XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese: più importante delle elezioni USA?
Per rispondere alla provocazione posta dal titolo, non basta limitarsi a sottolineare quanto l'economia cinese sia attualmente florida mentre quella statunitense in piena recessione, né basterebbe evidenziare come l'economia europea sia intimamente legata ai destini di quella cinese: il congresso del Partito Comunista – in questo momento storico – è cruciale per ragioni molteplici non esauribili in una battuta provocatoria. Le decisioni politiche che i delegati potrebbero prendere – pur con le questioni più spiccatamente "rivoluzionarie" fuori dal tavolo – sono di quelle che hanno il potenziale esplosivo necessario a deviare il corso storia, sebbene senza grandi parate o colpi di scena. E se appare del tutto evidente che questo congresso non darà vita a nessun Gorbaciov e a nessun percorso di ristrutturazione democratica in senso occidentale, i lavori si aprono comunque all'insegna delle parole cambiamento e pulizia. Parole che nella Cina capital-comunista (la stessa che ha conquistato in breve tempo il secondo posto tra le potenze economiche mondiali; la stessa che si piazza al primo posto per tasso di crescita del PIL fatto registrare nell'ultimo decennio) potrebbero significare moltissimo in termini di riassetto politico e, soprattutto, in termini di maggiore apertura alle libertà individuali e ai diritti umani.
Certo, cambiamento e pulizia sono le parole d'ordine del momento. Tutte le vecchie classi dirigenti mondiali si dibattono alla disperata ricerca di un lifting, ma questo non significa affatto che – alla fine – tutto questo muoversi verso un indefinito nuovo non porti effettivamente a un cambiamento sostanziale. La catena di mutamenti innescata dall'evidente necessità di rinnovamento della classe politica mondiale potrebbe portarci davvero a compiere un piccolo passo evolutivo in quanto specie umana. Un po' ovunque, infatti, le classi dirigenti provano a cospargersi il capo di cenere e rifarsi una verginità. Emergono nuove leve e, da più parti, si invoca la necessità di pulizia morale. In qualche modo, per quanto misero, i governi di tutto il mondo sono costretti a prendere in considerazioni queste spinte. Finché restiamo in democrazia, infatti, il malcontento popolare ha ancora la possibilità di produrre mutazioni – anche piccole – negli apparati politici. E persino in un paese strutturato, de facto, intorno a un partito unico e in cui le dinamiche elettorali non sono propriamente democratiche, il malcontento popolare ha il suo peso.
Gli USA – invece – al momento non sono stati toccati dalla necessità di dover assecondare (seppur con operazioni di facciata) le spinte popolari al cambiamento. Nessuno dei due principali candidati ha raccolto le istanze di Occupy o di altri movimenti di protesta, pochi i riferimenti allo strapotere bancario. Negli USA la retorica nazionalista, l'invito a riconquistare la leadership mondiale, l'esaltazione dei valori liberali, il richiamo alla costituzione e alle intenzioni dei padri fondatori sono – a tutt'oggi – argomenti sufficientemente efficaci nella strategia elettorale d'oltreoceano e – almeno per il momento – gli Stati Uniti non hanno avuto bisogno di avanzare argomenti nuovisti o – per dirla con termini nostrani – rottamatori. Tira invece aria di rottamazione in Cina, dove il congresso del Partito Comunista si apre con una denuncia chiara da parte del presidente e segretario uscente – Hu Jintao – il quale ha avvertito i suoi che la corruzione minaccia seriamente il partito e lo Stato, e che occorre porvi rimedio. Nel discorso che, tradizionalmente, inaugura i lavori del congresso, quello sullo stato della nazione, Hu Jintao ha ammesso che l'opinione pubblica è sempre più nemica del partito, e questo a causa del degrado ambientale che coinvolge il paese e della corruzione che ha inquinato le alte sfere del partito. Nessun riferimento, almeno nelle parole del leader, alla necessità di implementare strutture più democratiche o impegnarsi seriamente nel rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali, ma il clima di protesta che fa da cornice al congresso potrebbe imporre discussioni diverse all'interno del partito.
