Ariha, nella provincia nord-occidentale di Idlib, è stata ancora una volta l’obiettivo dei raid aerei. Sabato mattina jet da guerra hanno bombardato la città uccidendo 11 persone, tra cui sei bambini. Una piccola di 18 mesi ha perso la gamba, mentre il padre e il fratello sono morti. La mamma è ricoverata in gravissime condizioni. I feriti sono decine. “Le bombe sono cadute sulla piazza principale di Ariha durante il mercato settimanale”, ha affermato Ghayath, un attivista locale. Il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere molto più grave se non ci fosse stato l’avvertimento di evitare grandi raduni, in vista di possibili attacchi.
Un fine settimana di terrore
Per il terzo giorno consecutivo, le bombe sono cadute su Ariha. Domenica ad essere colpito è stato il palazzo che ospita il municipio. I morti finora sono cinque e almeno 18 i feriti. “Qui ci vivono bambini . Qual è il loro crimine? Siamo bombardati ogni giorno e le Nazioni Uniti rimangono in silenzio”, ha detto Mohammed Daraawi, un abitante di Ariha.
“Questa è una strategia precisa per svuotare sistematicamente la città”, ha dichiarato Mohamad Abrash, medico chirurgo e capo dell'ospedale centrale di Idlib, capoluogo dell’omonima provincia. Abrash, inoltre, ha sottolineato come i feriti siano costretti a percorrere quasi cinque chilometri per raggiungere il centro medico più attrezzato. A perdere la vita anche tre paramedici quando la loro ambulanza è stata centrata da un missile lungo la strada che collega Kafr Zita a Latamena, nella provincia di Hama.
Rawan, la bimba di 3 anni soccorsa dalla sorella, è morta
Rawan, di tre anni, e le sue cinque sorelle (Aminah, Daliah, Rimas, Riham e Toqa) nella loro breve vita hanno conosciuto solo la guerra. Il 24 luglio una bomba ha centrato in pieno il palazzo nel quale vivevano ad Ariha. A morire per prima è stata la madre, Asma Naquah. Le immagini terribili di Riham, di soli cinque anni, cercando disperatamente di non lasciare cadere nel vuoto la sorellina hanno fatto il giro del mondo. Entrambe sono precipitate sul cumulo di macerie di quella che una volta era la loro casa. Riham è morta mentre Rawan è stata soccorsa ancora in vita. Venerdì anche la piccola è deceduta. Le altre quattro sorelle, rimaste ferite nel bombardamento, si trovano ricoverate in terapia intensiva.
Una carneficina a cui il resto del mondo assiste indifferente
Di fronte all'escalation di violenza che si è abbattuta sulle province nord-occidentali della Siria, il resto del mondo sembra assistere indifferente. Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, dopo i recenti massacri, ha espresso parole molto dure: “Gli attacchi intenzionali contro i civili sono crimini di guerra e coloro che li hanno ordinati o realizzati sono penalmente responsabili delle loro azioni”. Un avvertimento che tuttavia è rimasto inascoltato alla luce della carneficina del fine settimana.
“Sembra improbabile che gli obiettivi civili – continua Bachelet – siano colpiti per caso”. Secondo l'Onu, in appena 10 giorni sono 103 i morti a Idlib, nella parte occidentale di Aleppo e nel nord di Hama. Di questi 26 erano bambini. “Nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite a rispettare il principio di precauzione e distinzione nella condotta delle ostilità – lamenta l’Alto commissario per i diritti umani – quest'ultima campagna inarrestabile di attacchi aerei da parte del governo e dei suoi alleati ha continuato a colpire strutture mediche, scuole e altre infrastrutture civili come mercati e panetterie”.
"Ora gli attacchi aerei uccidono e mutilano un numero significativo di civili più volte alla settimana – è la denuncia di Bachelet – e la risposta sembra essere una scrollata di spalle collettiva, con il Consiglio di sicurezza paralizzato dal persistente fallimento dei suoi cinque membri permanenti nell'accettare di usare il loro potere e la loro influenza per fermare i combattimenti e le uccisioni una volta per tutte”.
Oltre 440mila sfollati in tre mesi
L’offensiva dell’esercito siriano e della Russia sulle aree ancora in mano alle forze ribelli, tra cui i combattenti jihadisti di Hay’at Tahrir al-Sham, è iniziata a fine aprile. Da allora, d’accordo con i dati diffusi dalle Nazioni Unite, ci sono stati oltre 440.000 sfollati, molti dei quali sono già stati costretti a fuggire diverse volte dalla violenza. Circa due terzi dei rifugiati interni attualmente vive fuori dai centri di accoglienza. Solo a Idlib, quasi 100 scuole sono state adibite a riparo temporaneo per decine di famiglie. Per altre migliaia – avverte l’Onu – l'unica possibilità di salvezza è vivere all'aperto in aperta campagna a ridosso del confine turco.
“È essenziale che vi sia una cessazione delle ostilità al fine di dare respiro ai negoziati politici in corso – conclude l'Alto Commissario Onu per i diritti umani – l'alternativa è solo la morte e la distruzione più insensate di una guerra senza fine”.