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Facebook-WhatsApp: 19 miliardi è il prezzo giusto?

Facebook paga 19 miliardi per WhatsApp, un’azienda che fattura poche centinaia di milioni di dollari. Ma Zuckerberg sa bene cosa sta facendo: vuole far crescere l’engagement dei propri utenti e la raccolta pubblicitaria in modalità mobile.
A cura di Luca Spoldi
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Era già sera inoltrata in Italia quando, ieri, Facebook ha annunciato di aver raggiunto un accordo per l’acquisto del servizio di messaggistica WhatsApp per la cifra “mostruosa” di 19 miliardi di dollari, di cui però solo 4 in contanti (mentre a fine 2013 Facebook disponeva di liquidità per 11,5 miliardi), cui si aggiungono 183,9 milioni di azioni di Facebook stesso (ieri il titolo ha chiuso a Wall Street a 68,06 dollari per azione, dunque il controvalore è di oltre 12,51 miliardi di dollari) e 46 milioni di azioni “restricted” (per un controvalore di circa altri 3 miliardi). Immediate sono scattate nella testa del sottoscritto, e non solo, due domande: il prezzo è giusto e che senso ha questa acquisizione? Proviamo a capirlo, posto che un giudizio positivo o negativo per simili operazioni è possibile sempre e solo a distanza di anni, quando si capisce dai risultati se l’integrazione ha funzionato o meno.

Anzitutto l’operazione è tutto meno che una sorpresa, visto che voci al riguardo sono iniziate a circolare dall’aprile del 2013. Del resto Mark Zuckerberg, fondatore e attuale Ceo (amministratore delegato) di Facebook, avrebbe approcciato già agli inizi del 2012 Jan Koum, cofondatore (con Bian Acton, per anni già suo collega in Yahoo!) e Ceo di WhatsApp che entrerà a far parte del Cda del social network, stringendo un’amicizia che si è nutrita di incontri informali, pranzi, scambi di idee e nelle ultime settimane di discussioni in merito a un possibile accordo tra le rispettive aziende. La mossa di Facebook non sembra dunque giustificata solo dall’abbondanza di “denaro facile” sui mercati finanziari mondiali né dalla volontà di stupire la borsa e far salire ulteriormente quotazioni che dai 38 dollari del debutto del maggio 2012 era crollato sino ai 18 dollari nell’agosto di quello stesso anno (per chi non ha acquistato allora un’occasione d’oro che non si ripresenterà forse mai più nella vita), prima di risalire sopra il prezzo di collocamento nei mesi seguenti, chiude il 2013 a 55,10 dollari e portarsi ai 68 dollari per azione attuale.

E' semmai vero il contrario: proprio il successo ottenuto da Facebook in borsa (il rialzo del 139% nell’ultimo anno ha fatto lievitare la capitalizzazione di borsa a poco meno di 173 miliardi di dollari) ha consentito a Zuckerberg di acquistare relativamente “a poco prezzo” WhatsApp: in fondo il controvalore complessivo rappresenta meno dell’11% della capitalizzazione di Facebook e di denaro contante se ne muoverà ancora meno (l’equivalente del 2,3% della capitalizzazione del social network). Certo, non sfugge a nessuno il fatto che se si guarda a indicatori come gli utili o il fatturato attuale di Facebook l’operazione sembra (e probabilmente è) assai costosa: nel 2013 Facebook ha registrato un fatturato di 7,872 miliardi di dollari e utili tra gli 1,5 (calcolati secondo i principi contabili americani Gaap) e i 2,2 miliardi (se calcolati in base a criteri non-Gaap).

Ancora più costosa l'operazione appare se si guarda a WhatsApp, che essendo una società privata non pubblica i suoi bilanci ma che nel 2012 dovrebbe aver registrato un fatturato attorno ai 100 milioni di dollari e pur avendo visto raddoppiare lo scorso anno i volumi di messaggi, foto e video trasmessi non dovrebbe aver superato i 200 milioni di dollari di giro d’affari. Anche per questo le ipotesi circolate lo scorso anno erano di un’operazione di valore nettamente inferiore, attorno o poco sopra il miliardo di dollari di controvalore complessivo. Certo, la megafusione tra Time Warner e Aol da 124 miliardi di dollari del 2001, in piena “bolla new economy”, resta distante ed è un bene sia così visto come poi sono andate a finire le cose in quel caso (con Aol ri-scorporata e trasformata in public company nel 2009), anche così l’acquisizione appena annunciata supera per valore quello dell’Ipo della stessa Facebook (che sbarcando a Wall Street raccolse 18,4 miliardi di dollari, risultando la seconda maggiore Ipo della storia dopo quella di Visa da 19,65 miliardi) e fa felice anzitutto Sequoia Capital, che nel 2011 pagò 8 milioni di dollari il 15% di WhatsApp che ora vale circa 3,5 milairdi.

Per provare a valutare se siano soldi ben spesi occorre dunque chiedersi il senso dell’operazione: secondo gli analisti di Credit Suisse si tratterebbe non di una mossa difensiva, legata alla crescente concorrenza di altre piattaforme come Kakaotalk, Line e Wechat, ma di una operazione “aggressiva” che mira a far crescere di un 30% l’engagement degli utenti e la porzione di tempo libero degli stessi in qualche modo “legata” a Facebook che dovrebbe mantenere il servizio di WhastApp gratuito trovando il modo di monetizzare il tutto attraverso la inevitabile crescita della raccolta pubblicitaria mobile. Una voce, quest’ultima, destinata a crescere sempre più d’importanza visto che degli 1,23 miliardi circa di utenti attivi su base mensile (Mau) a fine 2013 già 945 milioni si collegavano a Facebook anche in modalità mobile (e 296 milioni esclusivamente attraverso tale modalità).

E visto che WhatsApp a quattro anni dal lancio aveva raggiunto già 419 milioni di Mau (contro i 145 milioni raggiunti nello stesso periodo da Facebook, i 123 milioni di Google con Gmail, i 54 milioni di Twitter e i 52 milioni di Skype), chiudendo poi il 2013 oltre quota 450 milioni (di cui il 70% circa attivo su base quotidiana), si può stare certi che Zuckerberg punterà a sfruttare il successo di WhatsApp per far crescere ulteriormente fatturato, margini e utili di Facebook. Così anche se può sembrare assurdo pagare un’azienda che fattura una frazione del tuo giro d’affari più del doppio del proprio fatturato, l’integrazione di WhatsApp in Facebook promette di fare faville molto più di altri matrimoni “high-tech” celebrati a Wall Street in passato. Mettendo ulteriormente sotto pressione colossi come Yahoo! e Google, che a questo punto potrebbero a loro volta cercare il colpaccio: se avete qualche buona app in mente, forse sarebbe ora che iniziaste a cercare finanziatori.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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