G20 San Pietroburgo, la solitudine dell’ex numero primo Barack Obama
Nessuno dei venti capi delle potenze economiche mondiali presenti alla due giorni di San Pietroburgo vorrebbe trovarsi nei panni di Barack Obama, il padrone del mondo che stenta a essere padrone di se stesso e delle sue decisioni. Le ultime, riguardanti la spedizione punitiva in Siria nei confronti di Assad, le ha rimesse nella mani del Congresso con un gesto più caritatevole (verso di sé) che di profonda democrazia. Anche perché nella sua storia recente e passata, la più grande democrazia del pianeta, ha un’infinità di scelte unilaterali che voltano le spalle a qualsivoglia decisione condivisa. Invece il premio Nobel per la pace trova nei falchi oppositori alla sua amministrazione il consenso al passo bellico in Medio Oriente. Non è detto che la spunterà perché il malumore verso la guerra serpeggia nel Congresso e in un Paese che sembra risollevare il suo status economico ma teme altri buchi neri di spese com’è accaduto in Iraq e Afghanistan. Per salvare, almeno in apparenza, la faccia Obama cercherà l’irricercabile: un assenso di Putin al suo gesto “umanitario” di scudisciare Assad per le probabili, seppure non accertate, bombe chimiche sui bambini. Assenso fantascientifico per quello che sulla crisi siriana la Russia ha sostenuto, anche per salvaguardare i suoi interessi, da trenta mesi a questa parte.
Solitudine di una potenza – E’ un Obama più che dimezzato il presidente che sarà al cospetto dei forti del mondo. Mostrerà la caparbia solitudine frutto d’una disastrosa strategia geopolitica suggellata non solo dai diktat sui superamenti di “linee rosse” ma la sequela d’incertezze e oscillazioni sulle vicende regionali (Egitto su tutte) che compromettono i positivi sganciamenti dalle paludi irachena e afghana. Paludi di conflitti, persi in entrambi i casi, ma non di dopoguerra che si prospettano ancora più caotici e ingarbugliati del panorama su cui operò la bushana “guerra al terrore”. Se non avesse lanciato o avallato altri aut aut, Obama potrebbe dialogare col nuovo corso di Teheran che ha nel diplomatico Rohani un interlocutore meno focoso del pasdaran Ahmadinejad. Ma verso il gigante regionale iraniano l’attuale amministrazione conserva embargo e preconcetti sull’establishment degli ayatollah, rafforzati dai consigli dell’alleato principe (assieme a Israele): la dinastìa Saud. Essa aggiunge al confronto economico-energetico e militante contro l’Iran (fomentando le milizie qaediste contro gli Hezbollah) anche quello confessionale e ormai contrappone un’internazionale sunnita all’espansione sciita in Medio Oriente.
Economia fra speranze e nuovi timori – Per lo schiaffo a Damasco nella vecchia Europa della Nato il presidente Usa trova sostegno solo in Hollande, visto i problemi registrati da Cameron e il diniego già esplicitato dalla Germania, la cui Cancelliera Merkel, già immersa nella bagarre elettorale, s’è peritata di ribadire il no tedesco alle bombe punitive esprimendo la speranza di trovare domani “una posizione comune da parte della Comunità internazionale”. L’economia, questione centrale d’ogni assise mondiale, centrerà l’attenzione sugli ultimi suggerimenti di Fmi e Ocse di contenere i tassi d’interesse per dare fiato ad alcune iniziative di rilancio occupazionale. Mentre Europa e Usa sperano in una ripresa, colossi in crescita come l’India devono far fronte ad attacchi subìti dalla rupia che da alcuni mesi perde pesantemente terreno contro le valute forti e fa fuggire capitali dagli investimenti interni. Il fenomeno preoccupa le altre neo potenze, Brasile e Sudafrica, che sotto il rispolverato acronimo Brics s’incontreranno dopo il G20 per analizzare prospettive future delle proprie economie. Investimenti, sviluppo, crescita globale, occupazione è il poker lanciato nell’incontro mondiale ma c’è da giurare che tante parole saranno dedicate a un unico sostantivo: bombardamento. Si dice per fini di pace.