Grazia, ripudiata dai testimoni di Geova per una trasfusione: “È una setta che sacrifica vite”
“I testimoni di Geova sono una setta che sacrifica vite. Ho accettato una trasfusione di sangue e da allora la mia famiglia è distrutta. Le mie tre figlie sono andate via di casa e non vogliono più saperne di me”. Grazia Di Nicola, una casalinga di 48 anni madre di quattro figli, vive a Colliano, un paesino in provincia di Salerno. Le sue convinzioni religiose l’hanno portata ad un passo dalla morte e, dopo una delicata operazione chirurgica in cui è stata necessaria una trasfusione di sangue, ha visto crollarle il mondo addosso. Umiliata da quelli che fino a poco prima erano i suoi “fratelli” di culto, Grazia teme adesso di perdere per sempre anche le sue stesse figlie.
Ha solo 11 anni quando rimane affascinata dalle riviste in cui si venera il culto a Geova. “Negli anni ’80, dopo il terremoto in Irpinia, dei testimoni di Geova vennero a casa nostra e ci dissero che quella tragedia era un segnale dell’imminente fine del mondo”. Il tempo passa, Grazia si sposa, diventa mamma ma i contatti con l’organizzazione religiosa proseguono. “Stavo attraversando una situazione familiare complicata. Avevo bisogno di Dio”, ricorda. Nel 2008 fa il suo ingresso nei testimoni di Geova. Da allora la sua vita cambia completamente: la sua casa diventa il luogo di riunioni sempre più frequenti in cui, a poco a poco, anche i figli vengono avviati allo studio dei testi religiosi. Prima il bambino, all'epoca di soli 5 anni, e poi anche le figlie femmine. “Mio marito non voleva, però, più si opponeva e più io abbracciavo il credo perché gli anziani mi dicevano che in realtà era Satana che mi ostacolava”. “Obbligano tutta la famiglia a far parte della setta perché ci convincono che solo i testimoni di Geova si salveranno dalla fine del mondo”, ammette adesso.
“Ho dovuto scegliere tra il credo e la vita”
Nel gennaio del 2016 succede qualcosa che cambierà per sempre la sua vita. Grazia scopre di avere un tumore benigno e, da buona adepta, si rivolge agli anziani della sua congregazione. I testimoni di Geova stabiliscono una procedura nei casi come il suo: “C’è un comitato sanitario interno che ti indirizza a una clinica dove viene garantito che l’intervento chirurgico avverrà senza trasfusioni”. Come tutti i testimoni di Geova, anche lei ha con sé un foglio in cui rifiuta qualsiasi trasfusione di sangue, globuli rossi, bianchi, piastrine e plasma. “I medici hanno accettano la mia decisione però per loro è un dilemma perché non vogliono che il paziente muoia e cercano di farti rifiutare quello che hai firmato”. Nella struttura sanitaria di Salerno, il giorno prima dell’operazione anche l’anestesista cerca di convincerla a cambiare idea. Senza risultato.
“I miei figli mi dissero che quando sono uscita dalla sala operatoria ero mezza morta ma – prosegue – il fatto di essere sopravvissuta avvalorava ancora di più le mie convinzioni religiose”. “Mi sentivo molto debole e i medici mi dissero che stavo morendo a causa di una grave emorragia interna. Ma ero così ostinata che pensavo fosse una tecnica di Satana e continuavo a rifiutare. La sera, quando è arrivato mio marito ho cercato di allontanarlo perché sapevo che mi avrebbe costretto a prendere il sangue”. Ma dopo un altro intervento dei sanitari, Grazia decide di accettare le trasfusioni e torna in sala operatoria. “Ho firmato anche se mi sentivo in colpa e speravo non ci fosse bisogno di ricevere sangue altrui. Ho dovuto decidere tra il mio credo e continuare a vivere”, confessa.
