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Guerra in Ucraina

“Xi vuol convincere Putin a un ritiro parziale dall’Ucraina”: parla un testimone del vertice di Mosca

“Per il Donbass la Cina prospetta il destino della Corea”, ma per altri territori propone passi indietro dei russi. Che “manterrebbero la Crimea”. Lo riferisce a Fanpage.it l’esperto Maslov, che ha partecipato ai colloqui. “Blinken presto in Cina per negoziare”. “Pechino ha una visione diversa dalla Russia sull’ordine internazionale”.
A cura di Riccardo Amati
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La Crimea alla Russia, il ritiro delle truppe di Mosca dai territori occupati nel sud dell’Ucraina e una soluzione “coreana” per il Donbass. Sul destino del quale “si può discutere”.

A questi risultati punterà la Cina se verrà accettata la sua mediazione per un processo di pace nel Donbass. È quanto riferisce a Fanpage.it il sinologo Alexey Maslov, che era presente ai negoziati tra la delegazione di Pechino e quella russa durante il vertice tra Xi Jinping e Vladimir Putin a Mosca.

Quindi, il leader cinese cerca di convincere il suo omologo del Cremlino a fare qualche passo indietro sul terreno. Non si tratterebbe solo di “congelare” la situazione con la permanenza delle truppe russe sulle totalità delle attuali posizioni, come si era pensato finora. Anche questa soluzione sarà probabilmente inaccettabile per Kyiv. Ma è meno drastica di quanto preventivato. “Blinken andrà a Pechino per parlarne e poi si incontreranno i ministri degli Esteri di Ucraina e Cina”, prevede Maslov.

Le posizioni delle due potenze eurasiatiche “non sono univoche” e non si sono raggiunti accordi precisi sulla politica estera. In particolare “la visione revanscista di Mosca riguardo all’ordine internazionale mal si accorda con le priorità commerciali del suo grande vicino orientale", spiega l’esperto di Cina testimone dei colloqui. Per questo si è rimasti nel vago. Ma il ruolo predominante della Cina rispetto alla Russia, definita non un alleato ma un”compagno di viaggio”, fanno sì che Xi “sia l’unica persona al mondo in grado di influenzare Putin e fargli cambiare idea sull’Ucraina e su altro”.

Maslov è il direttore dell’Istituto di studi orientali e africani all’Università statale Lomonosov, nella capitale russa. Lo abbiamo raggiunto al telefono al termine della tre giorni diplomatica in cui ha assistito l’amministrazione presidenziale e le feluche del ministero degli esteri negli incontri con i colleghi cinesi tra i marmi, gli ori e gli affreschi del Gran Palazzo e del Palazzo delle Faccette del Cremlino. Lo stesso dove lo zar Ivan il Terribile banchettava dopo le sue conquiste asiatiche e dove Pietro il Grande celebrò la sua vittoria sull’esercito svedese a Poltava, che oggi è Ucraina.

Alexey Maslov.
Alexey Maslov.

Professor Maslov, Putin ha detto che il piano di pace cinese può essere “la base per un accordo di pace”. Ma non si è capito se accetta i concetti di “integrità territoriale” e “sovranità” menzionati nel documento. Né peraltro i cinesi hanno mai spiegato che cosa intendano con quei termini.  Cosa hanno detto in merito i diplomatici di Pechino?

"Per quel che so, la Cina quando si riferisce all’”integrità territoriale” prende in considerazione la situazione successiva al 2014 ma precedente al 24 febbraio 2022. Significa che la Crimea è russa e alcune aree attualmente occupate sono ucraine. A parte Donetsk e Lugansk, il cui status può essere oggetto di discussione. La soluzione che si prospetterebbe è quella “coreana”. Con una divisione tra Ucraina e Donbass, che pur non riconoscendosi ufficialmente potrebbero evitare frizioni militari mentre si continua a trattare per un accordo definitivo".

La Russia sosterrebbe questo tipo di soluzione?

"Putin ha detto di accettare nel loro insieme le idee contenute nel documento cinese, che non è un vero e proprio piano di pace ma un elenco di intenzioni. E il presidente per la prima volta ha dichiarato che la Russia è pronta a negoziare. Non aveva mai parlato in questi termini".

Ma Xi Jinping potrebbe convincere Putin a un parziale ritiro delle sue forze sul terreno?

