Violenza in Georgia, mano dura del governo contro i manifestanti: “Stiamo diventando un paese senza libertà”
Quando pensava che finalmente fosse finita, è arrivato il peggio: “Appena ho rialzato la testa, sono stato colpito ancora più forte. Ho perso conoscenza per qualche secondo. Poi ho riaperto gli occhi ma ho fatto in tempo solo a vedere uno che mi dava un calcio in faccia”. Aleksandre Keshelashvili ha 32 anni e fa il giornalista per il popolare sito di news Publika. È tra le vittime della crescente violenza delle autorità georgiane contro le decine di migliaia di persone che da oltre due settimane ogni sera, e ormai non solo di sera, manifestano nella capitale Tbilisi e in altre città della Georgia contro il governo.
Repressione violenta
Le persone detenute per aver partecipato alle manifestazioni sono ormai oltre 450. Più di 300 quelle che hanno denunciato di esser state picchiate. Tra queste, molte dicono di aver subito vere e proprie torture o di esser state trattate in modo disumano. I dati sono della piattaforma civica Georgia’s European Orbit (Geu), che ha utilizzato fonti disponibili al pubblico, testimonianze dirette e rapporti dell’Ufficio nazionale del Difensore civico. Anche Amnesty International denuncia “brutali tattiche anti-assembramento, detenzioni arbitrarie e tortura”.
Secondo Geu, la magistratura georgiana non dà corso alle denunce dei cittadini né interviene d’ufficio per perseguire i responsabili delle violenze contro i dimostranti. Al contrario, sono stati istruiti decine di procedimenti penali e amministrativi a carico di chi protesta. Il governo ha introdotto in tutta fretta leggi anti-sommossa. Le multe per chi opera blocchi stradali son più che raddoppiate. Arrivano a molte migliaia di euro. Il salario netto medio e inferiore a 600 euro, in Georgia.
La repressione prende di mira in particolare gli attivisti diventati più popolari, i politici dell’opposizione e i giornalisti. Sono almeno novanta i professionisti dell’informazione aggrediti mentre facevano il loro lavoro raccontando le proteste di Tbilisi. Ad agire, bande di picchiatori non identificabili, spesso sotto gli occhi della polizia, che si guarda bene dall’intervenire.
Il racconto di “Lekso”
“Ero con alcuni colleghi all’angolo di una strada, per fare foto e immagini della dimostrazione. Indossavamo tutti i badge ufficiali della stampa, grandi e ben visibili”, continua nel suo racconto a Fanpage.it Aleksandre Keshelashvili — Lekso per gli amici. “Improvvisamente un gruppo di persone col viso coperto e senza distintivo ha iniziato a correre verso di noi. Mi hanno preso, sfasciato le mie due fotocamere, strappato il badge. Hanno formato un corridoio, picchiandomi sul volto da destra e da sinistra. Fino a quel calcio in faccia. Poi mi hanno letteralmente trascinato fino a una stazione della polizia, dove sono stato ammanettato. Sanguinavo, stavo male. Ma ho dovuto attendere a lungo prima che mi dessero un po’ d’acqua e mi lasciassero ai medici. Hanno anche tentato di farmi firmare un’ammissione di colpa per aver gridato oscenità contro la polizia, cosa assolutamente falsa. Non ho firmato. Non so bene che procedimento sia stato aperto nei miei confronti”.
Le lesioni subìte lo hanno costretto a un’operazione chirurgica e a giorni di riposo forzato. Ma Lekso ha già ripreso a lavorare. Parla con noi al telefono quasi urlando. Sotto, i rumori della protesta. Lekso sta seguendo per Publika la manifestazione organizzata dai lavoratori del settore musica e spettacolo, una delle tante che si susseguono ogni giorno.
“Non riesco a credere che il mio Paese sia diventato così”, commenta. “Ho seguito decine di manifestazioni contro il governo, negli ultimi anni. Ma queste cose non succedevano. Siamo diventando un Paese senza libertà, come la Bielorussia. O la stessa Russia di Putin”.
La protesta si organizza
“La situazione sta peggiorando di ora in ora, ormai i reparti speciali della polizia e bande di picchiatori rapiscono la gente per strada, anche in pieno giorno”, spiega a Fanpage.it il diplomatico georgiano Gigi Gigiadze, un tempo ambasciatore a Copenaghen e oggi analista dell’Economic Policy Research Center di Tbilisi. “Il governo ha scelto la strada della repressione senza freni e della provocazione. Vuole un confronto violento”.
La protesta non si ferma, cresce: sindacati e organizzazioni della società civile moltiplicano le iniziative. Solo venerdì a Tbilisi ci sono stati 15 diversi eventi. Sono scesi in piazza i professionisti del settore tecnologico come i produttori di vino, gli avvocati e gli psicologi. E in serata, sotto la neve, tutti davanti al Parlamento sul viale Rustaveli, epicentro e simbolo della rivolta.
Le manifestazioni sono continuate sabato, mentre il partito di governo, Sogno Georgiano, nominava il nuovo Presidente della Repubblica, che ha compiti largamente cerimoniali ma è pur sempre il capo dello Stato. Candidato unico, l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, noto per le posizioni di estrema destra, filo-Putin, anti-occidentali e omofobe più che per i suoi goal (solo tre) come attaccante centrale del Manchester City.
