Tre domande. Qual è l’unico leader europeo che si è congratulato con Vladimir Putin per la sua rielezione a presidente russo, lo scorso 20 marzo? E qual è l’unico leader europeo che ha ospitato il CPAC, la convention in cui si ritrova tutta la destra globale che si riconosce in Donald Trump, lo scorso 27 aprile? E chi è uno dei tre leader europei da cui ha marcato visita Xi Jinping, nel suo viaggio in Europa a un mese dal voto europeo? La risposta è sempre la stessa: Viktor Orban.
E forse un’ulteriore domanda, in aggiunta a queste tre, tocca farcela: com’è possibile che il premier di uno dei piccoli e poveri Paesi europei, peraltro in crisi di consenso nel suo Paese, sia contemporaneamente il miglior amico europeo del presidente cinese, del presidente russo e di colui che è possibile diventi il prossimo inquilino della Casa Bianca? Bella domanda, se si considera che stiamo parlando di quello che a Bruxelles è considerato alla stregua di un autocrate, finito per l’ennesima volta sotto procedura d’infrazione solo pochi mesi fa per una legge, quella sulla sovranità, che violerebbe una serie di diritti garantiti in Europa, tra cui privacy, libertà di espressione e diritti elettorali dei cittadini europei.
La risposta è semplice: perché Orban è forse il politico più abile al mondo – sicuramente il più abile d'Europa – a intessere e coltivare relazioni apparentemente inconciliabili. È strenuo sostenitore di Donald Trump, il politico più anti-cinese d'America, ma nello stesso tempo è partner europeo della nuova via della seta cinese. È contro le politiche green dell'Unione Europea, ma è il principale fornitore europeo di batterie per le auto elettriche di Pechino. Dice di aver vinto le ultime elezioni anche "contro Zelensky”, ma non si è opposto, dopo una lunga trattativa, agli aiuti militari all'Ucraina.
Soprattutto: è uno dei più strenui nemici dell'eurocrazia di Bruxelles, ma ci sguazza dentro da decenni: stiamo parlando di un leader che ha appena aperto un suo think tank nella capitale belga, che dopo le elezioni europee confluirà con ogni probabilità nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei presieduto a Giorgia Meloni. Che meno di un mese fa ha dato il suo placet a un’eventuale candidatura di Mario Draghi a presidente della Commissione Europea, con buona pace dei veto dei socialisti e democratici europee ad alleanze con la destra. Che ha votato Ursula von der Leyen come presidente della Commissione Europea, quattro anni fa. E che fino a tre anni fa era membro – ancorché mal sopportato da Angela Merkel – del Partito Popolare Europeo. Questo per dire che lui, nei giochi di palazzo dell’Unione Europea, ci è sempre entrato, e ci vuole entrare di nuovo. Forte delle sue amicizie, dentro e fuori i palazzi di Bruxelles.
La questione semmai è un’altra, e dice molto dello stato dell’Unione. Perché la centralità geopolitica di Orban dentro e fuori il Vecchio Continente ha il sapore della definitiva legittimazione di un modello, il suo, fatto di accentramento del potere attorno all’esecutivo, di una magistratura sotto il controllo del governo, di un capitalismo relazionale fatto di oligarchi collaterali all’autocrate che controllano buona parte dei media del Paese. Un modello che, paradossalmente, appare oggi più forte all'estero che in casa propria, dove Peter Magyar, ex sodale ora suo strenuo oppositore, sembra che per la prima volta stia davvero costruendo una forza politica in grado di erodere consensi a Fidesz e al suo leader.
Lo diciamo in anticipo: legittimare tutto questo non vuol dire normalizzare Orban, che più sarà al centro di tutto più continuerà a fare il bello e il cattivo tempo a casa sua, per mantenere il potere, reprimere il dissenso e arricchire i suoi amici. Al contrario, è un ulteriore passo per orbanizzare l’Europa, rendendo accettabile agli occhi delle cancellerie del continente e delle sue opinioni pubbliche un regime illiberale e autocratico che spera in Unione debole, incapace di imporre le sue regole ad alcun Paese, tantomeno al suo. È questo, in fondo, il vero grande obiettivo di Viktor Orban. E forse è pure quello delle destre europee di cui fa parte. Di sicuro, quello dei suoi grandi amici che ci guardano, interessati, da Mosca, Pechino e Mar-A-Lago.