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Federalismo fiscale: ecco i punti principali della “legge delega”

Una analisi nel dettaglio del provvedimento che rappresenta uno snodo cruciale per il Governo Berlusconi: novità, problematiche e divergenze interpretative.
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“Occorre attuare il federalismo fiscale”. E' questa, da tempo ormai,  l'espressione più inflazionata in uso tra i  politici italiani. Si accompagna a “ l'urgenza di fare le riforme” e la sua approvazione  rappresenta la condicio sine qua non l'esperienza del quarto Governo Berlusconi, stando alle dichiarazioni della Lega, può considerarsi conclusa. Nell'anno delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità Nazionale, è più di moda il motto di Bossi “ o si fa il federalismo o si vota” che il “ qui si fa l'Italia o si muore” pronunciato da Garibaldi a Bixio durante la battaglia di Calatafiimi. Ma di cosa stiamo effettivamente parlando? Cos'è, in concreto, il federalismo fiscale?

Tranquilli, non vogliamo rievocare le idee ed i principi che hanno ispirato i padri italiani della dottrina federalista, Carlo Cattaneo e Vincenzo Gioberti ci perdoneranno, dunque, se il loro ricordo si ferma a questo punto. Purtroppo, l'attualità incombe ed è già tanto se il percorso che ci porterà a capire meglio il tema di cui stiamo discorrendo prende inizio il 5 maggio del 2009. E' questo il giorno, infatti, in cui viene approvata in via definitiva dal Parlamento la Legge Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art.119 della Costituzione Italia. Trattandosi di una legge Delega, la funzione legislativa viene quindi esercitata dal  Consiglio dei Ministri, e non dal Parlamento. Il Governo è dunque “ delegato (art.2) ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (6/5/2009), uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'art.119 della Costituzione, al fine di assicurare […] l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni”. L'esecutivo dovrà esercitare la sua funzione legislativa informandosi a dei principi e criteri direttivi generali, quali: autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa; lealtà istituzionale tra i vari livelli di amministrazione; razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione fiscale; determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica, definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio di alcune delle funzioni attribuitegli dall'art.117 della Costituzione ( prestazioni concernenti diritti civili e sociali; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali).

Ad oggi, gli unici due decreti legislativi emanati sono quelli riguardanti il federalismo demaniale e l'ordinamento transitorio di Roma Capitale. Il primo, del 28 maggio 2010, con le disposizioni in esso contenute e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio, individua i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni. L'ente destinatario dispone del bene nell’interesse della collettività ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito. Il bene trasferito può anche essere alienato, previa valorizzazione attraverso le procedure per l'adozione delle varianti allo strumento urbanistico, e a seguito di attestazioni di congruità rilasciata dall'Agenzia del demanio o del territorio, secondo le rispettive competenze. Il secondo decreto legislativo, del 17 settembre 2010,  va a definire le caratteristiche e le peculiarità dei nuovi organi di governo di Roma Capitale. Un nuovo decreto illustrerà poi i poteri di cui l'inquilino del Campidoglio, la sua giunta e la nuova assemblea capitolina, potranno disporre.

Questo è quanto di federalista è stato prodotto sin qui dall'esecutivo diretto da Silvio Berlusconi. Alla Lega, chiaramente, questo non può bastare, come dimostrato dalle ultime dichiarazioni in merito. Nella prospettiva, sempre attuale di un voto anticipato, il partito del carroccio ha la necessità di portare a casa qualcosa di più corposo. Nelle intenzioni, e soprattutto nelle speranze, di Bossi and company, quella appena cominciata doveva essere la settimana decisiva. Mercoledi 26 gennaio era infatti previsto il voto del parere sul decreto attuativo del federalismo municipale. Tuttavia, il testo predisposto dal Ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, già licenziato dalle Commissioni bilancio della Camera e del Senato, si è infatti presto arenato per le perplessità avanzate dall'Anci (associazione nazionale comuni italiani) e dal suo presidente, il sindaco Pd di Torino, Sergio Chiamparino

