L’anno che sta per chiudersi è innegabilmente quello di Matteo Renzi, passato in dodici mesi dalla trionfale vittoria delle primarie del Partito Democratico alla guida del Governo (oltre che a capo del semestre di Presidenza dell’Unione Europea). Tanto si è scritto e detto sulla decisione di sostituire Enrico Letta alla guida dell’esecutivo (qui, qui, qui e qui qualche spunto di riflessione) e dopo 12 mesi è già tempo di bilanci e di valutazioni (si spera il più oggettive possibili) sull’operato dell’ex Sindaco di Firenze. Tralasciamo per il momento le considerazioni di carattere “politico” e le analisi di clima del sistema Italia e concentriamoci sui dati, sui freddi numeri come direbbe qualcuno.
Sotto la guida di Matteo Renzi, il Consiglio dei ministri (alla fine del 2014) ha deliberato 72 provvedimenti, di cui 22 decreti legge, 23 disegni di legge (fra cui il ddl di revisione costituzionale) e 27 ratifiche di trattati o accordi di altra natura (in un arco di tempo leggermente superiore il Governo Letta aveva deliberato 102 provvedimenti). Il tasso di conversione in legge dei decreti è praticamente del 100% (considerando che oltre ai diciotto approvati ne abbiamo due, il 165/14 e 168/14, ancora da calendarizzare e due confluiti in provvedimenti analoghi); i disegni di legge approvati in via definitiva dal Parlamento sono invece solo 2, mentre il quadro complessivo relativamente all’intera legislatura è il seguente (dati del ministero per i Rapporti col Parlamento):
L'arma utilizzata con maggior frequenza dal Governo Renzi è quella della fiducia: strumento con il quale sono stati blindati tutti i provvedimenti di maggiore rilevanza. La questione di fiducia (dati aggiornati a febbraio) è stata posta 32 volte in nemmeno 12 mesi di attività, un record assoluto per i governi repubblicani e un segnale chiaro, assieme al ricorso sempre più frequente alla decretazione d'urgenza, dei rapporti di forza fra esecutivo e Parlamento. Un altro indicatore della modalità di lavoro dell'esecutivo è dato dal record di interrogazioni parlamentari che restano senza risposta: anche in questo caso, mai nessuno come Renzi.
Le sfide di Renzi: obiettivi centrati, falliti o rinviati?
Proviamo ora a scendere nel dettaglio e a concentrarci sui provvedimenti centrali dell'esperienza di Renzi a Palazzo Chigi. Va detto che dopo la raffica di annunci iniziale, che sostanzialmente si è ridotta ad una serie di sterili promesse (come vi abbiamo mostrato qui), il Presidente del Consiglio si è dato maggiore tempo, un "orizzonte più ampio", cominciando a ragionare nell'ottica dei "mille giorni per cambiare l'Italia" e non in quella delle "6 riforme in 6 mesi".
La prima grande questione sulla quale il Presidente del Consiglio si era ripromesso di lavorare era la riforma del lavoro, da impostare “entro marzo”. Con un ovvio e naturale sforamento dei tempi, il Governo ha portato a casa nei primi giorni di dicembre la seconda gamba del Jobs Act che, unitamente al decreto Poletti, “completa” la riforma promessa (il virgolettato è d’obbligo, considerando che per ora c’è solo una delega al Governo e sarà necessario attendere ancora per i decreti delegati). Una misura (qui la nostra valutazione) che ha provocato la dura reazione dei sindacati (con lo sciopero generale del 12 dicembre, altro “traguardo” del Governo Renzi) ed ha acuito le distanze tra integralisti renziani e dissidenti all’interno del Pd.
Entro aprile il Governo si era ripromesso di mettere in cantiere la riforma della Pubblica Amministrazione e successivamente (luglio) aveva presentato un testo approvato poi rapidamente dalle Camere. Tra tetto agli stipendi dei manager pubblici (questione peraltro ancora non completamente risolta), modifiche alla mobilità, tetti di spesa sulle assunzioni e conferma del blocco stipendiale, si attendono ancora i decreti attuativi per poter considerare efficace l’azione del Governo e del ministro Madia.
Sul fisco Renzi aveva scelto di giocare una partita importante. Tanto si è detto e scritto sugli 80 euro (qualche esempio qui, qui e qui), un po' meno sul taglio dell'Irap, ma in generale per avere una idea "compiuta" sulla questione bisognerà attendere l'esame di questi giorni della legge di stabilità (il vero assalto alla diligenza, peraltro consegnato con modalità non degne di un paese normale). La questione essenziale, in ogni caso, riguarda le risposte alle domande: perché l'Italia non riesce più a ripartire? C'è modo di abbassare la pressione fiscale in maniera strutturale? Da chi partire nel riordino del sistema fiscale?
