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Goffredo Fofi: dialogo sulla cultura contemporanea

Saggista e critico tra i più autorevoli in Italia, Goffredo Fofi risponde ad alcuni degli interrogativi più profondi della nostra epoca: il rapporto tra cultura e mercato, il lavoro giovanile, come si individua il talento e il falso mito di una cultura unica e omologata.
A cura di Andrea Esposito
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Nell’ambito del festival di letteratura “Un’altra galassia” che si è svolto a Napoli al Monastero delle Trentatrè dal 12 al 14 giugno, abbiamo incontrato il critico e saggista Goffredo Fofi per dialogare con lui a 360 gradi sullo stato della letteratura ma più in generale della cultura. Di seguito, e anche nella videointervista, una sintesi delle sue considerazioni.

Il mercato e l’anti mercato

“Grosso modo questo mondo si divide in due parti”, così esordisce il critico umbro, “una parte maggioritaria che è quella strettamente controllata dal mercato e una parte minoritaria che è quella che cerca di sfuggire alle logiche del mercato. Ci sono poi delle situazioni di compromesso, di autori che pur non sottostando alle logiche dell’industria trattano con essa: per esempio Coetzee, grande scrittore sudafricano, pubblica con grandi editori ma non si vende ai grandi editori e lui che vende la sua merce e decide di cosa scrivere e come scrivere”.

Ai giovani non si dà più lavoro

“Questa epoca si contraddistingue per il fatto che ai giovani non si dà più il lavoro. I lavori tradizionali sono spariti, come l’artigianato, la fabbrica e invece, per sopperire a questa mancanza, gli si dà l’illusione di potersi fare strada attraverso la cultura. Per questo tutti ballano, cantano, recitano, disegnano, scrivono, il che rende ovviamente la situazione più difficile, sia per chi ci prova ed ha più concorrenza, sia per chi osserva e ha il compito di individuare il talento. Diciamo che c’è una grande nebbia sulla cultura contemporanea…”

Le specializzazioni non servono più!

“La grande novità della nostra epoca è che le specializzazioni non servono più. Anzi si accorgono di più del nuovo positivo quelli che non ne hanno. Ciò esclude quindi i professori universitari ad esempi e cioè quelli che un tempo erano i depositari della cultura, ma anche i giornalisti che sono per lo più dei pubblicitari, dei trasmettitori o nella migliore delle ipotesi dei divulgatori, ma non dei facitori di idee. Gli specialisti dunque sono quelli che oggi ne capiscono meno, questo perché per capire un grande romanzo serve conoscere anche un po’ di cinema, di fumetto, di musica, insomma bisogna “vivere”. Bisogna tornare a porsi le grandi domane e i grandi scrittori e i grandi registi sono quelli che lo fanno. I grandi quesiti sono in fondo sempre gli stessi: Tolstoj diceva che sono i perché decisivi, ‘chi siamo? Da dove veniamo e dove andiamo?’. In altre parole interrogarsi sulla nostra presenza sulla terra e sui misteri che ci avvolgono, e anche su quello che è possibile fare per rendere questo pianeta abitabile per tutti e non distruggerlo. E questo si fa anche con la cultura”.

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