Vladimir Putin – Il piccolo Zar che non incanta più la Russia
Le lacrime di Putin non incantano la Russia, tanto che uno dei cartelli che campeggiava in piazza, ieri, durante le manifestazioni di protesta per i brogli elettorali era: "Mosca non crede alle lacrime". E anche l'ex campione di scacchi, Garri Kasparov, si lascia andare a commenti ironici mentre leva inni dalla Piazza Rossa contro il neo (ex) eletto presidente: "non erano lacrime, ma botox". La frangia dei contestatori è folta e agguerrita, difficile immaginare che la situazione possa appianarsi in poche giorni. Gli osservatori internazionali hanno sentenziato che – al netto dei brogli – la percentuale raggiunta da Putin è comunque di poco superiore al 50%, ma come non considerare l'inquinamento del campo di battaglia fin dall'inizio della contesa? Non solo le procedure elettorali "sono state deviate in favore del vincitore" – come dichiarato dall'OCSE – ma l'intera campagna elettorale ha subito innegabili manomissioni. Il Consiglio d'Europa, infatti, per bocca dei rappresentati italiani Pietro Marcenaro, Gianni Farina e Andrea Rigoni parla di una campagna elettorale "falsata da uno sfacciato vantaggio per Putin".
All'interno dei seggi, poi, si racconta di eventi che potrebbero essere definiti prove generali per la dittatura: i rappresentati delle opposizioni sono spesso stati sbattuti fuori, in qualche caso le stesse commissioni elettorali sono state "invitate a uscire", esistono prove filmate dei brogli, esistono prove della coercizione esercitata sugli elettori, eppure c'è chi sostiene che l'entità della truffa possa essere "misurata" e poi detratta dal totale. A Putin sono stati assegnati 40 milioni di voti, ovvero il 63,6% delle preferenze, e – in sostanza – si tratterebbe di fare una semplice sottrazione: se al termine dell'operazione matematica il risultato dovesse restasse comunque favorevole a Putin, l'incoronazione potrebbe avere luogo. E poco importa se la campagna elettorale è stata una farsa, così come poco o niente contano i brogli; guardiamo al risultato, sembrano dire i vincitori della contesa, ma come si può guardare al risultato se la partita è stata truccata fin dal primo minuto? Questo è ciò che gridano i manifestanti in piazza, è questo che – in fondo – sottintendono tutti gli slogan urlati nelle strade di Mosca e San Pietroburgo: "Putin ladro", "La Russia senza Putin". Ma chi è questo piccolo Zar che, nell'arco di poco più di un decennio, ha soggiogato la democrazia russa conquistando i favori di una metà della popolazione e generando odio crescente nell'altra metà?
Dal KGB alla politica
Nato il 7 ottobre 1952 a Leningrado (ora San Pietroburgo), Putin si laurea in Diritto Internazionale e – appena ventiquattrenne – viene reclutato dai servizi segreti russi. "È quello che ho sempre desiderato" afferma entusiasta nel giorno del suo reclutamento, e aggiunge: "Sono guidato da grandi motivazioni, credo che potrei utilizzare le mie capacità per tirar fuori il meglio dalla società". Fiero nazionalista, algido, imperturbabile, maestro di judo, dal 1985 al 1990 Putin presta servizio come agente segreto a Dresda (Repubblica Democratica Tedesca), per poi fare ritorno in patria all'indomani del crollo del Muro di Berlino. In quegli anni, Putin collabora attivamente con la Stasi e, secondo i membri dell'intelligence tedesca che ne hanno descritto i compiti, la sua missione principale era quella di rubare tecnologia occidentale e segreti NATO. Tornato in patria, comincia la sua rapida e inesorabile ascesa verso il potere . Nel 1991, dopo il fallito colpo di stato ai danni di Gorbačëv (di cuoi il KGB era parte integrante), Putin decide di affiancare come consigliere e luogotenente il sindaco di Leningrado – Anatolj Sobčak. Subito dopo il fallito colpo di stato, Putin tratta con il KGB per evitare spargimenti di sangue, assicurando ai servizi segreti che non ci sarebbero state rappresaglie politiche. Quindi lascia i servizi per affiancare il sindaco di Leningrado a tempo pieno, e diventa direttore del Comitato Relazioni Estere. Questa la descrizione che il The Guardian offre del Putin dei primi anni '90: "Il ruolo del leader russo a Leningrado durante la crisi del 1991, ha impostato il tono politico della sua vita e definito i subdoli metodi che stanno dietro alla sua ascesa alla presidenza. Putin: il faccendiere dietro le quinte, il negoziatore. Fu lui che orchestrò l'accordo tra il vecchio e il nuovo, accordo grazie al quale la democrazia avrebbe dovuto approdare in Russia, ma lasciando il KGB – essenza e muscolo della macchina sovietica – illeso".