“La Georgia non perde il suo senso dell’umorismo, nemmeno quando un calciatore diventa capo dello Stato”, ha scritto sui social la presidente uscente, Salome Zurabishvili: nella giornata gelida, tra una tazza di tè e l’altra, i dimostranti giocavano a pallone sul viale Rustaveli, per prendere in giro il successore. Zurabishvili, divenuta un faro dell’opposizione, chiede nuove elezioni e si rifiuta di lasciare l’incarico. “La designazione di un nuovo presidente in queste condizioni è illegittima e anti-costituzionale”, ha detto in una conferenza stampa.
La nuova presidenza è minata in partenza. Non solo dalle proteste di piazza e dal boicottaggio delle opposizioni, che non prendono più parte alle sedute parlamentari. Ma anche dal parere dei maggiori giuristi del Paese: “La Georgia sta affrontando una crisi costituzionale senza precedenti”, ha detto all’agenzia Afp Vakhtang Khmaladze, uno degli autori della legge fondamentale dello Stato. Ricordando che il Parlamento ha espresso un nuovo presidente quando la Corte suprema deve ancora decidere sul ricorso per illegittimità delle elezioni presentato dalla Zurabishvili.
Una minaccia incombente
“Il Paese è sull’orlo del baratro”, sostiene l’ex ambasciatore Gigiadze. “Per puro caso ancora non ci sono stati morti, ma la volontà del governo è di provocare una situazione simile a quella che si sviluppò dieci anni fa a Kiev. Per poter dare la colpa dei disordini a fantomatici agenti occidentali e gettarsi nelle braccia della Russia”.
I paralleli con Euromaidan sono molti. I picchiatori senza distintivo a Tbilisi e Batumi vengono chiamati “titushky”, proprio come i mercenari arruolati da Viktor Yanukovich per menare i manifestanti nel 2014 in Ucraina. Allora il presidente ucraino filo-Putin fu travolto dalla Rivoluzione della dignità e scappò in modo molto poco dignitoso a Mosca, aiutato dai servizi di sicurezza del suo burattinaio. Un po’ come successo recentemente a Bashar al Assad.
La rivolta georgiana potrebbe però avere l’esito di quella del 2020-2021 in Bielorussia contro Alexander Lukashenko: tanti prigionieri politici, autoritarismo sempre più rigido e abbraccio sempre più stretto con Mosca. Per questo piccolo — 3,76 milioni di abitanti — e recondito paese pieno di Storia, impegnato da trent’anni in un faticoso cammino verso una vera democrazia liberale che si lasci definitivamente alle spalle il passato sovietico, sarebbe davvero la fine del sogno.
Appello da Tbilisi
“La minaccia è grave”, afferma Gigiadze. “I Paesi europei devono aiutarci, e un aiuto immediato sarebbe quello di sanzionare personalmente i responsabili delle violazioni dei diritti umani in Georgia”.
Un documento della piattaforma Geu, condiviso da molte Ong georgiane, individua tra questi Bidzina Ivanishvili, il premier Kobakhidze, il ministro dell’interno Vakhtang Gomelauri e il capo dei reparti speciali dei servizi di sicurezza Zviad Kharazishvili, in arte “Khareba” (l’Annunciazione). Davanti a lui sono stati portati alcuni dei giornalisti picchiati, per subire umiliazioni e ulteriori torture fisiche e psicologiche, ha dichiarato ai media Juba Khatamadze, avvocato di una delle vittime, il cronista Shota Dimitrishvili.
Nei giorni scorsi, gli Stati Uniti hanno adottato sanzioni personali contro una ventina di rappresentanti delle autorità di Tbilisi. "Noi — sostiene Gigiadze — dovremmo fare lo stesso, per impedire che la Georgia diventi una piccola e lontana Bielorussia".
Intanto, i propagandisti del governo georgiano e quelli di Vladimir Putin tempestano il web e l’etere con la versione secondo cui una cospirazione guerrafondaia occidentale e agenti di Paesi Nato fomentano la protesta. “Forse le decine di migliaia di dimostranti di ogni età scesi in strada sono funzionari della Cia”, scherza con amarezza il diplomatico. È la stessa narrativa da sempre utilizzata per Euromaidan. Perché il Cremlino e i detentori del potere in Georgia di questo hanno terrore: dell’eventuale successo di una “rivoluzione colorata” e di uno scenario “ucraino”.
La nuova ondata di dimostrazioni è stata innescata dalla decisione del premier Irakli Kobakhidze di sospendere per quattro anni le trattative per l’ingresso nell’Ue, previsto nella Costituzione, accelerando la deriva autoritaria. Il partito Sogno Georgiano, fondato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, ha vinto elezioni ritenute irregolari non solo dall’opposizione e dalla presidente uscente ma anche da osservatori indipendenti e da buona parte della comunità internazionale.
Ivanishvili ha vissuto decenni in Russia, vi ha fatto un sacco di soldi e stretto contatti con esponenti del regime di Vladimir Putin. Secondo investigazioni giudiziarie e giornalistiche, Mosca avrebbe interferito nel processo elettorale. Il presidente francese Emmanuel Macron ha telefonato a lui, e non al premier, per lamentarsi della situazione. Tanto per chiarire chi comanda davvero, in Georgia.
“La gente che protesta aumenta sempre di più, non so come andrà a finire”, dice Lekso Keshelashvili. “Ma da cronista posso dirvi che non ho mai visto una repressione tanto violenta, né i georgiani così decisi a non mollare. Il popolo è pronto a combattere contro questo governo che diventa regime”.