Altro che consenso. I russi non credono più allo zar, dice Ilya Yashin: “L’unico consenso, nella Russia di Putin, è la paura. È il solo elemento su cui si fonda il potere”. Yashin vorrebbe un Paese normale, “pacifico, libero e felice. Dove sia piacevole vivere”. Vuole che il Paese di Ivan il Terribile, di Stalin e di Vladimir Putin diventi il Paese dell’Umanesimo.
È tutta qui, la sua ambizione politica. Mica poco. E per questo, insieme ad altri dissidenti — usiamo consapevolmente la parola dell’era sovietica — è disposto “a sopportare il carcere, rischiare la pelle e resistere”. Resistere contro chi per la Russia “non vuole un futuro ma solo il passato”. Lo aveva detto, nel suo posledneye slovo — l’”ultima parola” concessa dai tribunali russi agli imputati prima dell’immancabile condanna — che niente lo avrebbe mai fatto tacere finché in vita. Neanche la galera.
Infatti è un fiume, nel rispondere alle domande che Fanpage.it gli ha fatto arrivare nella remota colonia penale a ovest dei monti Urali dove sta scontando otto anni e sei mesi per aver detto la verità sulla strage di Bucha. Otto pagine scritte a mano su foglietti di fortuna, recapitati in modi rocamboleschi che per ragioni di sicurezza non possiamo descrivere. Una bella calligrafia, chiara come i concetti espressi e il russo utilizzato.
Con Yashin le autorità hanno agito secondo uno schema ormai consolidato. Lo hanno arrestato con una scusa, la scorsa estate, e lo hanno poi condannato, in dicembre, in base all’articolo 207.3 del codice penale, introdotto dopo l’invasione dell’Ucraina per punire chi parla della guerra e della politica dello Stato in modo difforme dalla versione ufficiale del Cremlino. Pene previste: fino a 15 anni.
A lui è andata quasi bene. Era l’ultimo dei grandi politici dell’opposizione a esser rimasto in libertà. Gli avevano detto espressamente di fuggire all’estero. Non lo ha fatto. Non ha dato loro la soddisfazione. Trentanove anni, 20 di attività politica iniziata nei ranghi del partito liberale Yabloko a fianco dell’amico Alexey Navalny, Yashin fu tra i fondatori del movimento Solidarnost insieme a Boris Nemtsov — il leader anti-Putin assassinato nel 2015.
Fu protagonista delle grandi proteste di piazza del 2011-2012 ed è stato deputato del distretto moscovita di Krasnoselsky, che conta 50.000 abitanti. Dal 24 febbraio in poi ha criticato senza mezzi termini l’invasione dell’Ucraina. Non smette di farlo, anche se non può più utilizzare il suo canale Youtube con 1,3 milioni di follower. Nessun passo indietro.
Sull’eccidio di Bucha oggi dice che chi lo considera una fake news, “si sporca di sangue”. Mentre i leader deboli e “i politici corrotti d’Europa amici di Putin sono parzialmente responsabili della guerra”. Italiani compresi.
Quella che segue è l’intervista integrale al prigioniero dello zar.
Come sta, Ilya? Come viene trattato?
Ho avuto momenti migliori. Sono in prigione da sette mesi e non è piacevole. D’altra parte, sapevo bene quali fossero i rischi che correvo parlando apertamente contro la guerra, contro la criminale aggressione di Putin all’Ucraina. Fin dai primi giorni dell’invasione, dire la verità riguardo alla guerra è diventato un reato, in Russia. E questa rendeva il mio arresto inevitabile.
È stato trasferito a Izhevsk, quasi mille chilometri a est di Mosca. E presto la trasferiranno di nuovo. Può ancora ricevere visite?
