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Gli italiani e la resa incondizionata agli eventi

Sessantotto anni fa cominciò la resistenza italiana. Oggi il popolo del bel paese sembra aver deciso di arrendersi al proprio destino deponendo le armi e consegnando il proprio futuro nelle mani di una classe politica incapace e corrotta. Ecco come seppellire -per sempre- la memoria dei padri.
A cura di Anna Coluccino
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8 settembre 1943_armistizio

«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Queste le parole che il generale Badoglio pronunciò poco più di sessantotto anni fa -l'8 settembre 1943- piombando l'Italia nel baratro del caos. Quella che per pochi istanti sembrò la fine della guerra altro non fu che una resa incondizionata alle forze aglo-americane di cui nessuno, neppure il provvisorio  capo del governo italiano, percepì le conseguenze. Di fatto, le dichiarazioni di Badoglio diedero avvio a due degli anni più sanguinosi della storia del nostro paese. L'8 settembre, infatti, non corrispose affatto alla fine delle ostilità sul territorio italiano ma all'apertura di un abisso in cui tanti persero la vita ma moltissimi recuperarono la dignità, lo scatto di rabbia e d'indignazione che credevano perduti. Mentre la famiglia reale e i vertici delle forze armate abbandonavano la capitale, le truppe persero ogni riferimento, molti disertarono tornando alla vita civile, altri continuarono a combattere alla cieca senza sapere neppure chi fossero gli alleati e chi i nemici (quale sintesi migliore della follia della guerra? Basta una semplice dichiarazione e ci si aspetta che un soldato -un uomo- uccida il compagno con cui ha combattuto o abbracci colui che gli ha sparato…) più di 600.000 italiani vennero fatti prigionieri e deportati nei lager nazisti, il popolo si ritrovò diviso tra brigate partigiane e strenui sostenitori del fascismo, tutti impegnati in una vera e propria guerra intestina mentre i nazisti occupavano la penisola, battendola a tappeto e rastrellando vite umane al ritmo di pioggia battente.

L'8 settembre 1943 il governo italiano si arrese, ma il popolo no, continuò a lottare, inseguendo le proprie ragioni, in virtù delle quali -molti- furono pronti a consegnare la vita.

Oggi, anche se nessun caccia sorvola i nostri cieli precipitando bombe sui volti pietrificati della popolazione, la situazione in cui ci troviamo è in qualche modo simile, eppure capovolta.

È il caos calmo.

Tutto è turbamento interiore, malessere esistenziale, vortice di rabbia ed emozioni represse che si traducono nell'incapacità di muovere un passo.

A differenza dell'8 settembre 1943, il governo non accenna a compiere un doveroso mea culpa, non ipotizza alcuna resa, tira dritto incurante della seppure debole voce di protesta che si solleva dal mondo politico e civile…  Senza nessuna etica -né accenno di vergogna o anche solo pudore- la classe dirigente italiana continua a bivaccare sulle macerie di un paese in ginocchio, ridendo, giudicando, additando chi rivendica il diritto a una vita dignitosa come un irresponsabile nemico del paese che farebbe bene a "lavorare invece di parlare". Eppure, nonostante l'evidente sfacelo, nonostante l'assoluta sfiducia in tutto ciò che è istituzione, politica e -paradossalmente- in tutto ciò che è pubblico, gli italiani restano immobili, in balìa degli eventi e di quel che si ostinano a chiamare "destino" ma che -in realtà- è classificabile solo come "futuro" e, in quanto tale, potrebbe essere modificato in qualsiasi momento.

I ricchi evadono il fisco mentre il ceto medio viene affamato sempre più?

Gli italiani sbuffano, imprecano, agitano i pugni in aria,  ma poi si riaddormentano e consegnano all'oblio ogni consapevolezza, all'atarassia ogni moto d'orgoglio, per poi svegliarsi e ricominciare tutto da capo.

Sembra quasi che niente e nessuno abbia il potere di modificare il destino del nostro paese, impresso a fuoco da qualche parte nella storia. Nessuno può nulla. Neppure sessanta milioni di persone che insieme decidono di non poterne più. E quindi che si fa? Si aspetta -quieti- la fine. Magari maledicendo un centinaio di volte al giorno l'Italia e chi la fece,  tanto per non sentirsi succubi (almeno non fino in fondo). Perché, quantomeno, ci resta il diritto al dissenso verbale, no? E allora fiato alle trombe e…  piove governo ladro e addà venì baffone, e impicchiamo l'ultimo papa con le budella dell'ultimo re, e noi non pagheremo la vostra crisi… Ma si abbaia alla luna, si sceglie di urlare slogan preconfezionati provando a mettere a tacere una coscienza che suggerirebbe ben altri moti e una dignità ormai afona che -potendo- rifuggirebbe dai corpi per ricostruirsi un'esistenza altrove, il tutto in posa plastica mentre si osserva il cielo, aspettando che invisibili bombe arrivino a radere al suolo quel che resta dell'ormai fittizio benessere italiano.

