Uno dei problemi che affligge ogni anno il libero professionista (nella specie l’avvocato) è l’accumulo dei crediti per la c.d. formazione continua ed obbligatoria o per il c.d. aggiornamento professionale.
Alla base di quest’ulteriore onere e obbligo a carico del professionista c’è un’esigenza (giusta) di garantire il consumatore che il professionista (avvocato) dal momento dell’iscrizione all’albo professionale fino alla pensione continui nella propria opera di studio, preparazione, miglioramento ed aggiornamento professionale.
Si tratta, come si è già detto, di un’esigenza opportuna, non solo se si vede quest’ulteriore onere in termini di certezza per il consumatore finale, ma anche (e soprattutto) se ci rapporta al sistema universitario attuale.
Infatti, occorre considerare che quest’opera di formazione continua (o post iscrizione all’albo professionale) potrebbe servire a colmare (oppure completare) quelle lacune di preparazione prodotte dall’attuale sistema universitario. Questo perché il sistema tradizionale universitario in vigore dal 1942 al 2000 è stato sostituito, da un sistema più volte modificato (riforma del 3+2 o della laurea breve e specialistica poi il c.d. 1+4), che ha di molto abbassato lo standard qualitativo dei laureati. Senza dilungarsi troppo sul tema, basta sottolineare che alla laurea ci si arriva studiando su dei libri “fumetti” (che sono il riassunto, del riassunto, del riassunto dei manuali usati nel vecchio ordinamento), ma cosa ancora più grave è il fatto che al giovane laureato viene inculcata l’idea che anche il post laurea sarà tutto un fumetto (si sorvola sui gravi danni che questo sistema comporta). Purtroppo, prima o poi i giovani laureati, si scontrano con la dura e cruda realtà, poiché il mondo del lavoro richiede un altro tipo di preparazione e dovranno fare i conti con un tipo di libri, per spessore, mole ed approfondimento, che non aveva mia visto prima e che non sono in grado di gestire.
Anche l’immediato post laurea la situazione rimane invariata (almeno per la facoltà di giurisprudenza), infatti, la riforma dell’università (iniziata da Berlinguer) ha soppresso le vecchie specializzazioni in diritto civile, amministrativo e penale presenti nel vecchio ordinamento e ha creato un'unica specializzazione in “professioni legali” (SSPL), il cui scopo dovrebbe essere quello di creare un substrato comune a tutti i professionisti legali, ma che nei fatti si limita a cercare di colmare le lacune derivanti dalla laurea acquisita studiando sui fumetti. Sul punto basta osservare che lo studente è specializzato (o dovrebbe essere a conoscenza) di tutto l’ordinamento giuridico (!) Già in questo momento è evidente la illogicità del sistema didattico universitario, infatti, in un mondo economico e professionale (almeno per il campo giuridico) che vede e richiede professionisti sempre più iper-specializzati e abituati alla ricerca scientifica (o all’approfondimento), al contrario, il sistema didattico universitario offre studenti che considerano i libri approfonditi degli scherzi della natura e/o specializzanti in tutto lo scibile giuridico.
Chiuso questo ciclo di formazione, il giovane laureto affronta il modo del lavoro e inizia il c.d. periodo di pratica professionale, ma mentre la pratica professionale, prima della riforma dell’università, era considerata come un periodo in cui il giovane professionista doveva approfondire il sistema giuridico, specializzandosi, con gli opportuni studi, in una data materia, dopo la riforma dell’università il giovane professionista usa tale periodo per riprendere (rifare) ex novo il ciclo di studi universitari.
Si lascia all’immaginazione cosa potrebbe accadere se, come sembra dalle varie proposte legislative, il periodo di pratica professionale scomparisse.
Dopo l’iscrizione all’albo professionale, si innesta l’obbligo della formazione obbligatoria o dei crediti formativi (ed è intuitivo comprendere che, per quanto detto in precedenza, il sistema dell’aggiornamento professionale serve, in parte, anche a sopperire alle carenze del sistema universitario nazionale post riforma, mentre, al contrario, dovrebbe avere come unica finalità l’aggiornamento e/o specializzazione del professionista).
È opportuno sottolineare che se, da un lato, l’esigenza di migliorare la preparazione del singolo professionista è un’istanza che merita di essere accolta, dall’altro lato, il mezzo scelto o le modalità usate lasciano molto a desiderare, (anzi ha esposto il professionista a notevoli pericoli).
Infatti, ogni anno il singolo professionista (avvocato) deve acquisire circa 25 crediti formativi (1 credito = 1 ora di lezione), cioè deve partecipare (assumendo la qualifica di mero spettatore) a 25 ore di lezione. In realtà se si calcola il tempo impiegato per raggiungere dallo studio professionale il luogo della lezione e il tempo per tornare dal luogo della lezione allo studio si perde mezza giornata (quindi per ogni ora di lezione, di fatto, sono “vincolate” 3 ore).
Descritto, così, il sistema appare semplice.