Prima di capodanno ero in una prigione di Mosca, ora mi ritrovo sotto gli Urali. L’intenzione delle autorità era di eliminare o comunque diminuire i miei contatti con il mondo esterno. I miei avvocati comunque vengono a trovarmi, nonostante la distanza. Così anche i miei genitori. E poi ricevuto molto lettere dai miei followers. Così non mi sento solo o dimenticato.
La sua condizione carceraria è peggiorata?
Sì, le condizioni qui sono peggiori che a Mosca. Nella mia cella non ci sono né televisore né frigorifero. E nella kasha (il porridge russo, composto di grano saraceno o altri cereali: è il pasto giornaliero degli zeki, i detenuti, ndr) si trovano sassolini che quasi mi hanno rotto i denti. Tutto questo è davvero poco confortevole. Però capisco che nelle carceri russe succede anche di peggio. C’è poco da fare. Così è il nostro sistema penitenziario.
Come sono i rapporti con gli altri detenuti?
I miei compagni di prigionia mi trattano correttamente e con rispetto. Sanno chi sono e mi fanno domande sulla politica. Mi domandano del futuro della Russia. Alcuni chiedono aiuto per istruire i loro processi d’appello. Tutti sono stupiti che mi abbiano dato otto anni e mezzo di galera solo per aver criticato pubblicamente la guerra, quando per furto, stupro e talvolta anche per omicidio i tribunali russi ti condannano a pene più lievi.
Si aspettava un tale accanimento giudiziario?
Non avevo i dubbi che la sentenza sarebbe stata dura. Il mio processo è stato utilizzato dal potere politico come uno strumento per terrorizzare chi volesse parlare apertamente contro la guerra. Ero consapevole che tutto sarebbe dipeso dal mio comportamento in aula, dalla mia reazione all’accusa. E così li ho fregati. Se mi fossi mostrato impaurito e avessi chiesto perdono, il regime avrebbe raggiunto i suoi obiettivi. Invece, nonostante l’ansia e la vera e propria paura che provavo, ho cercato di fare del processo una pubblica tribuna contro la guerra.
Insieme ai mei avvocati abbiamo parlato della strage di Bucha, citando i testimoni e i rapporti dell’Onu e dell’Osce. Ho dichiarato senza mezzi termini che Putin è un assassino e che le sue sono azioni criminali. Non era un processo a porte chiuse, e tutta l’aula ha potuto ascoltare. E c’erano i giornalisti, e i social network in diretta. Il mio discorso finale, l’”ultima parola”, ha avuto due milioni di visualizzazioni su Youtube. Sono convinto che siamo riusciti a distruggere il piano delle autorità.
Non ha vinto la paura, come loro volevano. La vittoria morale è stata tutta nostra. E i giudici hanno avuto una reazione isterica, dandomi otto anni e sei mesi di reclusione. Un po' come se un grande maestro di scacchi si accorgesse di aver perso la partita, saltasse in piedi come un pazzo e scagliasse la scacchiera in testa al suo avversario.
In aula ha detto in faccia al giudice che era “un semplice ingranaggio della macchina”. Come definirebbe il sistema giudiziario russo? Che razza di “macchina” è?
Per farsi un'idea del sistema giudiziario russo basta guardare anche superficialmente alle statistiche. Negli ultimi anni, la percentuale di assoluzioni nel nostro Paese non ha superato lo 0,5% degli imputati. Sembra incredibile, no? Meno di una persona su cento ha la possibilità di esser proclamata “non colpevole” in un processo. Tanto per fare un confronto che mi pare utile, ai tempi di Stalin il rapporto era tra il 5 e il 7%.
È il caso di rifletterci: negli anni più terribili del Terrore rosso avevi molte più possibilità di difenderti dalle accuse che non oggi. Unica differenza in positivo: al contrario che sotto Stalin nella Russia di Putin non c’è la pena di morte, anche se il Parlamento discute spesso proposte per reintrodurla. Voglio dire pane al pane: i tribunali nel nostro Paese sono diventati parte dell'apparato repressivo.