Emarginata da tutti. Ripudiata dalle figlie
La sua scelta non viene perdonata dagli anziani della sua congregazione e neppure dalle figlie, seguaci di Geova. “Una volta a casa mi sentivo una peccatrice e questo mi stava uccidendo più dell’operazione”. “Tre mesi dopo, un comitato giudiziario composto dagli anziani mi ha fatto un processo in cui ho raccontato quello che mi era successo. Avevano già preso il loro verdetto prima ancora che parlassi perché con il mio comportamento avevo destabilizzato tutta la congregazione. Devi fare un percorso spirituale di fede di sette mesi, mi dissero, dove nessuno ti saluterà. Sarei diventata invisibile agli occhi di quelli che fino a pochi giorni prima erano i miei fratelli”. Ma Grazia accetta e inizia il suo percorso di espiazione. Nelle assemblee, la costringono a stare seduta nell'ultima fila e quando passano davanti a lei non la guardano nemmeno. “Un mezzo per umiliare chi, secondo loro, ha peccato”, racconta. Gli altri seguaci sono così rigidi che un giorno, durante una predica, perde i sensi ma nessuno le presta aiuto.
Quello che le fa più male è stata la reazione delle figlie. Se all'inizio le stanno vicino, quando Grazia non ce la fa più e decide di dimettersi come testimone di Geova, il loro atteggiamento cambia radicalmente. “Loro continuavano a frequentare la congregazione, vivevano ancora a casa però non c’era più dialogo. Quando ho chiesto spiegazioni, la più piccola mi ha risposto: ʽSei una falsa. Lo sai che hai tradito Geova e sai cosa ti aspetta’”. Il clima di tensione diventa insostenibile e così, dopo un litigio furibondo, tutte e tre le ragazze abbandonano la madre. “Non immaginavo quanto potessero essere manipolate”.
E’ passato oltre un anno e mezzo da quel giorno, le figlie di 29, 22 e 18 anni vivono a casa di un anziano della congregazione e non vogliono più avere nessun rapporto con la mamma. “ʽStiamo bene’, è l’ultima cosa che mi hanno risposto”, dice piena di amarezza. “L’anno scorso, sono andata da loro però quando ho suonato mi hanno gridato ʽVai via’. Io e mio marito siamo ritornati a casa piangendo”. “Da allora le ho riviste per strada però non mi hanno più salutato. Solo con la più piccola ogni tanto ho qualche contatto”. “Le abbiamo sempre amate e se ho fatto queste scelte è stato dopo aver scoperto quante menzogne e pericoli ci sono dietro la setta dei testimoni di Geova. Per questo – conclude Grazia – mi sentono di dire alle mie figlie: ʽAttente state rischiando la vita lì dentro’”.
La precisazione delle figlie
Dopo l'uscita dell'articolo, le figlie di Grazia hanno voluto esprimere la loro opinione e hanno inviato a Fanpage.it una e-mail che pubblichiamo: "Ciò che ci ha spinto a lasciare casa nostra sono stati i continui maltrattamenti psicologici e fisici a cui ci sottoponevano i nostri genitori (entrambi non Testimoni di Geova) per obbligarci ad abbandonare la nostra religione. Per ben 17 giorni siamo state vittime di insulti e percosse da parte dei nostri genitori. A un certo punto, a ottobre 2016, nostra madre è arrivata a darci un ultimatum di un mese per farci cambiare le nostre idee e portarci a "pensare come lei". Quel giorno stesso, però, lei stessa ha mandato via di casa una di noi dopo averla picchiata fino al punto di farle perdere conoscenza. In quell'occasione questa nostra sorella è finita all'ospedale, dopodiché ha informato i carabinieri di quanto era accaduto. Noi sorelle non abbiamo mai voluto far perseguire penalmente nostra madre e nostro padre per gli abusi subiti (sono sempre i nostri genitori), ma abbiamo notato che il loro comportamento è andato via via peggiorando. Ci dispiace che stiano strumentalizzando la situazione per mettere in cattiva luce la nostra religione".