"Se c’è una persona al mondo in grado di farlo è Xi".

Il presidente della Cina ha parlato di “modi pragmatici” per uscire dal conflitto. Che significa per i cinesi “modi pragmatici”?

"È ciò che nella loro lingua indicano come una situazione “win-win”, ovvero vantaggiosa per tutti".

Ma è vero che nella traslitterazione in cinese l’espressione “Win-win” ha una “W” maiuscola, a indicare che per una parte la situazione è più vantaggiosa che per l’altra?

"Proprio così (Maslov ride). Comunque, in questo caso significa che la Cina è pronta a investire finanziariamente nel processo di pace, in particolare nella ricostruzione del territorio — cosa utile per entrambe le parti in conflitto. E che aumenterà le importazioni dalla Russia, in particolare quelle di petrolio e gas. Compensando così il venir meno del mercato europeo per Mosca".

A questo proposito, c’è un accordo o no sulla costruzione del gasdotto Forza della Siberia 2, che dal 2030 dovrebbe trasportare 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Russia alla Cina attraverso la Mongolia? Dalle parole di Putin in conferenza stampa mica si è capito bene.

"Ancora l’accordo non è stato firmato ma siamo vicini alla sua finalizzazione. È un progetto molto complicato, anche perché coinvolge la Mongolia, che aveva le sue richieste".

Ma la Cina ha davvero bisogno del gas russo?

"Ha confermato in questi colloqui che lo comprerà comunque. E questo è un vantaggio per la Russia".

Ce ne sono altri?

"La Cina aprirà completamente il suo mercato alla nostra produzione agricola. Che non è così importante come quella di idrocarburi ma sono sempre cinque miliardi di dollari l’anno, secondo i dati del 2022 che ha visto un aumento del 40% dell’export agricolo russo verso Pechino".

Quindi, un sacco di bei regali all’economia russa. Almeno in teoria, perché poi il prezzo lo faranno i cinesi. Francamente, al di là dei proclami, non ci sembra di aver sentito dire molto di concreto, nella conferenza stampa finale. Sull’economia come sull’Ucraina.

"Effettivamente è così. In molti si aspettavano di più. Si pensava che Russia e Cina potessero annunciare qualcosa di molto forte, di speciale. Ma chi conosce il modo di fare dei cinesi sa che non si esprimono mai in termini che possano sembrare esagerati. A Mosca, poi, Xi aveva ragioni molteplici per non esporsi più di tanto".

Quali ragioni?

"Partiamo dal perché ha deciso un suo coinvolgimento per la pace in Ucraina. Non era per niente scontato, visto che c’è un rischio molto alto di far fiasco. Se non altro a causa delle perplessità di Washington e Kyiv sul cosiddetto piano di pace. Bene, il motivo del coinvolgimento della Cina è che si trova ad affrontare più sfide. Prima di tutto quella di una possibile destabilizzazione dei suoi affari interni, che sono strettamente connessi alla diminuzione delle operazioni di import ed export, diminuite per l’effetto indiretto del conflitto in corso: la Cina vorrebbe normalizzare la situazione per i suoi mercati".

Motivi commerciali, quindi. Ma non mi dica che non c’entrano anche ambizioni di politica internazionale in senso stretto.

"La Cina ha compreso che la forte pressione che sta subendo dagli Stati Uniti e altri Paesi occidentali è un brutto segnale: c’è la possibilità di finire isolati, come la Russia. Così ha deciso di giocare d’anticipo".

Ma poco fa lei diceva che Xi Jinping non vuol compromettersi troppo. Non c’è una contraddizione?

"No. Bisogna anche entrare nella mentalità e nel modo di far politica dei cinesi. Per Xi non è così importante arrivare davvero a risolvere il problema, con un accordo di pace e la normalizzazione delle relazioni internazionali. È importante interpretare il ruolo del “poliziotto buono” lasciando al presidente americano Biden quello del “poliziotto cattivo”".

Forse Xi Jinping vuole anche una conferma del suo ruolo di statista globale, dopo aver mediato con successo la ripresa dei rapporti diplomatici fra Arabia Saudita e Iran. No?