e per le contrarietà alla sua approvazione espresse dalle opposizioni. Ed in questo momento, il Governo non è certo nelle condizioni di dettare ordini, né può dimostrarsi sufficiente la minaccia del ricorso alle urne. Se la Lega vuole approvare in tempi celeri quest'altro decreto attuativo deve sedersi al tavolo e trattare con le opposizioni. Se il numero di parlamentari ex Pdl che hanno seguito le scelte politiche di Gianfranco Fini non è servito, il 14 dicembre scorso a far passare la mozione di sfiducia a Berlusconi, si sta rivelando invece utile a garantire la maggioranza alle opposizioni in alcune Commissioni decisive per la sopravvivenza della legislatura. E' il caso, appunto, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Quest'organismo, composto da 15 deputati ed altrettanti senatori, istituito dalla citata legge n.42 del 5 maggio 2009, è infatti chiamato ad esprimere i pareri sugli schemi dei decreti legislativi del federalismo. Tradotto in parole povere: il federalismo passa (o non passa) per il voto di questa commissione. Sommando il numero dei parlamentari oggi iscritti ai gruppi di opposizione, vien fuori che Lega e Pdl sono minoranza. Occorre il consenso delle opposizioni, altrimenti non se ne fa nulla. E la dimostrazione concreta di quanto detto si è avuta nei giorni scorsi quando i dubbi sollevati dall'Anci e l'annunciato voto contrario del terzo polo, del Pd e dell'Idv  ha determinato lo slittamento di una settimana del voto sul decreto.

La trattativa va avanti in queste ore ed è condotta esclusivamente dalla Lega, con il clamoroso silenzio – assenso del Cavaliere e delle altre forze di Governo. Calderoli discute con l'Anci: un si dei sindaci, che chiedono modifiche sostanziali a quanto contenuto nel testo, potrebbe ammorbidire le posizioni rigide delle opposizioni che, però, continuano a ribadire che occorre più tempo. Vogliono una deroga di sei mesi, altro che sei giorni. Ma cosa prevede(va) il testo? La compartecipazione dei Comuni all'Irpef del 2%; la possibilità per i capoluoghi di provincia di istituire una tassa di soggiorno per i turisti; un fondo di 400 milioni di euro da destinare alle famiglie con figli che vivono in affitto; il 50% delle somme ricavate dalla lotta all'evasione fiscale va destinato ai Comuni; un unica imposta sulle compravendite, con aliquota al 9% per i beni immobili e al 2% sulle prime case con l'esclusione di quelle di lusso; introduzione la cedolare sugli affitti con un prelievo secco del 23% ( oggi si paga l'Irpef sull'85% del costo dell'affitto più l'imposta annuale);
introduzione dal 2014 dell'Imu, l'imposta municipale propria che non riguarderà le prime case ed ingloberà anche l'Irpef.

Per l'Anci, questo complesso di proposte presenta troppi elementi di criticità. In particolare, si legge nel documento redatto dall'assemblea dei sindaci, occorre:

“sbloccare da subito il potere di modificare o introdurre l’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF; prevedere che l’incremento di gettito dei tributi devoluti resti nei comuni ove esso è prodotto; prevedere l’immediata possibilità di applicare il contributo di soggiorno per tutti i comuni e riportarlo ai valori già individuati nella legislazione vigente; stabilire modalità che consentano di decidere congiuntamente – Governo, Parlamento e Comuni – le aliquote di compartecipazione ai tributi immobiliari, all’IRPEF, alla cedolare secca nonché di avere certezza e stabilità per l’aliquota dell’IMUP da fissare nel decreto; definire un quadro dettagliato del fondo perequativo con particolare riferimento alle modalità di finanziamento dello stesso; consentire una effettiva analisi della base imponibile e del gettito dell’IMUP come modificata nella nuova versione e la conseguente aliquota di equilibrio; consentire una rapida definizione della disciplina della TARSU-TIA – salvaguardando il ruolo e le funzioni dei comuni in tema di gestione dei rifiuti – e dell’imposta di scopo eliminando il rinvio a nuovi decreti integrativi; prevedere forme di sostegno alle unioni e alle fusioni di comuni ex art.12 lett. F) della legge n.42/09”.

Da questo documento è ripartita la discussione. Nella giornata di lunedi (24 c.m), il Ministro Calderoli si è incontrato con il vicepresidente vicario dell'Anci, Osvaldo Napoli, parlamentare del Pdl. L' Anci, e il suo presidente Chiamparino, attendono ora il nuovo testo che sarà presentato nei prossimi giorni. Il tempo però stringe e comunque resta difficile immaginare che le opposizioni possano dare  il loro consenso ad un provvedimento che potranno discutere e valutare soltanto pochi giorni. E comunque, la minaccia del voto anticipato fa sempre meno paura.

A cura di Antonio Corbo

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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