Forniscono servizi ai servizi di sicurezza del regime. Servono la volontà politica del Cremlino. Nemmeno cercano più di sembrare indipendenti. Se lo facessero, il giudice verrebbe immediatamente licenziato. Come minimo. I tribunali russi sono come camerieri che chiedono al potere: “Come posso servirla”?
Ma perché non ha lasciato la Russia quando ancora poteva? Non sarebbe stato meglio poter condurre le sue campagne politiche dall’estero, in libertà?
Il fatto è che il solo pensiero di fuggire dalla Russia mi sembra umiliante. Questa è la mia patria, Sono nato qui, amo la Russia e per tutta la mia vita ho cercato di renderla libera e felice. E Putin pensa di avere il diritto di cacciarmi? Mica mi ha invitato a casa sua, da dove se vuole può buttarmi fuori. La Russia è la mia casa. Ma certo non critico i miei concittadini che, visti i rischi, hanno preferito emigrare.
Dal punto di vista umano, è una scelta che capisco bene: nessuno dovrebbe mai finire in galera per le sue parole o le sue idee. Se la mia scelta è stata diversa è soprattutto perché sono un politico. E non è possibile essere un politico russo se non vivi in Russia. Certo per Putin sarebbe l’ideale, se tutti i suoi oppositori si rifugiassero all’estero. “Gli oppositori sono scappati a casa dei loro padroni stranieri e abbaiano da lontano”, dice il presidente. Non io. Non sono scappato e non abbaio ma dico la verità. Con voce alta e chiara. Rispondo delle mie parole con la mia stessa vita. E credo che le parole di verità dette qui in Russia abbiano più “peso” che le stesse parole dette da fuori.
Inoltre, ci sono già tanti attivisti e blogger che promuovono iniziative contro il Cremlino da altri Paesi, e organizzano campagne, partecipano a conferenze. Qualcuno doveva pur rimanere qui. Per resistere e guadagnarsi la fiducia dei compagni di lotta.
Qual è il suo obiettivo, come politico? Cosa vuole ottenere? E che Russia vorrebbe vedere un giorno?
Vorrei che le persone diventassero la priorità assoluta per lo Stato. Vorrei che l’umanesimo fosse la base, il fondamento del potere in Russia. Dopotutto noi russi siamo sempre, di generazione in generazione, rimasti aggrappati al passato imperiale e a sogni geopolitici. Oppure abbiamo sacrificato a grandi idee il destino dei nostri concittadini.
Durante il periodo sovietico, la gente viveva in povertà e stava ore in coda per comprare da mangiare, a fronte di infinite promesse sul futuro. Ora a Putin è venuto in mente di passare alla storia come il conquistatore dell’Ucraina. Per questo distrugge la nostra economia, isola la società, e manda la gente a morire in guerra. Dobbiamo farla finita una volta per tutte con questi stupidi giochi crudeli. E costruire un Paese normale. Pacifico, libero. Dove vivere sia confortevole. Un Paese dove ci sia una regolare alternanza al potere. Non dovuta a chissà quali terribili rivolgimenti ma prevista per legge.
Un Paese dove la ricchezza nazionale sia equamente distribuita e dove uno non diventi un oligarca solo perché ha stretto amicizia in gioventù con il futuro presidente alla scuola di judo (il riferimento è soprattutto a Arkady Rotenberg, ex compagno di judo di Putin diventato improvvisamente — insieme al fratello Boris — un imprenditore multimiliardario dei settori costruzioni ed energia, ndr).
Un Paese dove non ti mettano in galera per aver criticato il governo o per le tue opinioni, e dove in tribunale tu possa difendere i tuoi diritti allo stesso modo se sei un ministro o un insegnante d’asilo. Per vivere domani nel Paese che ho appena descritto, noi oggi andiamo in galera, rischiamo la vita e resistiamo al regime di Putin. Che vuol mantenere la Russia nel passato.
