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Viaggio nel Kurdistan siriano dopo la vittoria dei ribelli: “La nostra paura è che torni l’Isis”

PYD a Fanpage.it: “Siamo pronti a negoziare con Hayat Tahrir al Sham per una Siria democratica per tutti. Ma le milizie filoturche di SNA hanno perpetrato decine di massacri nei giorni scorsi e stanno continuando a commettere atrocità nella zona di Manbij, con esecuzioni sommarie e sgozzamenti”.
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profughi curdi fuggiti da Shebah
profughi curdi fuggiti da Shebah

“Sei curda o araba?” urla un miliziano ad una combattente curda nel nord est della Siria. A lei sanguina il braccio, mentre appoggia la testa sulla spalla della sua compagna. A minacciarla sarebbero dei miliziani affiliati alla Turchia di Erdogan. Il video di questa scena gira da giorni nei vari canali Telegram turchi, insieme ad altre centinaia di migliaia di video simili in cui vengono riprese uccisioni di massa, rapimenti ed esecuzioni di combattenti del PKK ma anche di civili che si trovano nella regione di Manbij, nel governatorato di Aleppo.

Urla con le mani alzate un gruppo di donne, sono ammassate su una jeep e riprese dai miliziani dell’esercito nazionale siriano (SNA), controllato dalla Turchia. Dopo averle rapite le hanno esposte come trofei per le strade di Manbij. Nessuno sa dove siano adesso. Come nessuno sa dove siano altre decine e decine di civili e combattenti curde rapite prima della tregua generale, raggiunta martedì scorso.

Sono giorni di grande stupore, di felicità, di festeggiamenti, ma anche di profondo dolore, dei ritrovamenti dei corpi dei martiri nelle carceri del regime, della ricerca disperata dei propri cari. Sono i giorni della libertà per la Siria, dopo cinquant'anni è stato spazzato via il regime degli Assad. Ma sono anche giorni di grande caos e insicurezza. Soprattutto per chi ha sempre combattuto sia contro il regime di Assad che contro chi l’ha spodestato.

Seppure legati a doppio filo da solide alleanze, i gruppi armati che si ritrovano sotto la sigla di esercito nazionale siriano (SNA) e quelli di Hayat Tahrir al Sham (Hts), non sono la stessa cosa. Se il primo è un diretto satellite della Turchia in Siria, il secondo gode dell’appoggio di Erdogan ma non risponde all’agenda di Ankara, o almeno non direttamente. L’hanno reso evidente gli obiettivi militari che tra il 30 novembre e l’8 dicembre sono stati presi di mira dai due diversi eserciti: mentre Hts continuava l’avanzata verso Damasco, che è caduta domenica scorsa, SNA ha invaso i territori dell'Amministrazione autonoma attaccando Shebah prima e Manbij poi, con pesanti bombardamenti turchi su quest’ultima.

Tra l’uno e il tre dicembre a Shebah circa 200.000 persone, che già avevano dovuto abbandonare le loro case nel corso dell’invasione di Afrin del 2018, sono state nuovamente sfollate, tra loro anche arabi shiiti insieme ai curdi yezidi .

La fuga da Shebah
La fuga da Shebah

“Mi hanno raccontato che quando sono entrati in città i miliziani hanno cominciato a minacciare di tagliare la testa ai curdi, gridando: ‘Ti taglio la testa curdo’”, racconta Souad Hasso, della Yezidi Union di Heseke, in collegamento telefonico con Fanpage.it. “Io ero andata via dalla città due giorni prima del loro arrivo – continua la donna – ma tutta la mia famiglia era a Shebah e mi hanno raccontato cosa è succcesso all’arrivo dei miliziani”. Adesso Hasso lavora con le circa 200 famiglie yezedi sfollate da Shebah e rifugiate a Hezeke, non è più tornata a Shebah dal primo dicembre. “Quando sono arrivati i primi sfollati ad Hezeke mi hanno detto che nella fuga si sono persi, che alcuni di loro erano stati uccisi dai miliziani che hanno più volte sparato sulla folla, hanno bloccato l’evacuazione e migliaia di persone sono ancora nelle loro mani, tanti ezidy sono stati rapiti e sono scomparsi. Non abbiamo più loro notizie dai primi di dicembre”.

Secondo la donna, le milizie appoggiate dalla Turchia avrebbero approfittato della situazione di caos generale dei primi giorni di dicembre, per avanzare nei territori dell’Amministrazione autonoma a nord est della Siria. “Loro seguono l’agenda turca, ed Erdogan vuole cacciarci. Nel nord-est della Siria Erdogan non ha mai smesso di torturarci, ora ha solo intensificato la sua offensiva: sta giustiziando le persone per strada, bombardando civili e ambulanze”, continua Hasso.

Emîn Elîko, esponente del partito dell’unione democratica (PYD), però ci tiene a precisare: “Hts ci ha detto che non avrebbero toccato i civili, non le minoranze, non le etnie diverse, e così è stato finora. Siamo pronti a negoziare e fare un accordo con loro a favore di una Siria democratica per tutti i siriani. Ma SNA ha perpetrato decine di massacri nei giorni scorsi e sta continuando a commettere atrocità nella zona di Manbij, con esecuzioni sommarie e sgozzamenti”.

Mercoledì, infatti, nelle regioni a Nord Est della Siria è stata issata la bandiera della rivoluzione, la stessa utilizzata dai ribelli jihadisti di Hayat Tahrir al Sham, che hanno liberato Damasco. “Siamo parte di una Siria unita, se tutti i siriani hanno deciso di usare questa bandiera la useremo anche noi”, conclude Eliko.

profughi curdi nelle strade di Hezeke
profughi curdi nelle strade di Hezeke

Nonostante la porta del dialogo con i ribelli di Hts sia aperta, nel Nord Est della Siria permane il terrore della Turchia e delle sue milizie nel Kurdistan siriano, ma soprattutto l’incubo di Daesh, e sono ancora fresche le cicatrici della lotta per la liberazione di Kobane nel 2015.

“La nostra paura è Daesh, abbiamo combattuto molto contro l’Isis, le nostre prigioni sono piene di miliziani, adesso che il governo sta diventando sunnita non possiamo negare la preoccupazione che possa tornare anche l’Isis. Ho paura che, in quanto donna e yezedi, potrei perdere i diritti per cui ho lottato, ho paura che con un governo sunnita sarò costretta a mettere il velo, che non sarò più libera”, conclude Hasso con paura ma con altrettanta determinazione: “Ci sono donne e compagne che ancora si stanno liberando da quello che hanno vissuto sotto Daesh, vedere gente girare per le nostre città con la bandiere dell’Isis, oggi per noi è inaccettabile”.

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