Fiat Chrysler Automobiles (Fca) sotto i riflettori a Milano, dove a metà pomeriggio vola a 8,6 euro per azione, in crescita del 12,85% rispetto alla chiusura di ieri. A tener banco non sono tanto i risultati trimestrali. meno positivi del previsto, in particolare con un Ebit (utile operativo) risultato pari a 926 milioni di euro (contro attese di consenso che parlavano di 937 milioni) e che in un primo momento avevano fatto perdere al titolo circa 3 punti percentuali, nonostante la conferma dei target per l’intero 2014. A far balzare dalla sedia intermediari e analisti è stato l’annuncio dato dal Cda del gruppo italoamericano di voler scorporare Ferrari Spa, nel corso del prossimo anno, “attraverso l’offerta pubblica di una parte della partecipazione di Fca in Ferrari pari al 10% del capitale di Ferrari e la distribuzione della rimanente partecipazione di Fca in Ferrari agli azionisti di Fca”. Il Cda del gruppo “si attende che le azioni di Ferrari siano quotate negli Stati Uniti e in un altro mercato europeo” (verosimilmente Milano).
Un’operazione che gli analisti pensano possa creare un beneficio attorno a 1-1,5 euro per azione per gli azionisti Fca e che era nell’aria da qualche tempo, ma che Sergio Marchionne sinora aveva rinviato dichiarando ancora all’Investor Day dello scorso maggio che “Ferrari non è in vendita”. Perché allora procedere adesso allo scorporo? Probabilmente perché al top management di Fca e ai suoi azionisti storici (gli eredi Agnelli) serviva una ciliegina con cui addolcire una portata indigesta: l’emissione, entro fine anno e dunque prima dello sbarco in borsa del cavallino rampante, di un bond convertendo (ossia convertibile obbligatoriamente alla scadenza in titoli Fca) da 2,5 miliardi di dollari (a fronte di una capitalizzazione che a ieri era pari a 10,3 miliardi circa e che a metà pomeriggio è già salita a 11,6 miliardi) da collocare presso investitori istituzionali statunitensi e internazionali, una notizia che non fa piacere a chi possiede azioni Fca dato che porterà all’emissione di nuovi titoli con un effetto diluitivo sui futuri utili del gruppo.
Facendo due calcoli, i 100 milioni di azioni Ferrari Spa (pari al 10% del capitale) che verranno vendute da Fca potrebbero valere ai prezzi correnti tra i 630 e i 840 milioni se ha ragione Marchionne, secondo cui per un marchio di lusso come il cavallino rampante occorre usare multipli tra le 9 e le 12 volte l’Ebitda, che per la Ferrari è “ben oltre il miliardo di euro” nel caso producesse 10 mila vetture l’anno, ossia il massimo che gli impianti attuali consentirebbero rimuovendo il limite dei 7 mila esemplari annui finora mantenuto per aumentare “l’esclusività” del marchio stesso. Più prudenti gli analisti, che fino all'anno scorso stimavano un valore tra 3,3 e 5,4 miliardi ed oggi parlano di 6-7 miliardi , il che significherebbe ottenere attorno ai 540-700 milioni di euro dalla vendita dei titoli. In entrambi i casi sommando l’incasso del collocamento azionario con i 2,5 miliardi di dollari del bond convertendo (ai cambi attuali pari a poco meno di 2 miliardi di euro, di cui 600 milioni proverranno da Exor, la holding del gruppo Agnelli, che così manterrà la sua quota del 30% nel capitale di Fca) si arriva comunque oltre i 3 miliardi di dollari.
Quanto basta perché il Cda si attenda, come annuncia una nota, “di rimborsare anticipatamente i prestiti obbligazionari di Chrysler in circolazione non più tardi della prima data di rimborso opzionale di giugno 2015 per le Senior Secured Notes con scadenza 2019 e cedola 8% e di giugno 2016 per quelle con scadenza 2021 e cedola 8- 1/4%”. In questo modo Marchionne potrà mettere le mani sulla liquidità di Chrysler e girarla alle altre società del gruppo. Perché il gioco riesca alla perfezione, tuttavia, occorre convincere il mercato che il titolo Fca vale tanto: più salirà, infatti, maggiore sarà il prezzo a cui il bond potrà essere emesso (o minore il tasso da corrispondere agli obbligazionisti) per poi essere convertito in titoli azionari di nuova emissione. C’è quindi da aspettarsi che banche d’affari e investitori istituzionali vicini al gruppo si muovano all’unisono per sostenere le quotazioni, senza dare troppa importanza all’andamento dei risultati industriali sottostanti.
Risultati che comunque hanno visto i ricavi consolidati salire nel terzo trimestre dell’anno a 23,6 miliardi di euro (+14% sullo stesso periodo del 2013), segno che fuori dall’Europa (dove le perdite si sono comunque dimezzate scendendo a 63 milioni nel trimestre) la “cura Marchionne” funziona, tanto che come detto il Cda ha potuto confermare gli obiettivi 2014: 4,7 milioni di veicoli venduti, 93 miliardi di ricavi, un Ebit fra 3,6 e 4 miliardi, un utile netto di 600-800 milioni, un indebitamento netto industriale tra 9,8 e 10,3 miliardi di euro, liquidità disponibile stabile sui 21,7 miliardi. Portata a termine la fusione con Chrysler, debuttato a Wall Street, rimosso “l’ostacolo” Montezemolo (cui, precisano i comunicati del gruppo, sono andati 15 milioni di euro di buonuscita), scorporato il “gioiellino” di famiglia: il manager dal pullover blu non ha finora sbagliato una mossa (finanziaria) e sembra poter tirare dritto per la sua strada.
Chissà se alla fine questo percorso non lo porterà, dopo il 2018, a recitare un ruolo diverso da quello attuale, magari da azionista “rilevante” di un gruppo sempre meno italo e sempre più internazionale? La rotta sembra segnata, il destino degli stabilimenti del gruppo in un’Italia in cui “il posto fisso è finito” forse anche, specie se si arriverà ad una futura integrazione con qualche altro produttore da qui ai prossimi 3-5 anni.