L'influenza di Putin cresce moltissimo durante quegli anni, ma il suo volto rimane per diverso tempo all'ombra delle telecamere. Eppure, proprio mentre ricopre la carica di direttore, si evidenziano le prime irregolarità del suo operato. Viene messo sotto esame dal Consiglio Legislativo della Città per una questione legata ad esportazioni concesse a prezzi stracciati in cambio delle quali avrebbero dovuto giungere in città degli aiuti umanitari. Gli aiuti non arrivano mai arrivati, e per tanto la commissione propose la revoca della carica per Putin, ma tutto si risolse in un nulla di fatto. Vladimir Putin mantiene perciò la carica di direttore del Comitato Relazioni Estere fino al 1996, anno della sconfitta di Sobčak. Contemporaneamente, a partire dal 1992 e fino al 2000 (quando sarà eletto presidente) Putin è anche a capo di un'agenzia immobiliare tedesca finita sotto inchiesta per riciclaggio di denaro sporco.
L'ascesa – Da delegato a Presidente in meno di tre anni
Ma è proprio con la sconfitta di Sobčak che comincia la vera ascesa di Putin. Nel 1996 viene convocato a Mosca per ricoprire la carica di capo delegato del Dipartimento per la Gestione della Proprietà Presidenziale e, dopo meno di un anno, è proprio il presidente russo in carica – Boris El'cin – a volerlo al suo fianco come capo del Personale Presidenziale. L'opinione pubblica non ha ancora idea di chi sia Vladimir Putin ma, da lì a tre anni, diventerà il nuovo presidente della Repubblica Federale Russa. Nel 1998 El'cin decide di mettere Putin a capo della FSB (servizio segreto russo che ha sostituito il KGB). Contemporaneamente, il futuro leader sovietico è membro permanente del Consiglio di Sicurezza e – nel 1999 – diventa responsabile dello stesso consiglio. Nell'aprile del 1999, Putin è protagonista dello scandalo riguardante il procuratore generale Skuratov, oppositore di El'sin, spesso scagliatosi contro la corruzione del suo governo. È proprio Putin, infatti, a presenziare la conferenza stampa in cui viene mostrato il procuratore a letto con due giovani donne. Putin afferma che l'analisi dell'FSB ha accertato l'identità di Skuratov e mette così fine alla carriera del procuratore.
In seguito a tale dimostrazione di efficienza nel contrastare i nemici politici di El'sin, Putin viene nominato Primo Deputato. Tale nomina gli consente, nello stesso giorno, di assumere la carica di Primo Ministro a seguito della caduta del governo Stepašin. Poco dopo, Putin annuncia la volontà di candidarsi alla guida della Russia, sostenuto dallo stesso El'sin, e – in seguito alle improvvise dimissioni del presidente in carica – Putin diventa presidente ad interim, in attesa delle successive elezioni del 2000. La sua campagna elettorale si fonda essenzialmente sulla lotta al terrorismo ceceno; Putin utilizza parole durissime, dai toni e dal piglio militare: "Perseguiteremo i terroristi ovunque, e quando li troveremo, li butteremo dritti nella tazza del cesso". L'immagine di uomo di ghiaccio fa molta presa sull'opinione pubblica russa, specie in seguito alla riacutizzazione del conflitto con la Cecenia. Durante il mandato ad interim, Putin sostiene il neonato Partito dell'Unità Russa che – proprio grazie alla sua adesione – diventa il secondo partito nelle elezioni per la Duma del 1999. La popolarità del leader russo è ormai in crescita, e la vittoria alle successive presidenziali appare scontata.
Gli anni da Presidente – Il primo e il secondo mandato
Il 26 marzo del 2000 Putin vince al primo turno, i suoi primi atti sono volti al consolidamento dei poteri assegnati al Presidente della Repubblica e alla sottoscrizione di una legge federale che garantisce i precedenti Presidenti e le loro famiglie (a partire dal 1999, infatti, El'cin e alcuni suoi congiunti si trovavano sotto inchiesta per riciclaggio di denaro). Durante il primo mandato, Putin – come annunciato – scegli di utilizzare il pugno di ferro contro la Cecenia, i crimini di cui si macchiano molti ufficiali russi vengono più volte denunciati dalla giornalista Anna Politkovskaja, che si scaglia contro lo stesso Presidente, accusandolo di promuovere o avallare azioni contro la popolazione cecena in palese violazione dei diritti umani. Nel 2002, Putin affronta anche la cosiddetta crisi del teatro Dubrovka che si conclude con l'uccisione di circa 200 ostaggi e 39 combattenti ceceni. Ufficialmente, non è Putin a dare l'ordine di pompare il gas nervino all'interno del teatro, ma sono in molti a sostenere che il comando sia partito proprio da lui.