Intorno alla Grande Sala del Popolo di Piazza Tienanmen, dove si tiene il congresso che vede impegnati 2.300 delegati e dove vedranno la luce il nuovo Comitato Centrale e il nuovo Comitato Permanente del Politburo, un uomo è stato arrestato per proteste, e in giro per il paese già cinque tibetani hanno deciso di darsi fuoco. E con queste salgono a sessantotto le auto-immolazioni dal 2009. Il Partito Comunista Cinese sa bene che non potrà continuare ancora a lungo sulla linea oltranzista, specie se – al suo interno – l'integrità umana e professionale è tutt'altro che dominante. E se il Segretario del partito e Presidente della Repubblica Hu ha voluto sottolineare che la Cina non copierà mai i sistemi politici occidentali è pur vero che ha chiaramente affermato la necessità di un cambiamento del sistemo politico: "Dobbiamo continuare a promuovere sforzi attivi, e nello stesso tempo prudenti, per perseguire una riforma della struttura politica ed estendere la democrazia popolare".
Certo, la Cina non guarda minimamente agli Stati Uniti da questo punto di vista e – malgrado il crescente interesse dell'opinione pubblica cinese per lo show elettorale made in USA – non esiste un reale convincimento all'interno del paese rispetto alla maggiore funzionalità della democrazia statunitense. Lo racconta bene ai microfoni della CNN Ai Wei Wei, artista di fama mondiale e dissidente cinese detenuto per 87 giorninel 2011 con futili pretesti. Secondo l'artista "per migliaia di anni, la Cina ha guardato a se stessa come al Regno di Mezzo, il centro dell'universo, una concezione che ben racconta il livello di comprensione che la Cina ha del resto del mondo e contribuisce a un atteggiamento di indifferenza nei confronti degli altri paesi. Il mondo può anche stare a guardare le elezioni statunitensi, ma alla Cina non interessa chi vince. E opinione comune – qui – che l'America abbia perso la credibilità di un tempo sulla scena mondiale. A differenza degli anni '60 o '70, quando l'America aveva maggiore credibilità in quanto arbitro morale del mondo, oggi molti funzionari cinesi ritengono che gli Stati Uniti si occupino solo del loro tornaconto economico". La Cina, invece, rivendica con orgoglio di aver speso – negli ultimi due anni- più del Fondo Monetario Internazionale per finanziare lo sviluppo di paesi sottosviluppati e – nella stragrande maggioranza dei casi – parliamo di interventi strutturali capaci di offrire ai paesi coinvolti reali possibilità di sviluppo autonomo e non coloniale; sviluppo per cui – ovviamente – esiste un ritorno economico per la Cina, ma che non punta semplicemente a sottrarre risorse quanto ad offrire strumenti.
La verità, quindi, è che la Cina non è semplicemente interessata a correggere il suo assetto politico interno, a risolvere i problemi di malcontento dell'opinione pubblica, a dare ancor più sprint all'economia e allo sviluppo nazionale; il progetto cinese è molto più ampio di così e potrebbe essere riassunto dal desiderio – mutatis mutandis – di subentrare agli USA non soltanto in quanto potenza economica mondiale ma anche (e soprattutto) in quanto primo influencer della politica sociale ed economica del pianeta. Certo, esiste un piccolissimo particolare riguardante la forte censura e la messa in discussione di alcuni dei più basilari diritti umani; particolare che non consente di certo alla Cina di candidarsi al ruolo di faro morale del pianeta. Non è detto, però, che proprio in virtù di simili velleità il nuovo presidente non decida di operare delle lievi correzioni al modus operandi del governo in modo da poter ambire a rivestire il ruolo di arbitro e filantropo in maniera più credibile.
Infine, occorre sempre tener presente che il grande sviluppo economico vissuto dalla Cina nell'ultimo decennio altro non è che il classico momento d'oro che ogni economia di stampo capitalista vive. E, come sempre accade, il principale compito del capitalismo dal punto di vista sociologico-evoluzionistico è quello di far crescere il ceto medio, sia in termini umani che economici, sia in termini filosofici che pratici. In questo modo, individui sempre più benestanti ed istruiti spingeranno sempre più prepotentemente per un loro maggiore coinvolgimento nella vita politica del paese e – di fatto, con il tempo – serviranno lo scopo di sradicare ogni residuo di feudalesimo, animando la protesta per la conquista di diritti umani e civili, spingendo per la correzione dello stato in senso democratico e attivando quei processi rivoluzionari che portano poi alla trasformazione delle istituzioni in senso anti-capitalista. Siamo agli inizi di questo percorso, ma sta già accadendo. Se – in questi giorni – si prova a tener d'occhio la rete, lo si può vedere all'opera lo scalpitante ceto medio cinese: composto soprattutto da giovani istruiti e benestanti che si concedono il lusso di ridicolizzare sul web i loro leader politici. Il tutto all'interno di un mondo – quello della rete – che si fa ogni giorno più popoloso e sempre meno controllabile.