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Opinioni

Europa: elezioni e crescita, che succederà?

E’ sempre più probabile che il rigore fiscale si attenui e lasci spazio a politiche neo-keynesiane a favore di nuovi progetti infrastrutturali. Per le aziende italiane la sfida sarà culturale oltre che legata al credito.
A cura di Luca Spoldi
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Greek Election

L’Europa e l’arte di prendere tempo. Francia che rispetta in pieno il pronostico e porta Hollande a vincere con un discreto margine (51,7% contro il 48,3%) su Sarkozy, Grecia che vede concretizzarsi lo scenario peggiore tra quelli ipotizzati, con Pasok e Nuova Democrazia crollati al minimo storico ed incapaci di raccogliere oltre un terzo del consenso degli elettori e, nonostante il premio di maggioranza andato a Nuova Democrazia, salire oltre i 149 seggi (su 300) in parlamento. Il giorno dopo la prima parte della tornata elettorale europea (che vede i partiti al governo in difficoltà anche in Gran Bretagna, in Germania e in Italia, dove il Pdl è ormai un soggetto “missing in action” e il Pd può vantare vittorie solo parziali mentre cresce come previsto l’affermazione del Movimento Cinque Stelle di Grillo) regala grandi incertezze ai mercati finanziari europei ma in fondo cambia relativamente poco dello scenario che si era andato delineando nelle ultime settimane. Al “rigore” è sempre più frequentemente affiancato, almeno a livello di dichiarazioni programmatiche, il concetto di “crescita”, quel che resta da capire è come la crescita verrà perseguita e come verranno suddivisi i costi relativi (tanto che i mercati finanziari chiudono in ordine sparso la seduta, con Milano, Madrid e Parigi in rialzo, Francoforte e Amsteredam incerte, Londra in rosso e Atene a pezzi). Di certo in Grecia chiunque voglia provare a governare il paese (probabilmente Samaras, leader del partito di centro-destra Nuova Democrazia) dovrà riuscire a catturare almeno in parte il voto andato a partiti schierati su posizioni contrarie all’Europa o almeno, come ha subito puntualizzato l’ex numero uno dei socialisti del Pasok ed ex premier greco George Papandreou, contro la ricetta tedesca imposta all’intera Ue fatta solo di austerity fiscale e riforme strutturali difficili da fare in tempi di crescita economica, quasi impossibile da fare “sotto le bombe”, ovunque e non solo ad Atene. Per riuscirvi il nuovo candidato premier greco (eventualmente anche dopo una nuova chiamata alle urne se dovesse risultare impossibile formare una coalizione di governo sulla base dei numeri attuali) chiederà verosimilmente un allungamento dei tempi “di rientro”, che porteranno Atene a tornare sul mercato (e a rispettare le clausole già sottoscritte in cambio dei due piani di aiuto finora concessi dalla “troika” Ue-Bce-Fmi) non prima del 2015. Ma siccome le regole o valgono per tutti o per nessuno è facile prevedere che alla richiesta greca si accoderanno Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia, ciascuna proponendo di prendere tempo per fare ciò che è opportuno fare (in Spagna occorre ripulire i bilanci bancari dal peso delle scommesse perse sul comparto immobiliare e pare si inizierà da Bankia, gruppo nato  dalla fusione di sette istituti bancari che possedeva un patrimonio immobiliare di 38 miliardi di euro  a fine 2011, in Italia andrebbero varate misure di liberalizzazione e ristrutturata e ridotta la spesa per poter ridurre il carico fiscale). La stessa Francia, che per ora non corre il rischio di vedersi ridotto nuovamente il rating come ha precisato Standard & Poor’s, potrebbe chiedere di prendere tempo e rinviare sia obiettivi come il pareggio di bilancio (che anche l’Italia farebbe bene a posporre stante la crisi in atto piuttosto che continuare a ipotizzare, come sembra fare il ministro del Tesoro Vittorio Grilli, ulteriori “giri di vite” fiscali, ad esempio col vituperato incremento dell’Iva dal 21% al 23%) sia proporre misure concrete per il rilancio della crescita.