Però Putin ha ancora un forte consenso nel Paese, a giudicare dai sondaggi. Lei pensa che la guerra in Ucraina eroderà questo consenso? Potrebbe finire per risultare fatale per il regime?
Ma quale consenso? Dove sta scritto? I sondaggi non sono affidabili, in un regine totalitario. Secondo i dati ufficiali il rating del partito comunista era altissimo prima della caduta dell’Urss. E Ceausescu prese il voto del 90% dei cittadini romeni, poco prima di esser deposto e giustiziato. Gli esempi di questo tipo sono davvero molti. Ogni dittatura rende impossibile metter nero su bianco quel che davvero si pensa nella società.
L’unico consenso, nella Russia di Putin, è la paura. Tutti hanno paura. Negli eleganti uffici degli esponenti delle élite a Mosca o San Pietroburgo come nella scalcagnata cabina di guida di un camionista di provincia. Tutti capiscono che ormai possono essere sbattuti in carcere solo perché le autorità dubitano della loro lealtà, per uno sguardo di traverso, una frase pronunciata incautamente, per un like o una condivisione sui social network.
È per questo che non ci sono grandi manifestazioni contro la guerra. Ed è per questo che più di un milione di russi si sono rifugiati all’estero, dopo l'aggressione all’Ucraina. La realtà è che la fiducia in Putin è crollata, a tutti i livelli. A causa della guerra che ha scatenato, il presidente ha avvelenato la vita di tutti: ricchi uomini d’affari, funzionari del governo e gente comune. I russi soffrono per le sanzioni, la riduzione dei redditi reali, il calo della qualità della vita, l'isolamento del Paese. E molte famiglie hanno perso padri, figli e mariti mandati a morire al fronte. Siamo davvero parecchio lontani dall’entusiasmo che ci fu dopo l'annessione della Crimea.
La Crimea è stata presa da Putin praticamente senza sparare un solo colpo, e devo ammettere che ciò fu accolto con favore da molti. Ma gli obiettivi dell'attuale guerra non sono chiari a nessuno. I russi non sono disposti a pagare un prezzo che si è già rivelato troppo alto. E poi, la guerra con l'Ucraina ha messo in luce la corruzione dilagante nelle forze armate e l'incompetenza del sistema di comando. Invece di una facile vittoria, la guerra ha portato alla Russia l'umiliazione nazionale. E questo è un brutto colpo per la reputazione di Putin. Oggi nella società non si pensa più che Putin sia un leader di successo. Il suo potere adesso si fonda sulla paura. E la paura non è mai una base affidabile.
Il fondatore del gruppo di mercenari Wagner Yevgeny Prigozhyn ha personalmente reclutato migliaia di carcerati per mandarli a combattere contro gli ucraini, promettendo molto denaro e il condono della pena. Lei nelle sue prigioni ha incontrato detenuti che si sono uniti alla Wagner o che hanno intenzione di farlo?
La partecipazione alla guerra e le attività del gruppo militare privato Wagner è uno degli argomenti più popolari nelle carceri russe. Ma per quel che vedo, la maggior parte dei detenuti è molto scettica riguardo alla prospettiva di andare al fronte. Difficile incontrare militaristi o guerrafondai, dietro le sbarre. E chi prende in considerazione un contratto con Wagner come un modo per uscire di galera, sa bene che probabilmente non rimarrebbe vivo. Sa che quasi sempre è un biglietto di sola andata.
Per Prigozhin i carcerati sono carne da cannone. Servono semplicemente a riempire il campo di battaglia di cadaveri. Non saranno nemmeno considerati perdite. Comunque ho incontrato qualcuno disposto ad arruolarsi con quei mercenari. Sono soprattutto ragazzi estremamente poveri, spesso orfani. In alcuni casi, sono in prigione solo per aver rubato del cibo. Sono attratti dalla montagna di soldi promessi dai reclutatori della Wagner. Oppure, all’opposto, si tratta di detenuti disperati perché hanno pene lunghissime da scontare. Pronti a tutto per tornare in libertà. Anche a giocare alla roulette russa con Prigozhin.