"Certamente sì, ha appena ottenuto un successo storico, in Medio Oriente. Ha dimostrato di saper fare da paciere e di poter risolvere una crisi internazionale. Per quanto riguarda il conflitto ucraino, se le cose si mettono per il meglio potrà dire di aver ottenuto la pace. Se continueranno come adesso, dirà di esser stato l’unico leader mondiale ad aver proposto un soluzione diplomatica e che nessuno lo ha voluto ascoltare. Comunque vada a finire, avrà  un vantaggio: Una “situazione win-win”, come si diceva".

E quale potrebbe essere ora il seguito, per il piano cinese? Proposte concrete a Kyiv? O cos’altro?

"Il prossimo passo sarà un negoziato con il Segretario di Stato americano Blinken. Che ha cancellato la sua ultima visita in Cina, ma ha precisato che si è trattato solo di un rinvio".

Quindi, da quel che può riferire delle conversazioni fra le delegazioni, ritiene che Blinken andrà a Pechino e parlerà con i cinesi di Ucraina?

"Sì, ne sono convinto".

E Zelensky? Ha invitato la Cina al dialogo. Lo lasciamo fuori?

"Un secondo passo saranno le trattative con l’Ucraina. Non ci sarà un vertice Xi Jinping – Zelensky. Mosca non vuole. Ma potranno incontrarsi i ministri degli Esteri di Kyiv e Pechino".

Xi Jinping chiamerà Zelensky, nei prossimi giorni?

"Ritengo di sì".

Come mai nella conferenza stampa finale si è parlato dell’Ucraina solo dopo un bel po’, e non a lungo?

"L’Ucraina non è emersa come la parte più importante del vertice. E questo non può che avere un significato: non c’è una completa unità di vedute, in merito".

In effetti, alla vigilia dell’incontro con Putin Xi aveva detto ai media russi che — citiamo testualmente — “la solidarietà e la pace sul pianeta sono nel comune interesse dell’intera umanità”. Ora, i bombardamenti russi non vanno proprio in questa direzione.

"Mi sta chiedendo se le posizioni di Russia e Cina riguardo al piano di pace sono le stesse? Ebbene, la risposta è no. Putin ha dato la sua disponibilità e potrebbe farsi convincere ad accettare compromessi. Ma restano molte contraddizioni, nell’approccio".

Per esempio?

"Secondo Putin, l’Occidente è il nemico, uno specchio rotto. E la Russia sta cercando di ricostruire la sua identità nazionale in termini assolutamente anti-occidentali. Mentre la Cina non la vede in questo modo. Non si mette mai in contrapposizione diretta all’Occidente. È per la cooperazione globale".

Come potranno andare avanti insieme i “compagni di viaggio”, come russi e cinesi si sono reciprocamente definiti durante questo vertice? La Russia è revanscista e vuol cambiare l’ordine internazionale dalle fondamenta. Per la Cina, la cosa più importante è il commercio. E suoi mercati principali sono gli Stati Uniti e l’Europa. Mica vuole la rivoluzione mondiale.

"La Cina non vuole dissociarsi dagli Stati Uniti né da nessun altro Paese".

Ma Xi Jinping, diceva lei prima, è l’unico al mondo che può convincere Putin a fare compromessi. A darsi una calmata, insomma.

"Proprio così".

Questo sembra confermare che, anche se viene sbandierata la cooperazione strategica ed economica, la Russia è davvero diventato il “junior partner” della Cina sulla scena internazionale?

"La cooperazione strategica è reale. La Russia vuole costituire una nuova regione politica e macroeconomica: l’Eurasia. Il suo partner non può che essere la Cina".

Ma la dipendenza economica della Russia sta diventando enorme. L’anno scorso oltre il 40% delle importazioni sono arrivate dalla Cina, secondo i dati del vostro governo. E state già usando lo yuan come moneta internazionale. Non rischia di diventare un problema?

"Diciamo che la Russia non ha un’influenza economica tale per costruire l’Eurasia che vorrebbe".

E quindi è un’altra “situazione win-win” in cui però vince soprattutto la Cina. E non è che Pechino finirà per approfittarsene chiedendo sempre più concessioni politiche, per sostenere il regime di Putin?

"È un problema politico non indifferente. L’economia è solo il “cortile” della politica. Ma c’è un paradosso: la Cina oggi ha davvero bisogno della Russia. Non tanto per questioni economiche, ma perché la Russia è la sola grande potenza che può sostenere in pieno tutte le iniziative politiche di Pechino, e le sue idee".

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