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Eurozona: non serve denaro facile, serve più redditività

Il problema di Eurolandia non è nell’assenza di liquidità, quanto nella redditività strutturalmente più modesta delle sue imprese. Lo ricordano gli analisti di Societe Generale, scettici sugli effetti che potrà avere un “quantitative easing” targato Bce…
A cura di Luca Spoldi
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Ancora una giornata positiva per la borsa di Milano e in generale per le piazze europee, in attesa dell’annuncio, giovedì prossimo, di nuove misure straordinarie da parte della Bce. Se Mario Draghi pare deciso a lanciare un quantitative easing (QE) che consenta di porre fine alla minaccia rappresentata da una deflazione sempre più evidente e rilanciare una crescita che le ultime stime del Fmi vedono ancora una volta più debole di quanto non apparisse sino a tre mesi or sono, nonostante l’apporto positivo dato dal basso prezzo del petrolio (che fa costare meno l’energia e i trasporti e incrementa all’incirca di un decimo di punto il Pil dei paesi consumatori, come l’Italia ma anche la Cina, per ogni 10 dollari di calo dei prezzi al barile), quello che ancora non si capisce è se la Germania, che formalmente ha ormai accettato l’idea di irrogare ulteriore liquidità ai mercati, sia disposta o meno a condividere il rischio legato all’acquisto di titoli di stato e bond sul mercato.

Così mentre si susseguono ipotesi relative alla consistenza del programma stesso (c’è chi dice da 500 miliardi, chi indica 700 miliardi come limite agli acquisti, chi non esclude successive estensioni, come già fatto dalla Federal Reserve in questi anni, che ne portino il volume complessivo a 1.000 miliardi) e appunto alla sua gestione (dovrebbe essere la Bce a incaricarsi degli acquisti, ma non si esclude un compromesso che indichi le singole banche nazionali come acquirenti/garanti ciascuna dei propri titoli di stato) accanto alle speranze crescono anche i dubbi e le perplessità. E’ di oggi una nota con cui gli analisti quantitativi di Societe Generale suggeriscono esplicitamente agli investitori di “dimenticarsi del QE” perché “è una profittabilità strutturalmente bassa il problema nell’Eurozona”, non tanto la liquidità.

Il punto di partenza dell’analisi di Societe Generale è il luglio 2012, quando Mario Draghi ribadì di essere pronto a fare “qualsiasi cosa sia necessaria” (“whatever it takes”) per salvare l’euro. Da quel momento, 30 mesi or sono, i titoli quotati sui listini azionari dell’Eurozona hanno iniziato ad accumulare un significativo rialzo, quotando a livello aggregato a premio in termine di p/e (rapporto prezzo corrente/utili attesi, ossia di quante volte il prezzo di un’azione è superiore all’utile per azione che ci si attende per l’anno in corso) sia rispetto alle azioni degli altri listini europei sia del resto del mondo. Anche neutralizzando l’effetto cambi la performance delle borse dell’area dell’euro è stata impressionante in questo periodo di tempo, sovraperformando significativamente gli altri listini europei e muovendosi in linea con Wall Street e così recuperando la forte caduta delle quotazioni che si era registrata nell’estate del 2011, in piena crisi del debito dell’Eurozona, crisi che aveva messo in dubbio la sussistenza stessa dell’euro.

Il problema, notano gli esperti del gruppo francese, è che gli utili delle aziende quotate sui listini di Eurolandia non hanno tenuto il passo, anzi gli utili per azione e i dividendi per azione sono rimasti sostanzialmente fermi sui livelli del 2012 anche nei due anni successivi. Anzi: per essere precisi gli utili e i dividendi delle società componenti l’indice MSCI sono calati rispettivamente del 7% e del 5%, mentre l’indice stesso è salito del 50%, così se nel luglio del 2012 i prezzi sui listini europei “scontavano” mediamente 11,5 volte gli utili per azione previsti, ora gli stessi “incorporano” mediamente 18,7 volte gli utili per azione. E’ vero che una volta sterilizzato l’effetto ciclico i multipli europei appaiono in media pari a 15 volte gli utili decennali, mentre negli Stati Uniti gli analoghi multipli oscillano ad oltre 26 volte. Quali settori causano questa discrepanza? Capirlo è importante perché solo se questi settori torneranno a correre sarà possibile veder migliorate ulteriormente le quotazioni e i multipli di mercato in Eurolandia.

Al riguardo gli esperti sono scettici, perché scorrendo i settori in questione (energia, materie prime, telecomunicazioni, servizi di pubblica utilità e finanza) si nota come non siano settori ciclici (salvo le materie prime) e pertanto più che della liquidità fornita dalla Bce attraverso un quantitative easing avrebbero bisogno di recuperare il gap di produttività e innovazione accumulato in questi anni rispetto al resto del mondo. Se poi l’analisi la si effettua avendo come obiettivo individuare la “taglia” aziendale più o meno ideale in termini di multipli di borsa, si scopre che sono le Pmi europee ad essere meno apprezzate dagli investitori. Ma anche in questo caso le Pmi non sembrano poter ricevere un immediato beneficio da una misura come quella che il mercato si attende possa essere annunciata giovedì da Mario Draghi, che semmai farà bene agli emittenti statali del Sud Europa (Italia e Spagna in primis) e consentirà alle banche di alleggerire un poco le proprie casse di titoli di stato, senza per questo tornare ad aumentare il credito alle imprese (almeno finché ci sarà una crisi delle domanda interna e un problema di crediti problematici in crescita).

Alla fine il vero fattore distintivo tra le borse dell’Eurozona e del resto del mondo riguarda, concludono gli analisti di Societe Generale, gli indici di redditività: il Roe “equal-weighted” delle borse dell’area dell’euro è inferiore del 4% circa a quello medio di Wall Street e del resto d’Europa (ossia in particolare di Londra). “E’ qui che le autorità e gli investitori dovrebbero concentrare la loro attenzione, non nello stampare denaro ancora più a buon mercato”, sottolineano gli esperti. Dunque non di denaro facile, ma di maggiore redditività hanno fame le aziende di Eurolandia: per riuscire a migliorarla saranno necessarie, ma non è una sorpresa, una serie di riforme strutturali che vanno da una burocrazia meno avversa alle imprese a una giustizia più certa e dai tempi meno lunghi. Peccato che in questa direzione le novità concrete, specialmente ma non solo in Italia, siano continuamente inferiori agli annunci di volta in volta lanciati dai premier di turno. Così non sorprendetevi se il giorno dopo l’eventuale annuncio di un poderoso “quantitative easing” da parte della Bce non solo non cambierà di una virgola la vostra vita e le vostre prospettive economiche e lavorative, ma, forse, anche le borse preferiranno portare a casa un po’ di profitti anziché continuare a correre ancora.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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