L'8 settembre 1943 l'Italia non si arrese, non aspettò placida e tranquilla che il fuoco "alleato" distruggesse le città, che nazisti e fascisti punissero i traditori. Reagì. E seppure in principio le truppe di resistenza somigliavano molto più ad Armate Brancaleone che a eserciti di liberazione organizzati, questo non scoraggiò i nostri antenati i quali -caduto dopo caduto- inventarono una formula capace di condurli alla vittoria. Dall'8 settembre 1943 gli italiani sono stati il giovane in camicia bianca contro il carrarmato di piazza Tienanmen, sono stati gli assediati di Leningrado, sono stati caparbi, e fieri, e ostinati. E sono riusciti a salvarsi. Certo, gli equipaggiamenti forniti dagli alleati furono indispensabili alla riuscita dell'impresa, ma non si può dimenticare che molti di quei combattenti erano ragazzini che poco o nulla sapevano della guerra e che desideravano soltanto tornare liberi. In un modo o nell'altro.

E ora? Perché restano immobili, naso all'insù e quasi implorando con il silenzio che una fine degna di questo nome metta fine all'agonia?  Ma riappropriarsi del proprio destino non è forse -oggi come allora- il desiderio di tutti? Tornare liberi? Poter scegliere come vivere la propria vita senza che potenze oscure costringano alcuni alla fame mentre altri godono d'ogni tipo di comodità e privilegio?

Eppure persino di fronte al rischio sempre più concreto di default, di fallimento dello stato, gli italiani si sono arresi.Si limitano a tremare a ogni annuncio, abbandonando il pensiero critico. Sventolano bandiera bianca e attendono, lacrimando e lamentando, lo sciabolare rapido e indolore della ghigliottina. Ma da quando sono i governanti che si liberano dei governati? Da quando è il popolo ad aver paura del governo che pure ha eletto? Eppure noi restiamo. Domati, assuefatti, abituati al peggio che non ha mai fine (e allora perché stupirsi?) a guardare mentre un'intera classe politica corrotta e incapace affama gli affamati, massacra i massacrati, continuando a salvare gli intoccabili, la casta e se stessa.

Non ci si può aspettare che questa classe politica operi davvero per il bene dell'Italia. Né ora né mai. Siamo lucidi, siamo onesti e pragmatici. Non ci si può aspettare che chi non ama questa terra faccia quanto di meglio in suo potere per proteggerla. Non è più il momento di accettare che ci ha lasciato la nave in balìa della peggiore tempesta economico-finanziaria da 80 anni a questa parte oggi avochi a sé il compito di tappare i buchi quando ha dimostrato più e più volte di non essere in grado di farlo. Il paese fa acqua da tutte le parti e di saltimbanchi non abbiamo più bisogno. Abbiamo riso a sufficienza, anche quando non c'era davvero più nulla da ridere, abbiamo trovato la forza di credere che una risata vi seppellirà. Ma ora basta. Ora c'è bisogno di persone serie, oneste, preparate, che sanno quello che fanno e che hanno a cuore il futuro del paese.

Non è questo il momento di arrendersi. Non è questo il momento di deporre le armi e attendere pazientemente la fine. Non possiamo permetterci alcun armistizio. Occorre ritrovare coraggio e motivazione, occorre smettere di pensare a salvare i propri averi scavando un buca nel terreno e aspettando che passi la bufera, occorre rimboccarsi le maniche e imporre le proprie condizioni, dare vita alle idee: creando, proponendo, facendo squadra, intraprendendo con fiducia una strada diversa sapendo che i vessati sono molti più dei vessatori, credendo fermamente in un risorgimento italiano e liberandosi di chi ha affossato il paese (a qualunque partito, coalizione, gruppo appartenga) e plasmare l'Italia a immagine e somiglianza della meglio gioventù che la abita. Ammesso che questa sia davvero diversa da chi li rappresenta. Ammesso che siano i degni figli di chi questo paese, sessantotto anni fa, cominciò a salvarlo e -alla fine- ci riuscì.

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