"Così non si può andare avanti, siamo sull'orlo della bancarotta, con le manovre e con le manovrine non si cambia nulla, bisogna invece cambiare dal profondo tutta l'organizzazione dello Stato". A pronunciare una frase del genere era Silvio Berlusconi, nella fase conclusiva della "prima campagna elettorale della sua vita", nel marzo del 1994. E ascoltarla ora, su suggerimento dei sempre puntualissimi bloggers di nomfup, fa un certo effetto e stimola alcune semplici riflessioni. Innanzitutto, come ormai chiaro anche agli analisti vicini al centrodestra, il bilancio, diciassette anni dopo, è quantomeno deludente e, senza addentrarci troppo nella polemica delle cifre, a tanto basterebbe una sola considerazione: la tanto sbandierata "rivoluzione liberale" è ancora uno slogan, nonostante quasi 10 anni di Governo (e francamente la smettano una volta per tutte di individuare nell'ostruzionismo di Fini e Casini l'unica e sola ragione di un fallimento). E se già sentire la solita litania di promesse e programmi di cambiamento "epocali" risulterebbe stucchevole, le circostanze attuali impongono ben altro approccio e ben altra serietà.
Lo scrive bene anche De Bortoli sul corriere:
Sarà anche ingiusto, ma oggi siamo percepiti come il lato debole dell'Europa. Perché non siamo più credibili. Abbiamo annunciato per mesi provvedimenti poi smentiti o non attuati. […] L'Italia non è la Grecia. È la settima economia al mondo, la seconda industria manifatturiera d'Europa. Ha più patrimonio che debiti. È ricca il doppio della Spagna. È perfettamente solvibile. Fine. Non merita ironie e sarcasmi. Ma il rispetto deve conquistarselo. E poi pretenderlo. Le misure che l'Europa ci chiede sono sempre state necessarie. Ora lo sono anche per gli altri, per la salvezza dell'euro. Le avessimo adottate per tempo, non correremmo il rischio di confezionarle in fretta e male. Da commissariati.
Insomma, con la nave che ha completamente smarrito la rotta e procede a vista da qualche tempo, probabilmente marinai e passeggeri non riescono a fidarsi ancora delle promesse del capitano. Un capitano che peraltro non ha palesemente neanche il controllo "tecnico" del mezzo, commissariato dall'Unione Europea e costretto a barcamenarsi fra una maggioranza instabile, guai giudiziari, pressioni politiche e "umane debolezze". Una guida ormai pubblicamente screditata all'estero, delegittimata in Parlamento e, come mostrato dai sondaggi (di diversi orientamenti tra l'altro), finanche in picchiata per quanto riguarda il consenso popolare. E in un simile contesto, trovare ancora un buon motivo per non rassegnare le dimissioni è un'operazione al limite dell'impossibile.
Intendiamoci, non è nostra intenzione "sostituirci alla volontà degli elettori", nè tantomeno fornire risposte efficaci o dispensare verità assolute e sinceramente ci sembra azzardato parlare di "conclusione di un ciclo" e fine dell'esperienza politica di un leader come Silvio Berlusconi (quello è lo spazio della libera scelta dei cittadini, che è e resta il metro principale di valutazione). Però in questo modo, è fin troppo banale dirlo, non si va da nessuna parte. La strada dei compromessi, delle mezze misure, delle "manovre e manovrine" conduce ad un vicolo cieco. E il Paese non può reggere oltre. Prima l'Italia.