eurozona, prestito che consentirà di riaprire lunedì le banche e ripagare i 3,5 miliardi di prestiti Bce in scadenza.
L’Executive Board della Bce fino a ieri mattina avrebbe infatti suggerito al Governig Council (cui compete di decidere se accordare o meno nuovi finanziamenti) l’opportunità di mantenere il tetto al programma Ela (Emergency liquidity assistance) a 88,6 miliardi di euro, nonostante fosse già pervenuta una richiesta di 1,5 miliardi di nuova liquidità da parte della banca centrale greca. Nel pomeriggio, quando la riunione del board non era ancora formalmente terminata, Draghi ha invece annunciato che si era deciso di alzare il tetto di 900 milioni di euro, basandosi sulle “novità” dello scenario emerse proprio dopo il via libera di Atene alle condizioni richieste dai creditori europei per avallare un terzo piano di “bailout” da 82-86 miliardi di euro nei prossimi tre anni, piano che peraltro ora Alexis Tsipras, che da parte sua sembra prepararsi ad un nuovo rimpasto di governo e forse a un nuovo confronto elettorale in autunno, dovrà andare a contrattare punto per punto coi partner europei.
Sullo sfondo la francese Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), ha ribadito oggi in un’intervista alla radio francese Europe1 che i leader europei dovranno trovare il modo di dare maggiori aiuti alla Grecia se vorranno tenere unita l’eurozona. Secondo Lagarde, che così ribadisce quanto già emerso da un report del Fmi fatto circolare un paio di giorni fa, l’accordo che prevede l’erogazione sino a 86 miliardi di euro di nuovi aiuti nei prossimi tre anni in cambio di riforme, non funzionerà se non si provvederà a ridurre “significativamente” il peso del debito pubblico, così da rafforzare le prospettive di crescita economica.
Alla domanda se l’accordo potesse risultare valido anche senza un alleviamento del peso del debito Lagarde ha risposto “in modo chiaro e categorico, no”. Tuttavia la “pura e semplice riduzione del debito sembra esclusa” date le resistenze tedesche che stanno provocando più di un mal di pancia alla maggioranza di Angela Merkel (con una fronda interna che sembrerebbe capeggiata, anche se non ufficialmente, dal ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, da sempre amante del rigore, specie in casa altrui); pertanto, ha concluso la numero uno del Fmi, è probabile che si preferisca la strada di un ulteriore allungamento delle scadenze di rimborso del debito e di una riduzione degli interessi applicati su di esso.
Ora, fatte queste doverose premesse per capire come stiano muovendosi le pedine sullo scacchiere politico-economico europeo, una cosa resta da capire: che senso ha tutto questo. Il debito greco di cui si parla, quello verso i fondi “salva stati” europei Efsf/Esm e quello bilaterale nei confronti dei singoli governi dell’eurozona, è già ora caratterizzato da una durata di oltre 30 anni e da un tasso d’interesse medio dell’1,5%. Certo, si può pensare di allungarlo ancora un poco, di farlo pagare ancora meno, ma già ora il problema vero della Grecia è che se non può andare sul mercato a rifinanziare il debito a causa della scarsa fiducia che ormai gli investitori di tutto il mondo ripongono nell’emittente ellenico.
Per essere ancora più chiari: il debito greco è quasi completamente “sigillato” in un circuito chiuso con le istituzioni europee. I creditori (che non sono certamente piccoli e sprovveduti privati) sanno da tempo che nelle circostanze attuali il capitale è di fatto inesigibile e che persino il servizio del debito “dovranno farselo da soli, prestando alla Grecia i soldi per le cedole e i rimborsi” come notava anche Alessandro Fugnoli nel suo ultimo Il Rosso e il Nero ieri. Tanto è vero che i soldi che con una mano l’eurozona dà alla Grecia (7 miliardi) con l’altra se li riprende (i 3,5 miliardi che saranno rimborsati lunedì alla Bce sono solo l’antipasto di ulteriori rimborsi che seguiranno nelle settimane e nei mesi successivi).
Quindi, in concreto, che il debito/Pil greco sia pari al 100% piuttosto che al 300% ha un valore meramente simbolico, non economico. Allungarlo e “alleviarlo” ha dunque solo e unicamente un significato politico: indica che i partner europei si fidano della Grecia e della prospettiva di una crescita comune dell’eurozona. Lo stesso significato, anche se con un impatto molto maggiore agli occhi dell'opionione pubblica europea (che non ha tuttavia un atteggiamento univoco al riguardo, il che spiega in parte la resistenza di taluni governi all'ipotesi) avrebbe l’eventuale cancellazione parziale del debito in mano alle “istituzioni” (quello che era in mano ai privati venne già dimezzato nel 2012), che però, tuona continuamente la Germania, non si può fare perché “contraria ai trattati europei”.
E dunque ancora di più il problema che la crisi greca ha sollevato ed è tuttora irrisolto non è tanto l’esistenza di stati “virtuosi” e di stati “canaglia”, qualunque nome si preferisca associare all’una come all’altra etichetta. Il problema basilare è di regole di governante. E di maggiore capacità di comprensione dei problemi sottostanti da parte della classe politica europea, ovvero delle singole classi politiche nazionali. Sono queste le battaglie su cui Mario Draghi, si potrebbe sospettare, vorrebbe poter dire la sua e qualche volta lo dice, appunto con annunci come quelli di ieri in cui ha anche sottolineato che l’ipotesi di una Grexit non sarebbe mai balenata a nessuno (smentendo direttamente chi come Schaeuble ha continuato per giorni a ipotizzare quanto meno una “uscita a tempo” di Atene dall’euro). Saranno le battaglie fondamentali per il futuro del vecchio continente e dei singoli paesi in esso presenti: se daranno buoni frutti l’eurozona si riprenderà, se creeranno nuove divisioni potrebbero rappresentare l’inizio del tramonto dell’ideale unitario europeo, molto più che non l’improbabile ritorno di Atene alla dracma.