Cosa fare per ripartire. Anche in questo caso peraltro non sono da mettere in conto sorprese significative rispetto a quanto già emerso. Hollande farà sapere il 4 aprile come intende impostare il suo primo anno di “regno”, ma già gli analisti (ad esempio quelli del Credit Suisse) pensano che proverà a chiedere il varo di Eurobond coi quali finanziare progetti industriali e d’investimento a livello continentale, la possibilità per la Banca europea degli investimenti di ampliare i propri finanziamenti per progetti infrastrutturali europei, alcune misure per massimizzare l’efficacia e l’efficienza di fondi strutturali Ue e forse dare vita ad una tassa europea sulle transazioni finanziarie (la “Tobin tax” che peraltro continua ad essere rifiutata in toto dalla Gran Bretagna e lascia molto perplessa la Germania) con cui finanziare ulteriori progetti di sviluppo. Più in generale sembra che l’approccio “neo-keynesiano” che sta guadagnano consensi in Europa passi per progetti comunitari di grandi dimensioni più che per una maggiore apertura di credito alle Pmi del vecchio continente. In questo caso è facile prevedere che la stretta creditizia e il deleveraging continueranno anche per consentire alle banche di chiudere le falle che sono tuttora presenti tra le pieghe dei bilanci sotto forma di esposizione a potenziali perdite su crediti. L’Europa che tornerebbe a crescere, nella migliore delle ipotesi, sarebbe dunque un’Europa dominata da grandi gruppi impegnati in grandi opere finanziate dagli stati attraverso strutture comunitarie (come la Bce o la Bei), il che imporrebbe un cambiamento culturale non di poco per il capitalismo familiare italiano, da tempo alle prese con un delicato passaggio generazionale che al crisi potrebbe accelerare.

Italia, tempo di rivoluzione culturale. Se guardiamo ai principali gruppi tricolori, infatti, oltre a un generalizzato sottodimensionamento rispetto ai maggiori competitor europei (salvo poche eccezioni) si nota sia un problema di adeguatezza dei modelli competitivi, sia una certa difficoltà nel passare da un modello in cui il controllo è saldamente in mano alla famiglia fondatrice ad uno in cui i ruoli di azionisti e manager siano maggiormente separati. Il che oggettivamente porta a qualche rischio visto che non è detto che i “rampolli” delle varie dinastie imprenditoriali italiane siano all’altezza delle aspettative. Ad un rapido elenco sembrano aver già preparato (o affrontato) il “passaggio del testimone” sia gruppi familiari di primo piano come gli Agnelli, i Ferrero, i Barilla, i Benetton, i De Benedetti, ma anche gruppi relativamente di “minori dimensioni” come i Rana, i Riello, gli Aliotti o i Marcegaglia. Tutti gruppi che, come pure i Pesenti, i Merloni, i Gavio, i Malacalza, i Bastianello, i Colaninno o i Carraro, accanto a manager più o meno “fondamentali” (come Sergio Marchionne per il gruppo Fiat-Chrysler) vedono la presenza della nuova generazione degli “eredi dinastici”. In qualche altro caso tuttavia le famiglie sembrano dover per forza afre un passo indietro: è il caso dei Caprotti, proprietari dei supermercati Esselunga,  dove continua la maretat tra il fondatore Bernardo e i figli Giuseppe, Violetta e Marina per la proprietà del 91,57% di Supermarkets Italiani (la holding capogruppo) che secondo molti potrebbe essere ceduta a Wal-Mart o Auchan, oppure dei Del Vecchio (Luxottica) o dei Bombassei (Brembo), dove non si vedono eredi all’orizzonte. In tutti i casi il capitalismo familiare italiano sembra alla vigilia di grandi rivolgimenti, pena il rischio di perdere definitivamente il treno per la crescita, nonostante le novità che potrebbero giungere da Berlino e da Bruxelles, di cui rischierebbero di approfittare principalmente i grandi gruppi tedeschi e francesi in caso di un'empasse delle aziende italiane.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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