Altro punto qualificante era quello del riordino del sistema della giustizia civile (peraltro per una analisi più precisa sullo stato di salute del sistema giudiziario italiano vi rimandiamo qui). Come analizzato da LaVoce.info su questo ambito il giudizio è ambivalente: se è vero che “sono stati eliminati trentuno tribunali ed è prevista la chiusura di centinaia di sedi distaccate”, con un impatto economico positivo, e se l’informatizzazione del sistema giudiziario è a buon punto, restano molti dubbi sulla scelta di affidarsi agli arbitrati e a forme alternative di risoluzione delle controversie, ma soprattutto sul modo in cui le associazioni di categoria “reagiranno” alle modifiche impostate dal ministero.
Le politiche per la crescita restano in ogni caso il più grande punto interrogativo nel percorso dell'esecutivo. Nel nostro piccolo abbiamo avuto modo di spiegare, infatti, il perché né Investitalia, né Sblocca Italia, né il dl competitività, né alcune scelte nella legge di stabilità ci convincano: o meglio, il perché le riteniamo decisamente controproducenti.
A referto Renzi segna poi il piano per l’edilizia scolastica, il piano casa, il patto per la salute, la revisione della cooperazione internazionale e i contratti di sviluppo, il decreto cultura e quello stadi (iter completato), il disegno di legge per il terzo settore, quello sulla giustizia penale (in attesa di seconda lettura), nonché i provvedimenti in materia di riforma costituzionale e di revisione dell’assetto istituzionale. Dopo aver portato a casa, pur tra mille contraddizioni, il disegno di legge che ridisegna le province (no, non le abolisce affatto), il Governo ha infatti messo nero su bianco il disegno di legge costituzionale per il superamento del bicameralismo perfetto e la modifica del Titolo V della Costituzione.
Il disegno di legge costituzionale è passato alla Camera dei deputati, dopo la prima lettura al Senato della Repubblica. Si tratta di uno dei progetti più ambiziosi del Governo Renzi, portato avanti in sintonia (più o meno piena, fino alla rottura del Quirinale) con Silvio Berlusconi, i cui voti sono stati determinanti nella prima lettura del Senato, e tra polemiche ed obiezioni, sia di Movimento 5 Stelle / Sinistra Ecologia e Libertà che della minoranza del Partito Democratico. Il percorso procede con ben più di una perplessità (qui, qui e qui qualche spunto di riflessione), nonostante la spinta entusiastica dell'ex Capo dello Stato Napolitano.
I dati, gli indicatori economici, lo stato di salute del Paese
Anche in questo caso converrà considerare alcuni fattori oggettivi ed analizzare i dati relativamente ai confronti con le esperienze di Governo precedenti. Partiamo innanzitutto dalla progressione della disoccupazione nei mesi di "reggenza" a Palazzo Chigi di Matteo Renzi e dal confronto con gli esecutivi Monti, Letta e Berlusconi per quel che concerne la disoccupazione giovanile: in ogni caso esaminato è evidente il peggioramento degli indicatori negli ultimi mesi. Ecco nel dettaglio:
Per quel che concerne la produzione industriale, c'è poco da sorridere (sempre dati Istat a dicembre):
Gli indicatori Istat per altro, sono abbastanza chiari. Consideriamo ad esempio cosa succede per quel che concerne le retribuzioni orarie minime:
O ancora l'indicatore dei consumi al dettaglio:
Insomma, come del resto facilmente prevedibile, la cura Renzi non ha affatto avuto un effetto taumaturgico sulle condizioni generali del nostro Paese. Né poteva essere altrimenti, considerata la complessità e la profondità dei mali che affliggono in nostro Paese e soprattutto stante la limitatezza dei margini di manovra di cui oggettivamente l'esecutivo dispone. Essenziale in tal senso si rivelerà la partita che Renzi continuerà a giocare in Europa, con l'allentamento dell'austerity che sembra essere ormai una necessità e non più un "desiderio" di parte politica.
Del resto, come vi abbiamo raccontato, le scelte per quel che concerne la spesa pubblica sono rimaste sostanzialmente invariate (con addirittura un peggioramento in quei settori giudicati "strategici", ovvero scuola, Università e ricerca):
Chi invece si attendeva un cambio di passo epocale, per il momento dovrà rassegnarsi ad aspettare ancora: se si toglie la pomposità della comunicazione ed una incontestabile "tensione" alla trasparenza, alla condivisione delle informazioni, alla "pubblicità" degli atti e alla moralizzazione della cosa pubblica, resta una forte continuità di questo esecutivo con le precedenti esperienze. Continuità determinata dagli strumenti, certo, ma anche dalla saturazione dei meccanismi dell'azione politica: in tal senso ci sentiamo di condividere in parte il pensiero di chi crede che la valutazione sull'operato del Governo Renzi possa cominciare solo dopo l'approvazione delle riforme strutturali impostate in questi mesi. (Solo in parte poiché il merito delle riforme resta fondamentale e le perplessità sulle riforme istituzionali e strutturali sono enormi).
Il problema è la bilancia, non il livello dei contrappesi, direbbe qualcuno: e fino a che non si cambia lo strumento di misurazione, fino a che non si capovolge il modello di azione e valutazione, non ci resta che accontentarci di qualche piccolo cambiamento superficiale. Che siano gli 80 euro (veri) o la (finta) abolizione delle province, cambia poco.