19 luglio 1992 – 19 luglio 2012, il ricordo di Paolo Borsellino
Vent’anni fa avveniva la strage di Via d’Amelio a Palermo: un’autobomba scoppiò al passaggio del giudice Paolo Borsellino provocando la sua morte e quella di cinque uomini della sua scorta. Dopo vent’anni da quella strage barbara, il ricordo del giudice continua ad essere vivo.
Il 19 luglio del 1992 moriva a Palermo il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia insieme a cinque uomini della sua scorta. Oggi si celebra il 20esimo anniversario del terribile attacco, descritto sui libri di storia come la strage di Via D’Amelio. E dopo vent’anni vi sono ancora troppi dubbi che non permettono di chiarire una pagina tanto buia della nostra storia.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone erano due eroi italiani, due eroi silenziosi, che vivevano per il loro lavoro, per la lotta alla mafia. Ne erano convinti entrambi, sapevano che la mafia poteva essere sconfitta. E per questo erano due personaggi scomodi, due personaggi che andavano e sarebbero stati eliminati. Falcone morì il 23 maggio del 1992, da quel giorno il suo amico Borsellino si convinse che il suo destino sarebbe stato lo stesso. Ma non per questo si dava per vinto, ed è per questo che dopo vent’anni il suo ricordo è ancora vivo.
Sono innumerevoli le immagini come questa, che ritraggono insieme i due giudici anti-mafia. Colleghi sul lavoro, grandi amici nella vita: le loro esistenze erano intrecciate e purtroppo anche il loro tragico destino è stato lo stesso. La loro passione per la legalità non gli ha risparmiato la morte, non ha risparmiato alle loro famiglie, ma anche a un Paese intero che li prendeva ad esempio, il dolore per delle perdite così grandi.
Le parole che rimbombano a vent’anni dalla morte di Borsellino sono quelle che egli stesso pronunciò a sua moglie Agnese, quando ormai era a conoscenza del suo tragico destino: “C’è una trattativa in corso tra la mafia e lo Stato dopo la strage di Capaci, c\'è un colloquio tra la mafia e alcuni pezzi infedeli dello Stato, c\'è questa contiguità tra mafia e pezzi deviati dello Stato. Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno...”
La strage di Via D’Amelio a Palermo era stata progettata da tempo, da tempo qualcuno aveva deciso che anche Borsellino, dopo Falcone, doveva morire. Accade il 19 luglio del 1992 quando Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta da sua madre per farle visita. Aveva appena finito di pranzare con sua moglie e con i suoi figli, al suo arrivo una Fiat 126 con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò il passaggio del giudice. La terribile esplosione, mortale per sei persone, alle 16.58 di quel terribile giorno.
Paolo Borsellino, Emanuela Loi (la prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincendo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina: le sei vittime di Via D’Amelio a Palermo, i sei servitori dello Stato uccisi dal tritolo. L’unico sopravvissuto di quella strage fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
Dopo venti anni le immagini del 19 luglio 1992 fanno ancora male, segno di una ferita del Paese che mai potrà guarire. Immagini che si sommano inevitabilmente a quelle di Capaci, quando a morire sull’autostrada furono il giudice Falcone, sua moglie e la sua scorta. Lo scenario era lo stesso, terribile in entrambi i casi: automobili ormai ammassi di lamiere, fuoco, palazzi squartati, vetri rotti e sangue innocente.
“Massacro, ucciso Borsellino”, così titolava il quotidiano italiano all’indomani della strage di Via D’Amelio. Pagine e pagine di giornali sono state scritte in vent’anni, necessarie per raccontare e fare chiarezza su quanto avvenuto, ma anche per non dimenticare. Oggi il ricordo di Paolo Borsellino è vivo e continuerà ad esserlo nel corso degli anni, così come i giornali continueranno a scrivere di una storia ancora alla ricerca della verità.
I funerali di Paolo Borsellino si celebrarono il 24 luglio, qualche giorno dopo di quello degli uomini della scorta. Fu una cerimonia privata perché la moglie Agnese e gli altri familiari rifiutarono il rito di Stato accusando il governo di non aver saputo proteggere il giudice. Furono celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, dove Borsellino era solito sentir messa la domenica. Per lui arrivarono circa diecimila persone (con qualche politico, c’erano Scalfaro, Cossiga, Fini e Martelli), l’orazione funebre fu pronunciata da Antonio Caponnetto, il vecchio giudice che diresse l’ufficio di Falcone e Borsellino: “Caro Paolo, la lotta che ha sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”.
Vent’anni senza Falcone e Borsellino ma da vent’anni con le loro idee che sono diventate di tutti e che non moriranno mai. Lo ripetono ogni anno tutti quelli che arrivano a Palermo, che mostrano le immagini dei due magistrati, che li ricordano nei luoghi delle stragi della mafia con convegni ed iniziative. Loro sapevano di dover morire, Borsellino ne era forse ancora più consapevole all’indomani della morte del suo amico. A Palermo era considerato “un morto che cammina”, lo ripeteva spesso ma fino alla fine fu coerente col suo “motto”, diventato poi celebre: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
Il movimento delle “Agende rosse” è quello nato per volontà di Salvatore Borsellino, fratello del giudice che da anni mantiene alta l’attenzione sulle stragi della mafia. L’agenda rossa di Borsellino rappresenta uno dei tanti misteri ancora da chiarire: il giudice portava sempre con sé un’agenda nella quale annotava tutti i dati delle sue indagini (comprese probabilmente le prove di una trattativa tra Stato e mafia) e che, dopo l’attentato, non è stata più ritrovata. Suo fratello, convinto di una trattativa “probabilmente ancora in corso”, definisce il popolo delle Agende rosse “i suoi soldati, la sua speranza per il futuro”.
Una frase diventata ormai uno slogan, urlata, stampata su striscioni e magliette, ricordata ogni anno in occasione degli anniversari delle stragi. Parole capaci di ricordare il senso della “missione” dei due giudici anti-mafia, parole e idee che continueranno ad essere pronunciate, continueranno a far parlare di mafia e di criminalità. Falcone e Borsellino si sono sacrificati per noi, noi dovremmo ringraziarli e dovremmo essere capaci di onorarne la memoria ogni giorno, fin quando il nostro Paese riuscirà finalmente a liberarsi della criminalità, della corruzione e del malaffare.