Il motivo ufficiale della sua durissima condanna è stato il suo pubblico rifiuto di accettare la narrativa ufficiale del Cremlino sulla strage di Bucha, la cittadina nella regione di Kyiv teatro di esecuzioni di massa di civili e prigionieri di guerra da parte delle truppe di invasione russe. In Italia ci sono giornalisti e personaggi pubblici che su Bucha hanno detto esattamente quel che ha detto il Cremlino, ovvero che si è trattato di una messa in scena organizzata dai servizi segreti ucraini e occidentali. Ci hanno scritto articoli e saggi, incassando popolarità e altro. Lei invece si è preso otto anni e mezzo di galera. Paradossale, no? Che si sente di dire a quei signori?
Come dice la Bibbia: chi ha orecchi, ascolti. Il massacro di Bucha è uno dei crimini di guerra più indagati di questo conflitto. Ci sono numerose testimonianze raccolte da esperti delle Nazioni Unite, c'è un rapporto dettagliato dell'Osce, c'è un'indagine seria e professionale del New York Times, dove vengono presentati filmati dalle telecamere di sorveglianza e altre prove. Sono già scritti anche i nomi dei militari e degli ufficiali coinvolti nella strage. Cosa c'è da discutere? Capisco la propaganda del Cremlino, che crea appositamente teorie del complotto, manipola i fatti e cerca di confondere il mondo: i criminali tentano sempre di coprire le loro tracce.
Ma sono scioccato di sapere che ci sono giornalisti in Italia che difendono la versione del Cremlino e giustificano Putin. Anche se queste persone sono confuse, poco intelligenti o comunque sbagliano in buona fede, in pratica stanno aiutando criminali di guerra a sottrarsi alle loro responsabilità. Significa che loro stessi si sporcano di sangue. Terribile, non riesco a capire come possano convivere con questo e sentirsi in pace con se stessi.
Lei ha parlato contro l’invasione dell’Ucraina fin dal 2014, denunciando pubblicamente l’annessione della Crimea e la presenza di personale militare e armi russe nel Donbass. Una risposta più forte da parte della comunità internazionale avrebbe potuto prevenire l’immane tragedia in atto oggi? E in particolare, come giudica la visita del nostro ex premier Berlusconi in Crimea subito dopo l’annessione, o le prese di posizioni pro-Putin della Lega e del Movimento cinque stelle successive a quegli avvenimenti?
Senza dubbio la comunità internazionale ha la sua parte di responsabilità per la guerra in corso. Dopo l'invasione russa dell’Ucraina nel 2014, si è visto solo ciò che nei libri di storia e nella pratica politica è solitamente definito come “appeasement”, ovvero la "pacificazione dell'aggressore". I leader europei hanno danzato con Putin, blandendolo nella speranza che fermasse le truppe e non andasse oltre. Ma se non incontra resistenza, l'aggressore va sempre oltre. È la natura dell'aggressione politica.
Come era facilmente prevedibile, Putin ha interpretato l’atteggiamento mite e gli sforzi diplomatici dell'Occidente come un segno di debolezza. E ha creduto davvero di poter cambiare l'ordine mondiale utilizzando la sua volontà personale unita alla forza militare. I motivi per crederlo possibile glieli hanno dati le indecisioni dei leader dell’Unione Europea, che hanno voluto tenersi buono il Cremlino.
E anche l’aiuto dei politici europei corrotti, che Putin ha avuto come alleati dopo averci costruito relazioni più o meno informali o vere e proprie amicizie. Infine, se mi consentite, vorrei utilizzare quest’intervista per inviare un mio saluto personale al vostro ex premier Silvio Berlusconi.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.