Fiat Chrysler Automobiles torna sotto i riflettori in borsa, chiudendo una giornata di recuperi diffusi con un guadagno del 5,85% e risultando così il miglior titolo di tutto il settore automobilistico europeo. Anche così questo primo trimestre non ha certo regalato agli azionisti piccoli e grandi particolari soddisfazioni, visto che il titolo ha perso poco meno del 15% da inizio anno. A scuotere il titolo è il ritorno di una voce circolata più volte in questi anni, l’ultima volta nell’estate del 2014 quando anche il Financial Times ne parlò: una rinnovata e più ampia partnership con la francese Psa-Peugeot Citroen (da anni partner nel settore dei veicoli commerciali), che non escluderebbe l’ipotesi di un matrimonio tra i due gruppi.
Per la verità se fino a un paio d’anni fa a far cadere la proposta sul tavolo era stato sempre il gruppo italiano, stavolta sembra che l’ipotesi non dispiaccia soprattutto ai francesi, a giudicare da alcune dichiarazioni del numero uno Carlos Tavares secondo cui il gruppo è “pragmaticamente aperto su questi argomenti”, pur se al momento non vi sarebbe alcuna trattativa in corso con Fca (né con altri). I due gruppi per la verità sono sembrati a lungo molto simili, apparendo entrambi troppo piccoli per poter resistere all’infinito senza aggregarsi con almeno un altro produttore. Peugeot sembrava poter offrire nuovi modelli, Fca una più radicata presenza in Nord America.
Di nuovo rispetto a quanto già visto vi sono alcune considerazioni avanzate da Tavares, che la prossima settimana presenterà il piano strategico 2016-2021 del gruppo transalpino e che ha sottolineato come progetti di questo tipo “debbano generare le massime sinergie” e avere “senso per entrambi gli azionisti”, il che tradotto suona più o meno che una fusione potrebbe aver senso se attraverso essa sarà possibile concentrare (e aumentare) la produzione e se le eventuali chiusure di stabilimenti verranno suddivise tra i due gruppi. Una precondizione che potrebbe convincere anche lo stato francese, tuttora azionista del gruppo guidato da Tavares col 14%, a ridurre o cedere del tutto la propria quota.
Del resto, come ha ricordato lo stesso Tavares, Psa-Peugeot Citroen avendo chiuso l’anno passato con ricavi pari a 56,3 miliardi di euro (+5,3%), un utile operativo di 2,7 miliardi (triplicato rispetto al 2014), un risultato netto di 1,2 miliardi (contro un 2014 in rosso 703 milioni e 2,32 miliardi persi nel 2013) e un margine reddituale della divisione auto che, in anticipo di tre anni, ha toccato quota 5% (il piano prevedeva per il 2015 di salire al 2%). Ritrovata la profittabilità, i francesi sono ora “nelle giuste condizioni per ipotesi di cooperazioni”, ossia sentono di non rischiare di fare la fine di Chrysler, di fatto regalata alla Fiat da Barack Obama in cambio dell’impegno a investire know how e capitali nel terzo produttore americano, giunto sulla soglia del fallimento con la crisi del 2008-2009.
Qualche problema rimarrebbe comunque: dato che Psa-Peugeot Citroen capitalizza oltre 12,4 miliardi di euro e Fca poco meno di 7,3 miliardi, l’eventuale matrimonio sarebbe di fatto una vendita del produttore italo-statunitense al gruppo francese, cosa che appare improbabile non tanto per questioni meramente “patriottico-ideologiche” (anzi), quanto perché Fca ha venduto nel 2015 4,8 milioni di auto contro soli 2,97 milioni di Psa-Peugeot Citroen ed ora che anche il gruppo italiano è tornato a presentare qualche modello nuovo il gap potrebbe se non ampliarsi quanto meno mantenersi pressoché stabile, cosa che difficilmente giustificherebbe il dar vita a un gruppo per oltre il 60% in mano a capitali francesi.
L’alternativa potrebbe essere un preventivo aumento di capitale di Fiat Chrysler Automobiles, ma visto che è stato appena emesso un bond da 1,25 miliardi di euro, scadenza marzo 2024, sul quale il gruppo pagherà una cedola fissa del 3,75% lordo annuo, l’ipotesi è quanto meno improbabile. In ogni caso sia Sergio Marchionne sia Carlos Tavares sanno bene che a medio termine per rimanere indipendenti dovranno riuscire a produrre, con un decente margine di profitto, almeno 6 milioni di vetture l’anno.
Trovando un accordo soddisfacente per entrambi i partner i due gruppi potrebbero arrivare al traguardo degli 8 milioni di vetture prodotte e vendute all’anno, a poca distanza dagli 8,5 milioni segnati lo scorso anno da Renault-Nissan e un paio di milioni sotto Volkswagen, Toyota e General Motors, il trio di testa dei produttori mondiali che oscilla attorno ai 10 milioni di vetture prodotte e vendute ogni anno. A quel punto i manager potrebbero lasciare entrambi il timone del nuovo gruppo a un successore, gli azionisti attuali diluire le loro quote e vivere felici e contenti. Sarà così?