Appunto, appare, perché il sistema è talmente articolato che può essere equiparato ai calcoli necessari per un viaggio spaziale terra – luna e ritorno (infatti, il periodo di riferimento è il triennale, cioè nel triennio occorre raggiungere un minimo di punti pari a 75 crediti, ma non basta, perché, ogni anno occorre fare almeno 20 crediti, per i rimanenti 15 punti il singolo professionista è libero di scegliere quando conseguirli; infine, all’interno di questi crediti occorre obbligatoriamente seguire alcune lezioni – circa 12 ore – specifiche – c.d. previdenza forense o ordinamento).
La violazione dell’obbligo di aggiornamento professionale comporta una sanzione deontologica, ma si tratta, comunque, di sanzioni più teoriche che reali, del resto, basterebbe immaginare quante risorse dovrebbe impiegare (e quali costi dovrebbe sostenere) un consiglio di un ordine professionale con 5000 iscritti, per controllare se 5000 persone hanno conseguito tutti i 75 crediti, per accreditare tutte le ore di lezione del singolo professionista e, soprattutto, per sanzionare il singolo professionista che a eventualmente conseguito solo 74 crediti su 75.
Bisogna anche sottolineare un altro aspetto, infatti, è facile intuire che una platea di professionisti alla spasmodica ricerca di crediti formativi (lezioni) sono un potenziale occasione di guadagno per chi offre lezioni a pagamento, del resto, appena varata la norma sono sorti i corsi a pagamento per ottenere i crediti formativi.
In questo nuovo mercato delle lezioni o il nuovo mercato dei crediti formativi, un calmiere (o una forma di protezione) è stata offerta da alcuni consigli degli ordini professionali che organizzano gratuitamente corsi per i propri iscritti, (si tratta, comunque, come è facile intuire, di attività limitate nel tempo e dal territorio e non sempre disponibili per tutti i professionisti).
Altra forma di tutela del professionista consiste nel fatto che gli organizzatori di corsi di formazione a pagamento devono ottenere una sorta di omologa dei consigli dell’ordine (almeno fino a oggi, poiché sembra che l’intenzione del legislatore è quella di far predisporre corsi di formazione senza dover chiedere ed ottenere il visto preventivo del consiglio dell’ordine, (si tratta di una pseudo liberalizzazione, poiché, di fatto, si elimina una forma di tutela per il singolo professionista).
Ecco, dunque, che sorge l’esigenza di creare un sistema (o di migliorare il sistema vigente) che non lasci i professionisti privi di difesa di fronte alle aspettative di lucro degli organizzatori delle lezioni a pagamento. Occorre, quindi, chiedersi se oltre il sistema delle lezioni / corsi, non può essere previsto un sistema diverso o con delle alternative tali che siano utili, da un lato, ad invogliare i professionisti a partecipare realmente alla propria formazione, dall’altro, ad essere uno strumento che disincentiva (se non impedisce) il mero lucro sulla formazione obbligatoria.
Per ottenere un tale risultato, occorre, però, pensare ad un cambio di prospettiva del sistema dell’aggiornamento professionale, infatti, il sistema dovrebbe essere congegnato in modo tale da mettere il singolo partecipante al centro del progetto, mentre il sistema attuale è pensato come “ordine – centrico” e la limitata presenza di alternative al sistema lezione/corsi, rende il mercato dell’aggiornamento professionale, molto appetibile ad operatori economici privi di scrupoli.
Infatti, come si è già detto, gli ordini devono riconoscere i corsi, però, questa prerogativa pensata come una tutela per i professionisti, è diventata un’arma a doppio taglio, infatti, poiché il mercato dei corsi di formazione è molto appetibile, il legislatore eliminerà presto tale obbligo di riconoscimento, ma si tratta solo di una apparente innovazione o liberalizzazione, poiché alla base c’è solo l’esigenza di rendere il mercato dei crediti o della formazione professionale fruibile a tutti gli operatori economici che intendono trovare una ennesima occasione di mero guadagno – senza limiti e senza tutele per il singolo professionista. Del resto, se i corsi fossero gratuiti, l’eliminare dell’omologa dei consigli sarebbe inutile o meno urgente, mentre, se i corsi sono a pagamento l’omologa dei consigli costituisce un ostacolo da eliminare per il raggiungere il lucro.
In questo contesto uno dei mezzi, per tutelare il singolo professionista è quello di creare (o potenziale) le alternative ai corsi / lezioni oggi già esistenti, in modo da rendere meno appetibile il mercato della formazione professionale o, quanto meno, ampliando le modalità con cui il professionista può adempiere al suo onere/obbligo di formazione professionale e lasciando al professionista la scelta sul come aggiornarsi (la mancanza o l’impossibilità di esercitare altre alternative è una delle cause che ha determinato la situazione sopra descritta), ed è innegabile che tutto questo si tradurrebbe in una ulteriore forma di tutela del professionista verso operatori economici privi di scrupoli, poiché non dovrebbero essere per forza legati a questi ultimi.