Nelle elezioni del 2004 Putin stravince ancora, portando a casa il 71% dei voti. Durante il secondo mandato, la politica di Putin si fa audace, sempre più distante "dalle vie democratiche" (come affermato da Michail Gorbačëv). Ad ogni nuovo atto, Putin tende ad accentrare il potere nelle sue mani, ed anche i rapporti tra il Cremlino e la Duma (il parlamento russo) si fanno indistricabili. Ed è proprio in questo periodo che va costituendosi il tadem Putin-Medvedev che costituirà il binomio al potere per gli anni a venire. Nel corso di questo mandato, Putin viene accusato di due omicidi politici: quello dell'ex colonnello del KGB Aleksandr Litvinenko e quello della giornalista Anna Politkovskaja, trovata morta nell'ascensore di casa proprio nel giorno del compleanno del presidente, il 7 ottobre 2006. Ma questo non sono le uniche uccisioni su cui pesa l'ombra di Putin. Molti giornalisti vengono uccisi o minacciati durante il suo mandato, volano persino accuse di pedofilia. Intanto, grazie ai proventi provenienti dalla vendite di materie prime, Putin investe in armamenti e industria e, nel 2007, costruisce un nuovo missile nucleare e ottiene l'assegnazione in Russia delle Olimpiadi invernali del 2014. Ma un attimo prima di lasciare la Presidenza, a cui non potrà ricandidarsi perché ormai al secondo mandato consecutivo, rafforza enormemente i poteri del Primo Ministro, indebolendo la figura del Presidente della Repubblica.
Gli anni da Primo Ministro "sotto" Medvedev e la rielezione del 2012
Durante la presidenza di Medvedev, suo fedelissimo, in realtà è sempre Vladimir Putin a tenere sotto scacco la politica russa, è lui lo Zar. Putin è a capo di ogni operazione di una qualche importanza, è sempre lui a gestire la politica interna, quella estera e quella economica. Durante questi anni (dal 2008 al 2012) Putin gestisce in prima persona la seconda guerra nell'Ossezia del Sud, a lui sono affidate le relazioni con i principali capi di stato europei (dalla Merkel a Berlusconi); a Medvedev viene riservato il solo compito di curare le relazioni con gli USA e poco altro. In questi anni, la Russia ottiene anche l'organizzazione del Campionato Mondiale di Calcio del 2018 e, nel settembre 2011, Putin annuncia l'ennesima turn over tra lui e Medvedev alla guida della Russia. Putin si ricandida quindi a Presidente della Repubblica, e Medvedev sarà il suo Primo Ministro. Si tratta, in sostanza, di una vera e propria monarchia, i cui tratti tirannici si acuiscono ad ogni passo. Prima le dimostrazioni di forza, i sotterfugi politico-economici, poi gli assassinii politici e infine le elezioni truccate. I russi hanno coscienza di questo percorso, ed è per questo che – ormai da molti mesi – affollano le piazze di Mosca e San Pietroburgo chiedendo la fine dell'era Putin.
Dopo una campagna elettorale completamente sbilanciata a favore del Primo Ministro uscente e brogli elettorali così evidenti da apparire quasi arroganti nella loro certezza di impunità, il minimo che poteva accadere è quello che – in effetti – sta accadendo. Dopo averlo sostenuto in massa, la popolazione russa – oggi – appare spaccata in due: da un lato gli intramontabili estimatori del piccolo Zar, dall'altro i suoi fermi oppositori, sempre più numerosi, sempre più motivati. Le colpe di Putin, del resto, sono evidenti, e l'impunità di cui ha goduto e gode risulta per tanti insopportabile. Intanto, l'opposizione ha chiamato a raccolta i manifestanti per il prossimo 10 marzo, giorno in cui è prevista una nuova protesta anti-Putin, e sono in molti a parlare di una possibile, nuova rivoluzione. La primavera, in Russia, si annuncia caldissima, e non è da escludere che dopo aver smosso il Nord Africa, il vento del cambiamento non cominci a soffiare anche sugli Urali.