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Giornalista rinviato a giudizio per aver raccontato le proteste dei No Tav

Davide Falcioni, giornalista di Fanpage.it, è stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Torino: nel 2012 raccontò una protesta pacifica del Movimento No Tav, ora è accusato di violazione di domicilio.
A cura di Redazione
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Dopo aver processato le opinioni di Erri De Luca il Tribunale di Torino si accinge a fare la stessa cosa con la cronaca: il giornalista di Fanpage – e in passato di AgoraVox – Davide Falcioni è stato infatti rinviato a giudizio due giorni fa con l'accusa di "concorso in violazione di domicilio": nell'agosto del 2012, infatti, il reporter si recò in Val di Susa per documentare la lotta del Movimento No Tav contro la costruzione della linea ferroviaria Torino – Lione. Falcioni rimase a lungo nell'area del campeggio organizzato ogni estate dagli attivisti e prese parte anche a tutte le iniziative, compresa l'occupazione – pacifica e lunga poco più di un'ora – della sede della Geovalsusa, ditta che all'epoca partecipava ai lavori per la costruzione del tunnel dell'alta velocità. Il giornalista si accodò ai manifestanti e documentò quanto accadeva, scrivendone in seguito in diversi articoli pubblicati su AgoraVox (qui e qui).

Davide Falcioni rinviato a giudizio

Nel novembre del 2014 il "colpo di scena" da parte della Procura di Torino. Durante il processo su quei fatti a carico di 19 No Tav, Falcioni – che fino a quel momento non era stato coinvolto dall'inchiesta – si rese disponibile a testimoniare in difesa degli imputati. Nel corso dell'esame in aula, tuttavia, il Pubblico Ministero, Manuela Pedrotta, interruppe l'esame del giornalista nel momento esatto in cui egli disse che – all'interno dei locali della ditta Geovalsusa – "il clima era sereno". Fu così che al reporter venne comunicato – seduta stante – che viste le sue dichiarazioni sarebbe stato indagato per lo stesso reato ascritto agli altri imputati, quello di violazione di domicilio aggravata dalla violenza sulle cose. Dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari, risalente all'ottobre 2015, il 4 aprile Davide Falcioni è stato rinviato a giudizio dal Gup del Tribunale di Torino Paola Boemio.

Per la Procura di Torino il giornalista deve riportare la sola versione della polizia

Un giornalista verrà quindi processato per aver fatto il suo dovere, quello di raccontare. Falcioni si era recato in Val di Susa per documentare il dissenso del movimento No Tav ma secondo la Procura di Torino non avrebbe mai dovuto varcare la soglia della sede della Geovalsusa, anche se era palese che proprio in quei locali si stesse consumando una "notizia", un fatto di pubblico rilievo. Per la Procura di Torino il giornalista avrebbe dovuto chiedere alla polizia quello che era successo, e ciò malgrado nessun agente fosse stato presente e lui – invece – sì. Avrebbe, quindi, dovuto raccontare la sola versione "ufficiale", quella che la questura avrebbe promosso di lì a pochi giorni. Non solo: al cronista non viene mossa l'accusa di falsa testimonianza a ennesima riprova che quanto da lui scritto non era falso.

Il processo a Falcioni è una violazione del diritto di cronaca?

Il processo a Davide Falcioni è con ogni evidenza una violazione del diritto di cronaca che non riguarda solo il nostro giornalista, ma dovrebbe interrogare l'intera categoria. Sono decine – forse centinaia – i giornalisti che per essersi recati in Val di Susa potrebbero essere accusati di aver commesso dei reati. Chi in passato ha raccontato le occupazioni dell'autostrada ha partecipato, con la sua mera presenza, a un atto illegale. I cronisti che hanno calpestato i sentieri hanno violato le ordinanze di divieto; idem per coloro che hanno documentato gli scontri con le forze dell'ordine stando dalla "parte sbagliata" della "barricata": perché non accusare anche loro di "concorso morale"? Tutti denunciabili, tutti processabili. Eppure la Val di Susa è una zona dove la presenza dei giornalisti dovrebbe essere caldeggiata, vista la fitta rete di interessi – anche criminali: la Direzione Nazionale Antimafia nel 2011 dava al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese: "In Piemonte la ‘ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia". La sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione riconobbe "un'emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia". Ma il processo a Falcioni rischia di scoraggiare i cronisti a recarsi in Val di Susa. Perché mai rischiare un'imputazione, cospicue spese legali e uno stress non indifferente?

Il caso di Flavia Mosca Goretta e la posizione della FNSI

Sarà un giudice a stabilire se Davide Falcioni ha commesso un reato. Come ricordava Valigia Blu nei mesi scorsi commentando proprio il caso del nostro giornalista "il diritto di cronaca è garantito anche dallo stesso codice penale: la scriminante prevista dell'articolo 51 esclude la punibilità dell'imputato nel caso in cui il reato sia commesso nell'esercizio di un diritto. Riguardo la libertà di informazione, inoltre, la giurisprudenza è d'accordo nel garantire la prevalenza della cronaca anche rispetto ai diritti altrui. La narrazione dei fatti, però, deve corrispondere a verità, essere di interesse pubblico e con un'esposizione civile". Le sentenze – solitamente favorevoli ai giornalisti – presentano però delle eccezioni, come quella di condanna a carico della giornalista di Radio Popolare Flavia Mosca Goretta, che nel 2011 documentò una manifestazione No Tav e per questo venne accusata di non aver rispettato le disposizioni di polizia e persino di danneggiamento. Per quei fatti è stata condannata al pagamento di un'ammenda: la vicenda è stata commentata da Beppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana: "Il principio è pericoloso e ambiguo, in radicale contrasto con il diritto di cronaca, con le sentenze della Cassazione e con l’articolo 21 della Costituzione. Compito del cronista, infatti, è proprio quello di andare oltre le versioni ufficiali, di svolgere una funzione di controllo pubblico e sociale, come per altro affermano testualmente tutte le sentenze della Corte europea".

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