Che il sistema debba essere ripensato (profondamente ripensato) si deduce anche da una semplice analisi delle alternative ai corsi lezioni già previste dal regolamento del Consiglio nazionale forense e dei singoli consigli degli ordini: a tal proposito l’art 4 rubricato come “attività formative” prevede che “Integra assolvimento del dovere di formazione professionale continua ai sensi del presente Regolamento lo svolgimento delle attività di seguito indicate:
- a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui all'art. 3 comma I;
- b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione o di rilevanza nazionale, anche on line, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici ovvero su riviste e siti internet editi ad opera del Consiglio dell'Ordine;
- c) docenza in materie giuridiche svolta in istituti universitari ed enti equiparati e nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;
- d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato per l'abilitazione alla professione di avvocato, per tutta la durata dell'esame.
- e) il compimento, individuale o collettivo, di altre attività di studio ed aggiornamento, svolte in autonomia nell'ambito della propria organizzazione professionale che siano riconosciute dal Consiglio dell'Ordine di Napoli idonee dal punto di vista formativo ai fini del presente Regolamento.
A richiesta dell'interessato, il Consiglio dell'Ordine attribuisce i crediti formativi per le attività sopra indicate, tenuto conto della natura della attività svolta e dell'impegno dalla stessa richiesto, con il limite massimo di:
- n. 15 crediti nel triennioper le attività di cui alla lettera a)
- n. 15 crediti nel triennio per le attività di cui alla lettera b)
- n. 15 crediti nel triennio per le attività di cui alla lettera c)
- n. 15 crediti nel triennio per le attività di cui alla lettera d)
- n. 15 crediti annuali per le attività di cui alla lettera e)”.
E' evidente che il sistema attuale appare disincentivare tutte le alternative ai corsi lezioni. Infatti, basterebbe chiedersi perché non sono state previste (o quanto meno non sono state stipulate) delle convenzioni con le università, per lo svolgimento di Master, a costi contenuti (dato l’alto numero di potenziali partecipanti) e che, comunque, al termine del percorso rilasciano comunque un “titolo”, inseribile nel curriculum professionale, spendibile nella vita di tutti i giorni, anche oltre la mera formazione professionale, (a differenza dei corsi attuali, che restano “privati”), si potrebbe anche pensare a dei Dottorati di ricerca, certo, in questo modo gli ordini professionali non avrebbero l’esclusiva della formazione e dei corsi, ma da un sistema “ordine-centrico” si passerebbe ad un sistema pensato per il singolo professionista, e che tutela il singolo professionista.
La propensione a disincentivare qualsiasi alternativa al sistema corsi – lezioni è evidente anche nel sistema dell’attribuzione del punteggio per le forme di aggiornamento professionale alternative ai corsi – lezioni: infatti, attualmente il massimo di crediti conseguibili con sistemi diversi dal corso – lezione è di 15 crediti nel triennio, cioè in 5 crediti all’anno. In altri termini, una monografia sulla causa del contratto di 160 pagine, pubblicata da un editore di rilevanza nazionale, non potrà ottenere più di 15 crediti (nel triennio), quando solo il tempo impiegato nella ricerca bibliografica, nello studio delle varie problematiche e scrittura del testo è maggiore delle 75 ore/crediti triennali previsti dalla attuale disciplina per la formazione obbligatoria (!).
Identico discorso vale per gli articoli, pubblicabili anche on line (almeno l’editoria elettronica è stata equiparata all’editoria tradizionale), non possono avere più di 15 crediti nel triennio.
Attenzione, perché anche se è prevista una alternativa al sistema dei crediti – lezioni, il riconoscimento e l’attribuzione dei crediti (nel massimo di 15 crediti nel triennio) ottenuti in modo diverso dalle lezioni – corsi, non è automatica, in quanto deve essere effettuata su richiesta dell’interessato e il Consiglio dell’ordine si riserva di attribuire un punteggio (da 1 fino a 15 sempre nel triennio), tenuto conto della natura della attività svolta e dell'impegno dalla stessa richiesto.
A questo punto ci si chiede se un determinato soggetto decide (ed ha la fortuna) di poter conseguire il titolo di Dottore di ricerca, (della durata di tre anni), cosa accadrebbe ? Nella peggiore delle ipotesi tale titolo universitario non è riconosciuto ai fini della formazione professionale (!), nella migliore delle ipotesi portare ad un riconoscimento di crediti in misura non superiore a 15 crediti nel triennio (!).
In poche parole, occorre (e anche velocemente) trovare (o potenziare) le alternative al sistema delle lezioni – corsi, che siamo anche un modo di tutela del singolo professionista da operatori economici privi di scrupoli, ma, soprattutto, occorre, passare da un sistema di formazione professionale in cui al centro del sistema c’è il “singolo professionista” altrimenti è notevole il pericolo che tale formazione possa essere vista come una mera occasione di guadagno da parte di operatori economici privi di scrupoli.